Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12588 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 12588 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
Oggetto: Deducibilità costi –
Art. 109 t.u.i.r. – Inerenza –
Nozione – Giudizio di rinvio –
Oggetto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22090/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE a socio unico in Amministrazione Straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore , e RAGIONE_SOCIALE a socio unico in Amministrazione Straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentate e difese, in virtù di procure speciali rilasciate su fogli separati ed allegati a l controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale ha indicato l’indirizzo pec EMAIL
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia, n. 90/03/2024, depositata in data 15 marzo 2024.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 1° aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito per la ricorrente l’Avv. dello Stato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. All’esito della verifica fiscale condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Roma nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE socio unico, l’Agenzia delle entrate emetteva quattro avvisi di accertamento (nn. TIA080200073/2011 e TIA030200074/2011, relativi all’anno 2006, e nn. TIA080200045/2012 e TIA030200046/2011, relativi all’anno 2007) con i quali rettificava le dichiarazioni rese dalla società ai fini IRES, IVA ed IRAP.
Gli atti impositivi traevano origine dalla contestazione della deducibilità di costi sostenuti dalla società per l’utilizzo di marchi, rappresentati dai corrispettivi versati a titolo di royalties alla licenziante RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE (Euro 1.398.818,00 più IVA nel 2006, Euro 1.472.979,00 più IVA nel 2007), disconosciuta dall’Amministrazione finanziaria per difetto di inerenza , in quanto i marchi non erano stati utilizzati.
I due avvisi relativi all’IRES venivano notificati anche alla licenziante, in quanto con gli stessi l’Ufficio aveva provveduto ad accertare e liquidare la maggiore IRES dovuta da quest’ultima, società consolidante, in relazione alle minori perdite della consolidata RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelle trasferite.
Le società impugnavano con distinti ricorsi gli avvisi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Trieste, deducendo: a) il difetto di motivazione; b) l’inerenza dei costi all’attività di impresa ; c) l’illegittimità della sanzione per la tenuta della contabilità in modo non conforme alla legge.
La CTP, riuniti i giudizi, li rigettava, ritenendo adeguatamente motivati gli avvisi di accertamento e ‘di difficile comprensione e motivazione’ le altre censure mosse.
Avverso tale decisione le società interponevano distinti appelli innanzi alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, che riuniti i ricorsi, li rigettava confermando la decisione di primo grado ; in particolare riteneva corretto l’operato dell’Ufficio in punto di estraneità dei costi all’attività di impresa: ‘la legittimità del recupero, oltre che dalla sostanziale accettazione delle risultanze fattuali dell’accertamento, appare giustificata dal sostanziale silenzio serbato da parte appellante in ordine ai presupposti di deducibilità dei costi in contestazione. Non vi è, infatti, alcun riferimento in merito all’inerenza dei costi sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE per i marchi dichiaratamente decaduti per ‘non uso”.
Avverso la sentenza della CTR le società proponevano due distinti ricorsi per cassazione, affidati rispettivamente a nove e due motivi; precisamente la RAGIONE_SOCIALE deduceva:
con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 53, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per aver la sentenza impugnata sostanzialmente omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello avente ad oggetto la statuizione della sentenza di primo grado che aveva affermato l’indeterminatezza delle censure mosse agli avvisi di accertamento, in relazione al rilievo concernente l’indeducibilità dei costi per difetto di inerenza;
con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine al motivo di impugnazione originaria afferente il difetto di motivazione degli atti impositivi, in relazione al medesimo rilievo, ritenuto inammissibile in primo grado e non esaminato, benché tale statuizione fosse stata oggetto di gravame, in sede di appello;
la violazione e falsa applicazione degli artt. 42, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 56, d.P.R. 26 ottobre 1972, n 633, per aver la sentenza impugnata ritenuto adeguatamente motivati gli atti impositivi;
la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, quinto comma, Testo unico 22 dicembre 1986, n. 917, per aver il giudice di appello escluso l’inerenza dei costi relativi alle royalties versate per l’utilizzo di marchi;
con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 57, d.lgs. n. 546 del 1992, per aver sostanzialmente omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello avverso la statuizione della sentenza di primo grado che aveva erroneamente affermato l’indeterminatezza delle censure mosse agli avvisi di accertamento, in relazione al rilievo concernente la irregolare tenuta della contabilità;
con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine al motivo di impugnazione originario afferente il difetto di motivazione degli atti impositivi, in relazione al medesimo rilievo, ritenuto inammissibile in primo grado e non esaminato, benché tale statuizione fosse stata oggetto di gravame, in sede di appello;
la violazione dell’art. 12, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per aver la sentenza impugnata escluso l’applicabilità del cumulo giuridico alle sanzioni irrogate;
con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione degli artt. 12, settimo comma, l. n. 212 del 2000, e 57, d.lgs. n. 546 del 1992, per aver ritenuto inammissibile l’eccezione concernente il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento in ragione della sua novità;
con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omesso esame della violazione del richiamato art. 12, settimo comma, l. n. 212 del 2000.
La RAGIONE_SOCIALE affidava il suo ricorso a due motivi sostanzialmente coincidenti con quelli spiegati dalla RAGIONE_SOCIALE.p.a. sub d) e f).
Dopo la notifica del ricorso la RAGIONE_SOCIALE veniva sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria.
L ‘Ufficio resisteva con distinti controricorsi.
3.1. Questa Corte, con sentenza n. 1290/2024, dichiarava inammissibili i motivi primo, secondo, quinto, sesto, ottavo e nono del ricorso della Bernardo, nonché il primo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE e rigettava il terzo motivo del ricorso della Bernardo; accoglieva il motivo, svolto da entrambe le società, relativo alla sussistenza dell’inerenza del costo, così motivando:
«il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo (cfr. Cass. 17 luglio 2018, n. 18904; Cass. 11 gennaio 2018, n. 450)»;
«la prova dell’inerenza deve investire i fatti costitutivi del costo, sicché è onere del contribuente dimostrare (e documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto d’impresa perché in correlazione con l’attività imprenditoriale.
Un giudizio di tipo quantitativo sul rapporto tra il costo sostenuto e il vantaggio conseguito assume rilevanza, in tema di imposte sui redditi, solo qualora evidenzi un’evidente incongruità dell’operazione, ossia la sua antieconomicità, in quanto non improntata, secondo l’ id quod plerumque accidít , al conseguimento di una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti.
La sproporzione tra i due valori assume valore sintomatico, di indice rivelatore del fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è diverso ed estraneo all’attività d’impresa, ossia che l’atto, in realtà, non è correlato alla produzione, ma assolve ad altre finalità, per cui difetta il requisito dell’inerenza»;
-«una siffatta interpretazione del concetto di inerenza risulta coerente con la giurisprudenza unionale, la quale, in tema di i.v.a., ha evidenziato che il sistema comune dell’imposta garantisce la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle stesse, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’i.v.a. e che, pertanto, il soggetto passivo è autorizzato a detrarre l’i.v.a. dovuta o versata per i beni o servizi acquistati quando, agendo in quanto tale nel momento dell’acquisto di detti beni o servizi, li utilizzi ai fini delle proprie operazioni imponibili, sia che esista un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che danno diritto a detrazione, sia che manchi un tale nesso, quando le spese sostenute fanno parte dei costi generali del soggetto passivo e rappresentano, in quanto tali, elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce (cfr. Corte Giust. 22 ottobre 2015, NOME; Corte Giust. 18 luglio 2013, AES-3C Maritza East 1; Corte Giust. 29 ottobre 2009, SKF).
In tema di i.v.a., pertanto, l’inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa»;
– «la Commissione regionale, nell’escludere la sussistenza del requisito dell’inerenza del costo rappresentato dal pagamento delle royalties per il conseguimento della facoltà di utilizzare marchi di impresa in ragione del fatto che la contribuente non aveva mai utilizzato tali segni distintivi nell’esercizio della sua attività d’impresa, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi.
Ha, infatti, fatto ricorso ad un criterio valutativo fondato sulla utilità derivata dalla spesa sostenuta e non già sulla sua riferibilità, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, all’attività d’impresa».
Anche il motivo, relativo al cumulo delle sanzioni, proposto solo dalla Bernardo, veniva accolto: «il giudice di appello ha evidenziato, in proposito, che la sanzione irrogata per la presentazione di dichiarazione infedele ai fini i.r.e.s. era stata determinata con riferimento alla maggiore imposta accertata, calcolata, per effetto dell’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo, in relazione al reddito complessivo del consolidato nazionale del gruppo societario di appartenenza della contribuente, e che tale circostanza ostasse all’applicabilità dell’istituto del cumulo giuridico alle sanzioni irrogate (anche) per la medesima condotta rilevante anche ai fini i.v.a. e i.r.a.p..
Orbene, l’art. 12, primo comma, d.lgs. n. 472 del 1997, stabilisce che è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi (cd. concorso formale).
In considerazione del carattere generale di tale disposizione e dell’assenza di ragioni -espresse o dettate da specifiche incompatibilità – che ostano all’applicazione di una siffatta disciplina sanzionatoria, la statuizione resa sul punto dal giudice di appello non può condividersi».
3.3. In definitiva, questa Corte, accolti il terzo ed il settimo motivo del ricorso della COGNOME, ed il primo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE cassava la sentenza impugnata, in relazione ai detti motivi, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Il giudizio veniva riassunto dalle società, chiedendo l’accoglimento degli originari gravami proposti.
La CGT-2 accoglieva gli appelli, ritenendo insussistente il requisito dell’inerenza del costo, e dichiarava assorbita la doglianza relativa alle sanzioni.
Avverso la decisione della CGT-2 in sede di rinvio propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi.
Le contribuenti hanno resistito con controricorso.
All’udienza pubblica del 01/04/2025 il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso. L’avvocato dello Stato, NOME COGNOME ha chiesto accogliersi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., la «nullità della sentenza affetta da motivazione elusiva del giudicato derivante dalla sentenza Cass. Civ. n. 1290/20; con violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 384 e 394 c.p.c. e conseguentemente degli artt. 2697 c.c. e 109 d.P.R. 917/86». In particolare, afferma che la Suprema Corte aveva rimesso al giudice del rinvio l’indagine circa la ‘riferibilità, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, all’attività d’impresa’ dei costi la cui deducibilità era stata disconosciuta dall’Ufficio; indag ine che andava condotta a prescindere da valutazioni utilitaristiche o quantitative, salva l’ipotesi di una evidente antieconomicità dell’operazione. Di contro, la C GT-2 aveva indagato ulteriori aspetti (esistenza di un contratto, assenza di finalità elusive/evasive, tassazione di gruppo e libertà delle scelte imprenditoriali), che nulla hanno a che vedere con l’analisi richiesta dalla Corte con la sentenza di annullamento con rinvio della prima pronuncia della CTR.
Il motivo è fondato.
1.1. In ipotesi di cassazione con rinvio, la struttura chiusa del giudizio di rinvio comporta che il giudice di questo è vincolato alle
statuizioni della sentenza che lo ha disposto (Cass. 11/10/2024, n. 26545, secondo cui il giudice del rinvio non può prendere in considerazione l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità intervenuta successivamente alla pronuncia rescindente), salva la rilevanza dello ius superveniens che abbia abrogato la disciplina sulla base della quale era stato enunciato il principio di diritto (Cass. 24/12/2024, n. 34382).
1.2. Ciò posto, è opportuno riportare, in sintesi, la motivazione posta dalla CGT-2 a base dell’accoglimento , in sede di rinvio, dei gravami proposti dalle contribuenti: dopo aver convenuto con la sentenza n 1290/2020 sul fatto che ‘vada escluso il c.d. criterio ‘dell’utilità’ tipicamente espressivo di una correlazione al rischio d’impresa in termini di scelte gestionali’, la C GT-2 esamina la fattispecie sotto un duplice profilo, ovvero a) il rapporto contrattuale tra ‘i soggetti coinvolti’ e b) ‘il rapport o societario tra controllante e controllata, posto a base della scelta per la tassazione consolidata, a mente degli artt. 117 e ss. tuir’ (pagina 3 della sentenza). Sotto il primo profilo, afferma che il contratto ‘pone una base per la derivazione contabile e fiscale delle obbligazioni conseguenti’ e non sono emerse ‘finalità fiscali elusive se non proprio, in frode agli interessi erariali’; trattandosi di rapporto contrattuale non afferente ad interessi estranei alle due società, dalle obbligazioni ivi previste non possono derivare effetti fiscali diversi da quelli che la legge vi riconduce. Sotto il secondo profilo, dopo aver ricordato la tassazione di gruppo ex artt. 117 e ss. t.u.i.r., afferma che non vanno considerate ‘le valutazioni contabili o di valore espresse strictu sensu dall’Ufficio, poiché alla base vi sono scelte gestionali che, competono esclusivamente all’imprenditore e non possono essere sindacate dall’Amministrazione finanziaria’ (pagina 4 della sentenza). Aggiungeva, poi, una riflessione sulla illogicità della concessione del marchio, ‘operata in regime di non esclusiva’.
1.3. La motivazione, come sostenuto dalla ricorrente, effettivamente rispecchia una indagine diversa da quella demandata
al giudice di secondo grado nella sentenza di rinvio emessa da questa Corte; invero, difetta completamente qualsiasi valutazione della correlazione tra costo ed attività di impresa (il cui onere probatorio incombe sul contribuente), proprium del principio di inerenza che giustifica la deducibilità del costo, nel rispetto dei principi costantemente affermati da questa Corte e richiamati nella sentenza n. 1290/2020.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento degli altri due (con i quali l’Agenzia lamenta rispettivamente l’ error in iudicando per la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2829 cod. civ., e l’ error in iudicando per la violazione dell’art. 117 t .u.i.r.).
In definitiva, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in relazione alla censura accolta, ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia Giulia, perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio in relazione alla censura accolta, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1° aprile 2025.