Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15966 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15966 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
IRAP IRES IVA AVVISO ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14624/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domicili ate presso l’indirizzo pec di quest’ultimo EMAIL,
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 11854/2016, depositata il 23 dicembre 2016.
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
dato atto che il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso venga rigettato nei primi tre motivi e accolto nel quarto e quinto, dichiarato inammissibile nel sesto e, infine, accolto nei restanti motivi. sentiti l’AVV_NOTAIO per i ricorrenti e l’AVV_NOTAIO per l’RAGIONE_SOCIALE delle entrate.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, nelle rispettive qualità di consolidata e consolidante, ricorrono nei confronti d ell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate , che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe . Con quest’u ltima la C.t.r. ha rigettato l’appello delle contribuenti avverso la sentenza della C.t.p. di Napoli che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento con il q uale, per l’anno di imposta 200 9, l’Ufficio aveva recuperato a tassazione un maggiore imponibile.
L ‘Ufficio , con una prima ripresa, riteneva che gli importi erogati per liberalità a ll’RAGIONE_SOCIALE con personalità giuridica «RAGIONE_SOCIALE» -riconducibile alla famiglia COGNOME, cui faceva pure capo le società erogante e la sua consolidante -non potessero essere dedotti ai sensi dell’art. 100, comma 2, lett. a) t.u.i.r. in quanto la beneficiaria, di fatto, non svolgeva, né aveva mai svolto, l’attività di assistenza RAGIONE_SOCIALE e sanitaria prevista nello Statuto; con una seconda ripresa, riteneva non deducibile la quota di accantonamento del trattamento di fine mandato del proprio amministratore; con una terza ripresa, riteneva non deducibili i costi di manutenzione sostenuti su un immobile di proprietà di terzi detenuto in locazione dalla RAGIONE_SOCIALE; con una quarta ripresa, riteneva non deducibili i costi per omaggi aziendali;
con una quinta ripresa, recuperava a tassazione i ricavi per presunte cessioni a nero di imballaggi.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo (§. 2) le società ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., la violazione dell’art. 101, comma 2, lett. a) , t.u.i.r.
Le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto che l’art. 100 t.u.i.r. condizioni la deducibilità dell’erogazione al fatto che il soggetto beneficiario ponga in essere l’attività solidaristica in modo immediato ed integrale rispetto al periodo di incasso dei contributi, utilizzando gli stessi in misura totale, e ciò pur in assenza di indicazioni normative di un termine e/o di un limite minimo per l’impiego dei contributi incassati.
Osservano che la norma richiamata non richiede un utilizzo immediato e per intero dei contributi, occorrendo solo che il beneficiario svolga «esclusivamente» l’attività solidaristica; che la RAGIONE_SOCIALE ha richiamato le disposizioni in tema di associazioni di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non pertinenti in quanto la beneficiaria non è tra queste ultime. Aggiungono ch e la deducibilità dell’erogazione non può dipendere dalla condotta del beneficiario e che la disposizione non prevede un termine per l’impiego integrale dei co ntributi ricevuti. Evidenziano, infine, che la società beneficiaria perseguiva esclusivamente finalità di rilievo RAGIONE_SOCIALE; che alcuna ulteriore attività risultava essere svolta e che non poteva considerarsi tale il reimpiego in strumenti finanziari delle erogazioni non ancora utilizzate.
Con il secondo motivo (§ 3.) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Osservano che la RAGIONE_SOCIALE.t.RAGIONE_SOCIALE. aveva affermato che il trattamento fiscale delle erogazioni liberali in favore dell’RAGIONE_SOCIALE fosse quello a favore delle associazioni RAGIONE_SOCIALE; che avevano denunciato in appello il vizio di ultra-petizione, atteso che si trattava di argomento non speso dall’Ufficio e che su tale vizio la C.t.RAGIONE_SOCIALE non si era pronunciata.
Con il terzo motivo (§ 4.) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 10 5, comma 5, t.u.i.r. e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. , la violazione dell’art. 36 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Criticano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la deducibilità integrale degli accantonamenti per il trattamento di fine mandato dell’amministratore e, in particolare, per la parte eccedente la misura massima accantonabile per le indennità di fine rapporto del personale dipendente, e muovono due diverse censure: con la prima assumono che la sentenza ha reso sul punto una motivazione abnorme e perplessa; con la seconda assumono che, poiché per gli amministratori di società non esiste, diversamente che per i lavoratori dipendenti, una disciplina civilistica che stabilisca i criteri di determinazione delle quote massime accantonabili, in virtù dell ‘art. 105, comma 1, t.u.i.r. deve aversi riguardo alla misura accantonabile fissata in via contrattuale, pari, nella fattispecie, al 30 per cento.
Con il quarto motivo (§ 5.) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la deducibilità delle quote di ammortamento delle spese di ristrutturazione dell’immobile tratto in locazione, sul presupposto che, potendone beneficiare solo il locatore, mancherebbe l’inerenza ed osservano che quest’ ultima, invece, presuppone che i miglioramenti
siano eseguiti su immobili destinati all’esercizio di un’attività destinata a produrre utili. Aggiungono che tale distinzione non è pre sente nell’art. 109 t.u.i.r. per il quale rileva il solo collegamento funzionale tra spese ed attività che dà luogo ai ricavi e che, diversamente opinando, la norma dovrebbe ritenersi incostituzionale.
Con il quinto motivo (§ 6. ) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost. e dell’art. 36 ( rectius 132), secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto fondato il recupero fiscale dei costi per omaggi aziendali, spese di viaggio e costi pubblicitari, rendendo sul punto motivazione perplessa ed abnorme. Assumono che la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto legittimo il recupero in quanto si trattava di costi non provati, sebbene l’Ufficio avesse motivato l’indeducibilità in quanto costi riferibili ad altre società e la stessa RAGIONE_SOCIALE avesse rilevato che con l’atto di appello era stato denunciato il vizio di ultra-petizione commesso dalla RAGIONE_SOCIALE per aver ritenuto, a propria volta, che si trattasse di costi non documentati.
Con il sesto motivo (§ 7.) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 d.P.R . 26 ottobre 1972, n. 633.
Censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto legittimo il recupero a tassazione di presunti ricavi in nero derivanti dalla cessione di casse di legno ed imballaggi e per aver affermato che era onere del contribuente provare la funzione accessoria di questi ultimi rispetto ad operazioni aventi natura principale. Assumono che la C.t.r. ha applicato l’art. 12 d.P.R. n. 633 del 1972 che, invece, è norma non pertinente.
Con il settimo motivo (§ 8.) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 1 12 cod. proc. civ.
Censurano la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sul motivo di appello con il quale avevano rilevato che non vi era prova della cessione a nero degli imballaggi.
Con l’ottavo motivo (§ 9 .) denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell ‘art. 39, comma 1, lett. d), d.P. R. 29 settembre 1973, n. 600.
Censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che la prova dei ricavi era a carico dell’Ufficio e per aver onerato i l contribuente di un’ impossibile prova negativa.
Il secondo motivo, da esaminarsi in via preliminare rispetto al primo, perché prospetta error in procedendo che determinerebbe la nullità, in parte qua, della sentenza, è infondato.
9.1. Questa Corte ha chiarito che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità, pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, n. 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153). E’ stato , quindi, ritenuto che: «Non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto.» (Cass. 04/06/2019, n. 1525).
9.2. Nella fattispecie in esame la RAGIONE_SOCIALEtRAGIONE_SOCIALEr. La RAGIONE_SOCIALE non solo ha espressamente rigettato il motivo con il quale le contribuenti avevano censurato la sentenza di primo grado per ultra-petizione (cfr. pag. 3 § 2 della sentenza impugnata), ma ha, anche, puntualmente esposto le ragioni per le quali le erogazioni liberali non fossero deducibili.
Il primo motivo è infondato.
10.1. La deducibilità delle erogazioni liberali, ai sensi dell’art. 100, comma 2, lett. a), t.u.i.r., è condizionata, oltre al requisito soggettivo del beneficiario, che deve essere una persona giuridica, anche al requisito oggettivo dell’attività svolta da quest’ultimo il quale deve perseguire «esclusivamente» finalità comprese fra quelle indicate nel precedente comma 1, tra le quali, per quanto di rilievo, quelle di assistenza RAGIONE_SOCIALE e sanitaria.
Tale previsione, come già chiarito da questa Corte, si giustifica in relazione al principio di sussidiarietà, c.d. orizzontale, e costituisce una deroga al principio di inerenza, rendendo deducibili dal reddito di impresa elargizioni, in via di principio, redditualmente non rilevanti.
L’elenco degli oneri di utilità RAGIONE_SOCIALE deducibili è tassativo atteso che l’art. 100, comma 4, t.u.i .r. stabilisce che le erogazioni diverse da quelle di cui ai precedenti commi (e diverse da quelle di cui all’art. 95 comma 1 t.u.i.r. che non rileva nella fattispecie in esame) non sono ammesse in deduzione.
Il riconoscimento statutario dell’esclusività del fine costituisce requisito formale necessario, ma non sufficiente, dovendo trovare riscontro nell’effettiva attività svolta dall’ente beneficiato atteso il carattere eccezionale delle disposizioni derogatorie e la natura della finalità solidaristica, a cui può essere assegnato rilievo solo se sia concreta e non si traduca in una mera enunciazione (Cass. 02/08/2017, n. 19192 e Cass. 12/05/2017 n. 11872 entrambe rese nei confronti
delle società contribuenti con riferimento agli anni di imposta 2004 e 2005).
Trattandosi di norma agevolativa, l’onere della prova spetta al contribuente che, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., è tenuto a dimostrare, in seguito alla contestazione dell’Ufficio, i fatti che palesino il raggiungimento AVV_NOTAIO scopo sotteso all’agevolazione, ovverosia l’effettiva realizzazione dell’intento dichiarato, perché tale intento rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio fiscale richiesto (Cass. 24/06/2011, n. 13954).
Sebbene la norma non richieda una corrispondenza immediata e diretta tra l’elargizione liberale e l’impiego di una delle finalità di cui all’art. 100, comma 1, t.u.i.r., occorre, tuttavia, che la destinataria svolga concretamente un’attività ivi riconducib ile avvalendosi delle erogazioni ricevute.
In sintesi, affinché le erogazioni liberali di cui all’art. 100, comma 2, lett. a) t.u.i.r. siano deducibili, occorre, non soltanto il riconoscimento statutario dell’esclusività del fine, ma anche l’effettivo svolgimento di attività funzionale alla sua realizzazione.
10.2. La RAGIONE_SOCIALE si è attenuta a questi principi in quanto, in parte riportando quanto argomentato in altra sentenza tra le stesse parti, dopo aver rilevato che l’ARAGIONE_SOCIALE beneficiaria non aveva realmente destinato i capitali raccolti sino al 2009, superiori a due milioni di euro, alla realizzazione delle finalità sociali, ha escluso, anche in ragione del tempo trascorso, che fosse rispettato i l dettato di cui all’art. 100 t.u.i.r. , stante l’ incompatibilità con l’effettiva destinazione all’attività socia le.
10.3. Vanno disattese, pertanto, le considerazioni delle ricorrenti secondo le quali la norma in esame non imporrebbe né un limite quantitativo di utilizzo delle elargizioni né un termine, né, tanto meno, il controllo del l’utilizzo delle somme da parte del beneficiario.
Gli argomenti non colgono la ratio della sentenza impugnata che, in una valutazione complessiva dell’attività svolta dalla beneficiaria, sin dalla sua istituzione, risalente al 1998, ha escluso che quest’ultima svolgesse concretamente l’attività per la quale era stata costituita. Il riferimento al dato temporale, alle risorse minime impiegate per i fini statutari, all’impiego massiccio delle elargizioni in investimenti finanziari, non può essere inteso nel senso che la C.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. abbia posto dei limiti per il perseguimento del fine, non previsti dalla norma, essendo, evidentemente, volto a corroborare l’assunto secondo il quale l’ARAGIONE_SOCIALE non svolgeva e non aveva mai svolto l’attività di utilità RAGIONE_SOCIALE in ragione della quale si giustificava la deduzione dal reddito.
Inoltre, gli argomenti spesi sollecitano una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito ad escludere che la beneficiaria avesse concretamente svolto l’attività RAGIONE_SOCIALE di cui allo statuto. Così facendo parte ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/2013, n. 8315).
Quanto poi, alla tesi delle contribuenti secondo cui la RAGIONE_SOCIALE avrebbe posto a carico del beneficiante un onere di contro llo dell’attività del beneficiari o, basti osservare che è la stessa disposizione dell’art. 100 t.u.i.r. a prevedere il requisito oggettivo in capo a quest’ultimo.
11. Il terzo motivo è fondato.
11.1. Questa Corte ha già escluso che, in mancanza di una norma che obblighi le società a provvedere all’ammortamento delle quote del trattamento di fine mandato degli amministratori nelle forme previste per i lavoratori dipendenti, possa applicarsi l’art. 2120 cod. civ., dettato per questi ultimi (Cass. 29/08/2022, n. 25435; Cass. 06/11/2020, n. 24848). Si è precisato che tale assunto è in linea con l’ulteriore principio affermato in tema di redditi di impresa, in base al quale, in ragione del combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. c), e 105 t.u.i.r., possono essere dedotte in ciascun esercizio, secondo il principio di competenza, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, previsto in favore degli amministratori delle società, purché la previsione di detto trattamento risulti da un atto scritto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, che ne specifichi anche l’importo: in mancanza di tali presupposti trova applicazione il principio di cassa, come disposto dall’art. 95, comma 5, t.u.i.r. che stabilisce la deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori delle società nell’esercizio nel quale sono corrisposti (Cass. 10/07/2023, n. 19445, Cass. 19/10/2018, n. 26431).
11.2. La sentenza impugnata, nel ritenere applicabile agli accantonamenti le medesime limitazioni previste per il lavoro subordinato, non si è attenuta a questi principi.
Il quarto motivo è fondato.
12.1. Le Sezioni Unite della Corte sono intervenute sulla questione della detrazione dell’Iva con riguardo a lavori di manutenzione o ristrutturazione su immobili di terzi condotti in locazione ed hanno affermato che deve «riconoscersi il diritto alla detrazione Iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima non
abbia poi potuto concretamente esercitarsi» (Cass. Sez. U. 10/05/2018 n. 11533).
Le medesime considerazioni, tuttavia, sono valide anche ai fini delle imposte dirette, dovendosi considerare unitario -per la sua derivazione dalla nozione di reddito d’impresa -il principio di inerenza dei costi. Pertanto, l’esercente attività d’impresa o professionale può dedurre dai redditi d’impresa i costi occorsi per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di un immobile condotto in locazione, anche se si tratta di un bene di proprietà di terzi, purché sussista il requisito dell’inerenza, avente valenza qualitativa e, quindi, da intendersi come nesso di strumentalità, anche solo potenziale, tra il bene e l’attività svolta (Cass. 27/09/2018, n. 23278).
12.2. La RAGIONE_SOCIALEt.rRAGIONE_SOCIALE, nell’escludere l’inerenza dei costi all’attività di impresa nell’ipotesi di immobili detenuti in locazione, assumendo che in tal caso l’unico beneficiario sarebbe il locatore, non si è attenuta a questi principi.
Il quinto motivo è infondato.
13.1. La RAGIONE_SOCIALE ha dato atto che la RAGIONE_SOCIALE avevo ritenuto indeducibili le spese per omaggi aziendali, viaggi e costi pubblicitari in quanto non erano documentate e non vi era prova dell’effettivo sostenimento; ha dato, altresì, atto che in appello le contribuenti avevano lamentato che la ripresa a tassazione si fondava su fatto differente in quanto l’Ufficio non aveva contestato che si trattasse di spese non provate, bensì che si trattava di spese per omaggi a fornitori e clienti anche delle consorelle.
Premesso che è evidente che l’una contestazione contiene l’altra , in quanto affermare che i costi erano riferibili ad altra società equivale ad escludere la prova dei medesimi, la RAGIONE_SOCIALE ha escluso la fondatezza del motivo osservando che la stessa parte appellante aveva ammesso
che i costi, anche se effettuati in relazione ad aziende sorelle, non erano provati.
La RAGIONE_SOCIALE, pertanto, lungi dal rendere motivazione contraddittoria, ha ritenuto assorbente la mancanza di prova dei costi, ovvero contestazione implicita nel rilievo dell’Ufficio .
Il settimo motivo, da esaminarsi in via preliminare rispetto al sesto, perché prospetta error in procedendo che determinerebbe la nullità, in parte qua, della sentenza, è infondato per ragioni analoghe a quelle spese con riferimento al secondo motivo.
14.1. La RAGIONE_SOCIALE si è espressamente pronunciata sulla tassazione di maggiori ricavi per vendita in nero degli imballaggi (cfr. pag., 12 e ss. della sentenza impugnata).
Va ribadito, pertanto, quanto già detto nel precedente par. 9. di questa sentenza al quale si rimanda.
15 . Il sesto e l’ottavo motivo sono fondati.
15.1. Deve premettersi in fatto che l’avviso di accertamento (versato in atti) si fondava sul riscontro di una differenza inventariale in quanto risultavano acquistati imballaggi (casse, nella specie) il cui costo era stato portato in deduzione, che non erano stati rinvenuti tra le rimanenze e dei quali non vi era traccia nelle fatture che, invece, facevano riferimento ad altro tipo di imballaggi.
15.2. In tema di imballaggi, va rimarcato che il d.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 (regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto), emanato in attuazione dell’art. 3, comma 137, legge 23 dicembre 1996, con efficacia sostitutiva della disciplina dettata dal l’art. 53 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53 (cfr. art. 5, comma 2) trova applicazione, in linea di massima, in virtù del principio di unitarietà dell’ordinamento, anche in materia di imposte dirette (in questo senso Cass. 02/09/2022, n. 25919, Cass. 24/06/2021, n. 18211, Cass. 10/06/2008, n. 15312).
L’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 441 del 1997 prevede che si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti; il successivo comma 2, ed anche l’art. 2, prevedono tipologia e modalità della prova contraria a carico del contribuente idonea a vincere la presunzione di cessione; l’art. 4, prevede, infine, che gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche e che le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al l’art. 14, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo.
15.3. In ragione di tale assetto normativo, questa Corte ha chiarito che, ai fini dell’operatività della presunzione legale (relativa) di cessione, occorre che la differenza quantitativa, in negativo, tra beni esistenti nei luoghi sopra indicati e quelli acquistati, importati o prodotti, risulti o a seguito della verifica fisica dei beni giacenti, oppure dal confronto -differenza inventariale -tra la consistenza delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al l’ art. 14 cit. o di altra documentazione obbligatoria (Cass. 25919 del 2022 cit. Cass. n. 18211 del 2021);
Si è osservato che la norma si riferisce alle cd. differenze inventariali, ovvero a quelle differenze che si possono registrare nelle giacenze di magazzino tra le quantità dei beni iscritti nell’inventario annuale e quelle che si possono verificare in corso d’anno per effetto di cali fisici, errato utilizzo dei codici identificativi all’atto del carico e/o AVV_NOTAIO scarico, ammanchi, distruzioni e fatti analoghi, che l’imprenditore
è autorizzato a far constare a mente del l’art. 14, comma 1, lett d) , d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale nelle scritture ausiliare di magazzino possono inoltre essere annotati, anche alla fine del periodo d’imposta, i cali e le altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra le giacenze fisiche effettive e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico. Ancorché, dunque, le variazioni nella consistenza del magazzino in questo caso non siano da porsi in relazione a finalità di evasione dell’imposta, in quanto esse, come comunemente si afferma, si connettono ad un fenomeno del tutto fisiologico nell’andamento dell’impresa, il legislatore non per questo ha ritenuto che non dovesse trovare applicazione la presunzione di cessione più generalmente stabilita per i beni che non si rinvengono presso i luoghi in cui l’impresa svolga la propria attività o quelli ad essi assimilati, sicché in applicazione della norma più sopra citata anche per le differenze inventariali trova applicazione la presunzione anzidetta (Cass. 25919 del 2022 cit.).
Si è in presenza, pertanto, come questa Corte ha già avuto occasione di ribadire, sia nel vigore del l’art. 53 d.P.R. n. 633 del 1972, sia con riguardo al d.P.R. n. 441 del 1997 di presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle cosiddette miste, che consentono, cioè, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, ma unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova ivi tassativamente prefigurati e stabiliti ad evidenti fini antielusivi (Cass. 25919 del 2022 cit.).
Pertanto, è onere della parte provare che la contrazione registratasi nella consistenza del magazzino non sia frutto di cessioni o acquisizioni non contabilizzate; prova che, come pure ricordato, non può essere data con qualunque mezzo, ma solamente con le prove tassativamente indicate dagli art. 1 e 2 d.P.R. n. 441 del 1997 (cfr. Cass. 27/05/2015 n. 10915 nella quale si è pure osservato che sebbene l’idoneità delle
cd. differenze inventariali a legittimare l’applicazione della presunzione di cessione e/o di acquisto in evasione di imposta trovi resistenze in dottrina e che talune delle argomentazioni sollevate abbiano convinto l’amministrazione -con la circolare 31/2006 -a raccomandare in sede di verifica un’attenta valutazione delle circostanze di specie, tanto non può influenzare il giudizio sulla legittimità di essa allorché sia sfociata in un atto formale di contestazione, rendendosi di fronte ad esso applicabili le sole norme di legge).
Concludendo, soltanto se il contribuente dimostri che i beni non rinvenuti sono stati impiegati nella produzione, perduti o distrutti (art. 1, comma 2, lett. a) ovvero sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprietà (lett. b) e sempre che la perdita -dovuta anche ad eventi fortuiti, accidentali e non imputabili a volontà del contribuente -sia attestata da documentazione o dichiarazione sostitutiva di notorietà, trasmessa entro trenta giorni dall’evento ad un organo della PRAGIONE_SOCIALE, ovvero la cessione gratuita o la distruzione o trasformazione dei beni sia comunicata nel breve termine di cinque giorni alla Guardia di Finanza.
Pertanto, secondo l’orientamento di questa Corte, ai fini dell’operatività della presunzione legale relativa di cessione di cui al d.P.R. n. 441 del 1997, occorre sì che la differenza quantitativa, in negativo, tra i beni esistenti nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni e quelli acquistati importati o prodotti risulti a seguito della verifica fisica dei beni giacenti, ma ciò non rende inapplicabili le concorrenti disposizioni generali che consentono la rettifica delle dichiarazioni fiscali anche sulla base di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.; sicché è comunque possibile desumere l’omessa contabilizzazione di ricavi
anche dal confronto, per differenza inventariale, tra la consistenza delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino (di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 14, comma 1, lett. d)) o di altra documentazione obbligatoria.
15.4. La C.t.r. non si è attenuta a questi principi. Infatti, a fronte della contestazione di una differenza inventariale, ancorché relativa ad imballa ggi, ha ritenuto applicabile l’art 12 d.P.R. n. 633 del 1973, che reca il regime di tassazione delle prestazioni accessorie e che gravasse sul contribuente la prova che le casse fossero state adibite a funzioni accessorie.
Così motivando, tuttavia, non ha colto l’aspetto rilevante del recupero a tassazione che si fondava, non sullo specifico regime tributario da applicare alle prestazioni accessorie, ma, appunto, su una differenza inventariale e sulla conseguente presunzione di vendita in nero; di conseguenza ha travisato la prova contraria gravante su contribuente che non atteneva alla natura accessoria della merce non rinvenuta. Questi, infatti, era tenuto a provare che la contrazione registratasi nella consistenza del magazzino non fosse frutto di cessioni o acquisizione non contabilizzate, prova che, come riferito, non può essere data con qualunque mezzo, ma solamente secondo le disposizioni di cui agli art. 1 e 2 d.PR. n. 441 del 1997.
La C.t.r., pertanto, in sede di rinvio dovrà accertare con specifico riferimento a detto rilievo se, a fronte della differenza inventariale, la contribuente abbia offerto idonea prova contraria entro i limiti di legge sopra evidenziati.
16. In conclusione, vanno accolti il terzo, il quarto, il sesto, e l’ottavo motivo di ricorso, disattesi gli ulteriori. La sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa
composizione, che si atterrà ai principi esposti e si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo, il quarto, il sesto e l’ottavo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 9 maggio 2024.