Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30386 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30386 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (cf: CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso la quale domicilia in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
E
NOME (cf: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO e dall’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio professionale di quest’ultimo in INDIRIZZO;
-controricorrente/ricorrente incidentale –
avverso
la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sez. V, n. 967/5/16, emessa l’11/5/20 16 e depositata il 7/9/2016;
Oggetto: accertamento analitico induttivodeducibilità automatica dei costi in via forfettariaonere della prova della maggiore incidenza a carico del contribuente
ascoltata la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nell’adunanza camerale del 5 novembre 2025 ;
La Corte osserva:
Fatti di causa
1.La Corte Tributaria Regionale del Veneto, rigettate le eccezioni preliminari formulate dall’RAGIONE_SOCIALE di inammissibilità dell’appello per inesistenza di specifiche censure alla sentenza di primo grado e di inammissibilità RAGIONE_SOCIALE domande formulate per la prima volta in secondo grado in violazione del disposto di cui all’art. 57 del D.lgs.546/1992, ha ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente, a sostegno RAGIONE_SOCIALE giustificazioni già formulate nella fase del pre contenzioso e riprese nel giudizio di primo grado ed in quello di appello, non fosse idonea ad assolvere all’onere della prova posto a suo carico relativamente alle verifiche riferite alle movimentazioni bancarie sui propri conti correnti e su quelli della società. In particolare, la Corte ha rilevato che, per giustificare le movimentazioni bancarie risultate dall’analisi dei conti correnti, l’onere della prova fosse a carico del contribuente e che esso dovesse essere soddisfatto, sia per le somme in entrata che per quelle in uscita, attraverso la produzione di documentazione avente data certa con specifica individuazione RAGIONE_SOCIALE causali e dei beneficiari, soprattutto laddove il riscontro tra le movimentazioni bancarie e la contabilità aziendale non fosse sussistente o fosse largamente carente. Nel caso di specie, ad avviso della Commissione Tributaria Regionale, vi erano movimentazioni, effettuate spesso per contanti, che risultavano giustificate soltanto attraverso dichiarazioni di terzi prive di riscontri oggettivi; inoltre, non vi erano specifiche indicazioni sulla causale RAGIONE_SOCIALE movimentazioni in uscita e sulla destinazione RAGIONE_SOCIALE somme, e, quanto alle discrepanze tra quanto rilevato attraverso l’analisi dei POS e la contabilità, doveva
ritenersi insufficiente il richiamo a differenze dovute ai diversi tempi di accredito e di valuta.
Con riferimento alla doglianza relativa ai costi non riconosciuti, la Commissione ha precisato che l’oggetto dell’attività svolta dalla società di cui era titolare il contribuente, chiusa nel 2009, era la vendita al minuto presso un centro commerciale di Pove del Grappa, e che nel caso di attività commerciale dovesse ritenersi evidente che la merce venduta fosse stata acquistata da terzi, rappresentando quindi un costo certamente sostenuto in qualche misura, da considerare unitamente agli altri costi fissi di esercizio, pur in assenza di un’indicazione contabile precisa, in quanto l’utile derivante dall’attività commerciale costituisce esclusivamente una percentuale, il c.d. ricarico, dei costi necessari per l’acquisto della merce. Evidenziato che, nel caso di specie, si trattava di una verifica fiscale incentrata inizialmente sui costi sostenuti e portati in deduzione e che poi si è ampliata ad un’analisi RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie, all’esito del riscontro di movimentazioni di entità tali da non essere giustificate rispetto al giro di affari dichiarato dalla società, e che l’Ufficio ha presunto l’esistenza di ricavi non dichiarati ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette ed ha contestato anche la dichiarazione IVA relativamente agli importi rilevati, la Corte territoriale ha evidenziato che la quantificazione dei costi -in assenza di idonea documentazione comprovante il loro sostenimento e, soprattutto, nel caso di applicazione della presunzione legale concernente i prelevamenti- può essere ragionevolmente presunta applicando la percentuale dei costi prevista dallo studio di settore tipico per l’attività commerciale svolta ai maggiori ricavi accertati dall’Amministrazione Finanziaria, al fine di ricostruire in maniera esaustiva l’attività economica complessivamente svolta per l’annualità di interesse.
La Corte Tributaria Regionale, quindi, ha accolto parzialmente l’appello del contribuente e, in riforma della sentenza n. 46/2015 sez. 4 della Commissione provinciale di Vicenza, ha accolto il ricorso introduttivo del giudizio presentato dal contribuente limitatamente al riconoscimento dei costi nella percentuale prevista nello studio di settore riguardante l’attività svolta, confermando la restante parte della pronuncia e compensando tra le parti le spese del giudizio.
2.Avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi di ricorso.
Il contribuente si costituisce con controricorso contenente ricorso incidentale. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza camerale del 5 novembre 2025 nella quale veniva discusso e deciso.
Ragioni della decisione
1.L’RAGIONE_SOCIALE, con il primo motivo di ricorso , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39 D.P.R. 600/1973, dell’art. 54 D.P.R. 633/1972, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 62 bis D.L. 427/1993 e del D.M. del 20/3/2007 in GU 76 del 31/3/2007.
1.1. La ricorrente osserva che la Corte Tributaria Regionale ha riconosciuto come nel caso di specie l’Ufficio avesse svolto un accertamento analitico induttivo, ai sensi degli artt. 39 e 41 bis del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 54 D.P.R. 633/1972 e che, pertanto, avrebbe dovuto riconoscere costi non contabilizzati e non dichiarati soltanto se vi fosse stata la prova degli stessi, laddove invece, erroneamente, ha ritenuto sussistente la prova presuntiva di detti maggiori costi, individuando elementi presuntivi inesistenti. In particolare, la Corte ha affermato che in caso di attività commerciale ad un ricavo si contrappone necessariamente un costo, ma l’elemento indicato non consente alcuna inferenza a favore del contribuente,
neppure meramente indiziaria, non avendo accertato la Commissione Tributaria Regionale se il contribuente avesse dichiarato o meno i costi nel 2008 e, in caso affermativo, per quale importo. L’ulteriore elemento di presunzione considerato dalla Commissione Tributaria Regionale relativo a movimentazioni bancarie de ll’attività di impresa doveva invece ritenersi inesistente, poiché dalla lettura del PVC risultava che dall’indagine bancaria erano emerse operazioni di import ed export non congrue in quanto eccessive rispetto al volume di affari, e che, comunque, anche a voler ritenere esistente l’elemento presuntivo evidenziato, dallo stesso non potevano desumersi inferenze a favore dell’esistenza di costi non contabilizzati: nel caso di movimentazioni bancarie superiori al volume di affari dichiarato il dato rappresenta solo versamenti, incassi eccedenti, ma nulla esprime rispetto ad eventuali costi occulti. La Commissione Tributaria Regionale, invece, ha sottinteso che ad ogni ricavo non dichiarato dovesse necessariamente corrispondere un costo non dichiarato, laddove invece l’evasione ben può essere realizzata con il solo occultamento dei ricavi (essendo stati dichiarati nel caso in esame ingenti costi). Inoltre, il giudice d’appello ha utilizzato una presunzione legale in ordine ai prelevamenti senza precisare quale fosse: i prelevamenti non giustificati sono stati considerati ricavi e, pertanto, non potevano essere considerati costi, ai fini Iva sono stati considerati acquisti non dichiarati; in ogni caso, la presunzione legale doveva ritenersi operante soltanto a favore dell’Ufficio. Infine, gli studi di settore non potevano valere a far ritenere provati maggiori costi non contabilizzati, né da essi potevano trarsi le percentuali di detti costi o le percentuali di ricarico in via generale.
RAGIONE_SOCIALE, con il secondo motivo di ricorso, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deduce la nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) dell’art. 36 del D.lgs. 546/1992 .
2.1. La motivazione svolta dalla Commissione Tributaria Regionale, nell’accogliere la domanda subordinata del contribuente , è carente ed apparente, atteso che, senza accertare se il contribuente avesse dichiarato costi, vengono dichiarati costi non quantificati, e non si precisa se essi siano maggiori, minori o eguali rispetto a quelli dichiarati; inoltre, viene utilizzato un criterio incerto di determinazione mediante il rinvio a percentuali di costi ricavati da studi di settore genericamente indicati. In via apodittica la Commissione ha affermato che ad un ricavo evaso deve contrapporsi un costo non dichiarato, che dalle movimentazioni non riscontrate nel volume di affari della società possano trarsi elementi per supporre l’esistenza di costi neri, e che si traeva un elemento di presunzione dal fatto che rispetto ai prelevamenti non giustificati era stata utilizzata una presunzione legale, pur non precisando quale e anche ipotizzando il riferimento alle percentuali di ricarico-indice di coerenza-indicate negli studi di settore non risultava precisato quale tra le tre percentuali previste (calcolata, minimo e massima) dovesse considerarsi e quali fossero i dati da considerare per calcolare detti indici; di qui la carenza di motivazione.
Il controricorrente contesta i motivi di ricorso proposti dall’RAGIONE_SOCIALE e propone incidentale affidandosi ad un unico motivo.
3.1. In particolare, nel ricorso incidentale la parte privata censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 e 111 Cost. e del D.lgs. 546/1992 e dell’art. 7, comma 4, e 116 c od. proc. civ., degli artt. 2697, 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c od. proc. civ., oltre che l’ omessa, l’ insufficiente e la contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia.
3.2. Il ricorrente incidentale deduce che la documentazione prodotta, riportata nel controricorso, avrebbe dovuto consentire di ritenere dimostrata la legittimità RAGIONE_SOCIALE movimentazioni di denaro, dei
rimborsi di prestiti ricevuti da connazionali, e della estraneità dei flussi rispetto all’attività commerciale. In particolare, si trattava della documentazione di seguito sinteticamente richiamata, non valutata dall’Amministrazione e neppure nei due gradi di giudizio: 1) copia della normativa cinese tradotta e del contratto di vendita dei preziosi a riscontro della provenienza del denaro e della legittimità della disponibilità in conto corrente di somme provenienti dal Paese di origine, a suo avviso non in erenti all’attività commerciale svolta ed alle operazioni di import-export rilevate; 2) verbale della Guardia di Finanza sugli esiti degli accertamenti bancari anni 2008-2009 sui conti correnti della ditta individuale e personali, corredati RAGIONE_SOCIALE annotazioni e giustificazioni sui flussi di denaro dall’uno all’altro conto ; 3) certificazioni bancarie, dichiarazioni di soggetti terzi, copie di assegni, di ricevute e scontrini.
Il ricorso principale è infondato.
4.1. In via logicamente prioritaria va esaminato il secondo motivo di ricorso, nel quale l’RAGIONE_SOCIALE prospetta il vizio di carenza di motivazione e di apparenza della stessa.
Il motivo è infondato.
4.2. Va premesso, in via generale, che il vizio di motivazione, prospettato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., può essere rilevato laddove l’impugnazione della sentenza si fondi su un’interpretazione della legge che, sorretta da una motivazione contraddittoria e/o insufficiente, debba ritenersi errata. Ed infatti, la motivazione è strumentale alla ricostruzione d ell’iter logico seguito dal giudice nella stesura del provvedimento e, pertanto, non rileva di per sé, potendo essere censurata soltanto laddove sorregga una decisione fondata sulla errata applicazione o interpretazione della legge. Più precisamente, l’anomalia motivazionale denunciabile in cassazione è quella che si tramuta in una violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Più precisamente, tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione, dovendosi garantire il c.d. minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Cass. ord. n. 19573/2025, Cass. ord. n.26206/2025).
4.3. Nel caso di specie dall’esame della sentenza impugnata , sopra sinteticamente illustrata, risultano precipuamente indicati gli elementi posti a fondamento della decisione in ordine alla questione della deducibilità dei costi in questa sede censurata, rendendo possibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento sotteso alla decisione impugnata; sono espresse in modo analitico e chiaro, con riferimento al tipo di accertamento espletato, le ragioni della ritenuta deducibilità dei costi, della presunzione iuris tantum riconosciuta laddove siano accertati prelevamenti non giustificati e, quindi, maggiori ricavi, della necessaria previsione di costi ulteriori da quantificare presuntivamente secondo la percentuale prevista dallo studio di settore tipico per l’attività commerciale svolta, anch’essa espressamente indicata. Le ulteriori deduzioni svolte dalla ricorrente nel motivo di censura sopra riportato attengono piuttosto a questioni di fatto che esulano dal presente giudizio di legittimità, essendo volte essenzialmente ad una inammissibile rivalutazione nel merito della decisione impugnata.
Il primo motivo di ricorso relativo alla deducibilità dei costi in ambito di accertamento analitico contabile compiuto mediante indagini bancarie è infondato.
5.1. L’Ufficio ha emesso un avviso di accertamento nei confronti del contribuente a seguito di una verifica RAGIONE_SOCIALE movimentazioni sui conti bancari intestati allo stesso raffrontati con la documentazione contabile della ditta individuale.
La verifica, iniziata nei confronti della ditta individuale, consentiva, inizialmente, di contestare al contribuente l’indebita deduzione di una fattura relativa ad una manutenzione di un’autovettura in leasing registrata come deducibile al 60% e di una fattura relativa ad un corso di inglese, e, successivamente, di constatare l’elevato importo di movimentazioni import-export rispetto al volume di affari della ditta e di procedere ad una verifica fiscale, previa autorizzazione ex art. 32 D.P.R. 600/1972, dalla quale emergeva che le somme attinenti alle operazioni di prelievo per le quali la parte non aveva fornito il nominativo del beneficiario fossero da considerarsi ricavi sottratti a tassazione con conseguente notifica dell’avviso di accertamento nel quale risultavano ripresi a tassazione versamenti di euro 68.482,43 per i quali il contribuente non aveva riportato corrispettivi di vendita registrati in contabilità per i medesimi importi e non era stato in grado di dimostrare di averne tenuto conto nella dichiarazione e per la determinazione del reddito soggetto d’imposta – e prelevamenti pari ad euro 30.800,00 -per i quali il contribuente non era stato in grado di dimostrare ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette di averne tenuto conto nella determinazione del reddito e non aveva saputo indicare il beneficiarioche non risultavano transitati nelle scritture contabili.
5.2. L ‘accertamento svolto in relazione alla ditta individuale attiva dal 2/9/2003 al 31/12/2009 è stato, dunque, condotto mediante indagini bancarie e, pertanto, induttivamente, nell’ambito di un accertamento analitico, come risulta pacificamente dagli atti e dal richiamo agli artt. 32 comma 1, punto 2, e 39 comma 1 lett. c) D.P.R. 600/1973, 41 bis D.P.R. 600/1973 e 54 comma 2 D.P.R. 633/1972.
Deve quindi evidenziarsi che, in virtù dell’art. 32 D.P.R. 600/1973 , vige la presunzione secondo cui i prelevamenti e i versamenti operati sui conti correnti bancari, non annotati contabilmente, vanno imputati ai ricavi conseguiti nella propria attività dal contribuente che non ne dimostri l’inclusione nella base imponibile oppure l’estraneità alla produzione del reddito: si presume, infatti, che il contribuente con rilevante probabilità si sia avvalso del conto corrente per effettuare rimesse e prelevament i inerenti all’esercizio di impresa.
La disposizione censurata pone, quindi, in favore del fisco una presunzione legale che muove dall’utilizzazione, da parte dell’ufficio, di «dati ed elementi» acquisiti a seguito di indagini finanziarie -e, segnatamente, nella specie, di quelle bancarie- per fondare su di essi, sia che si tratti di prelevamenti che di versamenti, le rettifiche RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei redditi determinate in base alle scritture contabili RAGIONE_SOCIALE persone fisiche e non, di cui agli artt. 38, 39 e 40 dello stesso D.P.R. n. 600 del 1973, e gli accertamenti d’ufficio, di cui al successivo art. 41. Si tratta di una presunzione a carattere relativo, quindi iuris tantum, e non già assoluta, perché opera solo se il contribuente non offre la prova contraria, potendo in particolare dimostrare, alternativamente: a) che di tali dati ed elementi «ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta»; b) o che essi «non hanno rilevanza allo stesso fine»; c) oppure che i prelevamenti e gli importi riscossi «risultano dalle scritture contabili»; d) o, infine, che gli stessi hanno un determinato «soggetto beneficiario», indicato puntualmente dal contribuente. In mancanza di prova contraria, i prelevamenti e gli importi riscossi sono considerati «ricavi» e possono essere posti a base RAGIONE_SOCIALE rettifiche e degli accertamenti suddetti per determinare il reddito imponibile nel regime RAGIONE_SOCIALE imposte dirette.
5.3. Tanto premesso con riferimento all’accertamento dei maggiori redditi, con precipuo riguardo alla deducibilità dei costi, a fronte di
maggiori ricavi contabilizzati, l’orientamento inizialmente espresso da questa Corte (si veda Cass. n. 34996 del 2022), secondo il quale «In tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario» è stato rivisitato dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023 nel senso di seguito riportato.
5.4. La questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione è stata sollevata in relazione all’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, nella parte in cui la norma pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario. Il giudice rimettente aveva assunto che, in mancanza di giustificazione, un prelievo dal conto potesse essere attribuito, altrettanto ragionevolmente, a costi d’impresa quanto a spese personali, specie nell’ipotesi di piccoli imprenditori individuali in regime di contabilità semplificata, ed aveva rilevato come la giurisprudenza di legittimità non consentisse una deduzione automatica dei costi presuntivamente sostenuti per conseguire i ricavi ottenuti grazie alle somme prelevate senza giustificazione.
La Corte costituzionale, con la sentenza sopra richiamata, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale essendo possibile un’interpretazione adeguatrice della norma in commento.
In particolare, ha osservato che, in caso di accertamento induttivo in senso stretto (o puro), l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio -cui ha fatto riferimento la stessa Corte nella sentenza n. 225 del 2005- secondo il quale deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria, precisando che è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi.
La Corte Costituzionale, nel ricostruire il sistema di riferimento, ha evidenziato che l’accertamento analitico -contabile (che aveva originato l’ incidente di legittimità costituzionale nel 2023) si caratterizza, invece, per la rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili (il bilancio, in particolare) e dall’esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come le risultanze RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie. Pre supposto dell’utilizzo del metodo analitico o misto è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali: in sostanza, la determinazione del reddito è compiuta nell’ambito RAGIONE_SOCIALE risultanze della contab ilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza.
Ed ancora, la Corte Costituzionale ha sottolineato che proprio la presenza di una contabilità generalmente attendibile e una ripresa a tassazione, che si realizza mediante rettifiche di singole poste della stessa, implicano che, ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola ritraibile dall’art. 109 t.u.i.r., in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se
risultano da elementi certi e precisi, dei quali l’onere della prova è a carico del contribuente.
5.5. Da tale sistema, secondo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 10/2023, deriverebbero, però, esiti irragionevoli perché si finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico-induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. La disposizione censurata, pertanto, si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale soltanto laddove la si interpreti «nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi ‘occulti’, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati » (Corte cost. n. 225 del 2005, Corte cost. n. 10 del 2023).
5.6. Va poi aggiunto che, come da ultimo riportato nella pronuncia di questa Corte n. 5586/2023 ‘…l’RAGIONE_SOCIALE, con circolare n. 32/E/2006 (capitolo quinto, punto 5.5), aveva già affermato da tempo, con riguardo agli accertamenti induttivi puri, che «il riconoscimento di costi deve essere livellato -anche in misura percentualistica- in ragione dei maggiori ricavi accertati sulla base del meccanismo presuntivo» di cui all’art. 32, primo comma, n. 2), del d.P.R. n. 600 del 1973.
5.7 In definitiva, a seguito RAGIONE_SOCIALE richiamate pronunce della Corte costituzionale, a fronte di maggiori ricavi vanno riconosciuti i costi, e ciò non soltanto in caso di accertamento induttivo puro ma anche in caso di accertamento analitico induttivo (espletato mediante indagini bancarie), al fine di evitare la disparità di trattamento che verrebbe altrimenti riservata a chi ha tenuto la contabilità. Pertanto, anche nel caso di accertamento con metodo analitico induttivo, deve riconoscersi, ancorché in mancanza di idonea documentazione e di elementi certi e precisi (art. 109 TUIR), una incidenza di costi presunti a fronte di maggiori ricavi, per i quali, in ogni caso, il contribuente può eccepire l’incidenza percentuale degli stessi al fine di detrarli dall’a mmontare dei prelievi non giustificati (si vedano sul punto Cass., ord. n. 18653 del 03/07/2023 secondo cui «in tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti» (cfr. anche Cass. n. 12988/2025).
Ed infatti, riconosciuta ampia prova contraria fondata anche su presunzioni semplici e sul fatto notorio, come ha ricordato la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 10/2023, proprio l’equiparazione tra i due accertamenti, quello induttivo e quello contabile fondato sulle indagini bancarie, impone, da una parte, di riconoscere una quantificazione forfettaria percentuale e, dall’altra, di prevedere un’ampia prova contraria da parte del contribuente, così bilanciando il
regime probatorio favorevole all’Ufficio della duplice presunzione legale.
Sul punto si richiama anche l’orientamento espresso da questa Corte con ordinanza n. 5586/2023 e con ordinanza n.16168 del 16/06/2025, secondo cui, in tema di accertamento dei redditi e tenuto conto dei princìpi espressi nella sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, ogni accertamento induttivo, sia esso analitico-induttivo o induttivo puro, deve tener conto dei costi, forfettari, presuntivamente sostenuti per produrre il reddito imputato al contribuente, affinché il meccanismo di determinazione del reddito fondato su presunzioni rispetti quanto più è possibile il principio di capacità contributiva, per cui il reddito imponibile del contribuente va rideterminato riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati, avvalendosi anche -se del casodell’ausilio di consulenza tecnica d’ufficio (in tal senso la citata Cass. 23/02/2023, n. 5586 e Cass. 18653/2023).
5.8. Nel caso di specie, come si evince dalla lettura della pronuncia impugnata, il contribuente aveva impugnato la sentenza di rigetto di primo grado dolendosi del mancato accoglimento della richiesta di riconoscere u n’incidenza percentuale dei costi, come ricavata dagli studi di settore, a fronte dei maggiori ricavi accertati. A tal fine evidenziava che in ossequio al principio di capacità contributiva occorreva tener conto non soltanto dei maggiori ricavi ma anche de ll’incidenza percentuale dei costi rel ativi che dovevano essere detratti dall’a mmontare dei prelievi non giustificati; a questa censura l’RAGIONE_SOCIALE, costituitasi in grado di appello, si opponeva ritenendo che in assenza di accertamento induttivo c.d. puro il contribuente avrebbe dovuto fornire la prova di aver sostenuto a fronte di ricavi occulti determinati costi che dovevano essere dimostrati in manera certa e correlata ai ricavi accertati.
Ebbene, proprio alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale sopra richiamata e dell’orientamento di questa Corte sopra richiamato al quale si ritiene di dare continuità, nel senso innanzi precisato, è escluso che i costi ammessi in deduzione siano solo quelli risultanti da elementi certi e precisi ai sensi dell’art. 109 TUIR e ciò alla luce della lettura adeguatrice della norma di cui all’art. 32 comma 1 n. 2) secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973 di cui si è innanzi detto: a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati correlati a prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre anche in caso di accertamento analitico induttivo- opporre la prova presuntiva contraria, eccependo, come nel caso di specie, l’incidenza percentuale dei costi relativi da detrarre dall’ammontare dei prelievi non giustificati riconosciuti dalla sentenza impugnata (nonostante la mancanza di documentazione comprovante il loro sostenimento) mediante applicazione della percentuale di costi prevista dallo studio di settore tipico per l’attività commerciale svolta dal contribuente nell’annualità di cui trattasi.
Di tal ché la censura sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente -in realtà antecedente alla lettura adeguatrice della Corte Costituzionale di cui si è dato innanzi conto- relativa alla violazione e alla falsa applicazione dell’art. 39 del D.P.R., per aver ritenut o la deducibilità dei costi in via presuntiva, deve ritenersi destituita di fondamento.
5.9. Quanto poi alle contestazioni in ordine all’inesistenza degli elementi presuntivamente considerati, deve rilevarsi l’infondatezza della censura, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023 e della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, e l’inammissibilità RAGIONE_SOCIALE argomentazioni riportate nella parte in cui non attingono a ratio decidendi della pronuncia impugnata: con riferimento ai prelevamenti ingiustificati risultanti dai conti correnti bancari esaminati la presunzione leg ale in favore dell’Ufficio è duplice nel senso
che i prelievi dal conto corrente fanno presumere (in mancanza di prova contraria a carico del contribuente) che essi siano stati utilizzati nell’esercizio dell’attività di impresa per sostenere costi occulti; questi ultimi, poi, si presume che abbiano generato ricavi non contabilizzati che quindi sono calcolati in aumento nella determinazione del reddito imponibile; il regime di favore per il fisco è, dunque, bilanciato dal regime della prova contraria riconosciuta al contribuente, estesa ad ogni presunzione semplice ed integrata anche dalla deducibilità del fatto notorio, per cui il contribuente può opporre la prova presuntiva contraria ed in particolare eccepire la incidenza percentuale dei costi relativi che vanno detratti dall’ammontare dei prelievi ing iustificati. Le ulteriori argomentazioni in ordine ai costi che, per come quantificati non avrebbero tenuto conto RAGIONE_SOCIALE risultanze del PVC, deve ritenersi non siano pertinenti e, comunque, che risultino genericamente articolate, non essendo state prospettate dalla ricorrente le ragioni specifiche di contestazione del criterio applicato dalla Commissione Tributaria Regionale e, soprattutto, di critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito che così sfugge al concetto di falsa applicazione, concretandosi piuttosto, anche mediante evocazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie, in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo oppure a negare l’ inferenza presuntiva richiamata dal giudice di merito, che va invece confermata, in assenza di illustrazione adeguata per dimostrare la denunciata violazione di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. ( cfr. Cass. sez.un. sent. n. 1785/2018).
6. Non è dato poi rilevare alcuna violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., posto che la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. presuppone che il giudice abbia fondato la decisione su prove reputate esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. civ., 12 aprile 2017, n. 9356),
mentre la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. – norma che sancisce il principio della libera valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, salva diversa previsione legale – presuppone che il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, oppure valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. civ. 10 giugno 2016, n. 11892). Questa Corte da ultimo, con la sentenza a Sezioni Unite del 20/09/2020, n. 20867 in tema di ricorso per cassazione, ha affermato che per dedurre la violazione dell’art. 115 citato, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.
Nessuna di dette circostanze risulta sussistente nel caso in esame, dovendosi rimarcare in ogni caso il generico riferimento alle disposizioni normative richiamate.
7. Il ricorso incidentale è inammissibile.
Il ricorrente incidentale, anche in virtù di generici richiami normativi ed in mancanza di specifica indicazione del vizio di cui all’art. 360 cod. proc. civ. che assume sussistente nel caso di specie, censura essenzialmente la valutazione della prova documentale da parte della Commissione Tributaria Regionale, affermando che la stessa non è stata presa in considerazione.
Al riguardo giova richiamare l’orientamento espresso da questa Corte nella sentenza n. 23940/2017 «in tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE
prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012» (si veda anche Cass., ord. n. 3572 del l’ 11/02/2021).
La censura non contrasta adeguatamente la decisione impugnata, bensì è volta a sollecitare un nuovo giudizio di fatto sulla prova documentale che risulta esaminata dalla Commissione Tributaria Regionale , come espressamente affermato, e che l’ha ritenuta inidonea a giustificare le movimentazioni non riscontrate in contabilità, assumendo l’irrilevanza di dichiarazioni di terzi prive di riscontri oggettivi, l’assenza di indicazioni circa le causali RAGIONE_SOCIALE mo vimentazioni in uscita e la destinazione RAGIONE_SOCIALE somme, l’irrilevanza dei tempi di accredito della valuta al fine di ritenere giustificate le discrasie denunciate.
Il ricorrente incidentale si limita a riproporre nel merito le proprie argomentazioni difensive, non esplicita le ragioni per le quali ritiene che il ragionamento presuntivo sia stato svolto dal giudice di merito in violazione dei criteri di cui agli artt. 2697 e 2627 c.c., né le ragioni per le quali dovrebbe ritenersi violata la disposizione di cui all’art. 116 c.p.c., pur evocata, non ricorrendo, in ogni caso, l’ipotesi sanzionabile di un apprezzamento di prova legale come prova liberamente valutabile e viceversa, a mente dell’orientamento di questa Corte espresso nelle
sopra richiamate pronunce a sezioni unite n. 1785 del 24/01/2018 e n. 20867 del 30/09/2020.
Da tanto consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso incidentale come proposto.
In conclusione, il ricorso principale va rigettato, quello incidentale va dichiarato inammissibile.
Le spese di lite devono essere compensate nel presente grado di giudizio, sia avuto riguardo alla controvertibilità RAGIONE_SOCIALE questioni risolte soltanto successivamente all’introduzione del ricorso con la pronuncia della Corte Costituzionale n. 10/2023, sia tenuto conto della reciproca soccombenza ai sensi dell’art.92 c.p.c. RAGIONE_SOCIALE domande contrapposte presentate dalle parti (cfr. Cass. Sez. U.,31/10/2022, n. 32061).
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115; detta disposizione normativa si applica per il ricorrente incidentale che è risultato soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 115/2002, per il versamento, da parte del solo ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME