Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33215 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33215 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2249/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F. P_IVA), in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE in virtù di procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. 06363301001) in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura
Oggetto: tributi -deducibilità dei costi -omessa pronuncia
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, n. 1194/02/14 depositata in data 11 giugno 2014 Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 21 novembre 2024.
RILEVATO CHE
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore del commercio all’ingrosso di metalli ferrosi e non ferrosi, ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2005 con il quale, a seguito di PVC in data 14 luglio 2010, si accertava l’indeducibilità ai fini IRES e IRAP di costi derivanti da fatture ricevute da società prive di organizzazione. La verifica faceva seguito a una estesa indagine, che aveva coinvolto diverse società operanti nel settore della commercializzazione di metalli ferrosi e non ferrosi, dalla quale era emerso -come indicato nella sentenza impugnata -l’utilizzo di 161 fatture provenienti da due « cartiere » per complessivi € 6.865.833. La società contribuente ha dedotto, per quanto qui ancora rileva, che l’Ufficio si sarebbe limitato a contestare la mera inesistenza soggettiva delle operazioni, deducendo in ogni caso l’esistenza delle operazioni sottostanti e l’incongruità delle sanzioni applicate.
La CTP di Bologna ha rigettato il ricorso.
La CTR dell’Emilia -Romagna, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello della società contribuente. Per quanto qui rileva, il giudice di appello ha ritenuto nel merito che le fatture di acquisto in oggetto provenissero da soggetti privi di organizzazione e che l’Ufficio avesse fornito la prova con presunzioni della oggettiva inesistenza delle operazioni sottostanti. La sentenza impugnata ha, inoltre, ritenuto -in
risposta alle controdeduzioni dell’Ufficio , ove rilevava che nell’avviso di accertamento, riprodotto dal controricorrente (pag. 2 controricorso), la ripresa dei costi avveniva sul presupposto della non inerenza della documentazione prodotta dalla contribuente, in quanto proveniente da « cartiere » -che i costi non fossero deducibili, non potendo la documentazione prodotta dalla società contribuente assolvere all’onere della prova contraria, in quanto « documentazione che però risulta essere quella che è servita per impostare l’illecito »; la sentenza impugnata ha, infine, ritenuto corretta la quantificazione delle sanzioni.
Ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a otto motivi , al quale l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa, inizialmente fissata per la discussione per l’udienza pubblica camerale del 22 febbraio 2023, è stata rinviata a nuovo ruolo previa istanza in data 23 gennaio 2023 della società contribuente, che ha dichiarato di volersi avvalere della sospensione del giudizio di cui all’art. 1, comma 197 l. n. 197/2022. L’ Ufficio ha depositato istanza in data 15 giugno 2024, con cui ha chiesto la prosecuzione del giudizio. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ ., degli artt. 36 e 53 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulle domande della società contribuente, nonché di esaminare i fatti e i documenti di causa. Osserva, inoltre, parte ricorrente che il giudice di appello si sarebbe sostanzialmente appiattito sulle ragioni del giudice di primo grado.
Il primo motivo è inammissibile. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in caso di omissione di pronuncia, il
giudice di legittimità diviene giudice del fatto processuale, dovendo sindacare un vizio di inosservanza di norme processuali relative alla violazione denunciata (l’omessa decisione in ordine alla questione dedotta dal ricorrente), a condizione che la questione sia dedotta sotto pena di ammissibilità, nei termini in cui sia stata esposta. Con la conseguenza che, solo quando siano stati indicati gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui si richiede il riesame nel rispetto del principio di specificità del ricorso (Cass., Sez. I, 2 febbraio 2017, n. 2771), diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo (Cass., Sez. III, 23 gennaio 2006, n. 1221), sempre che la questione abbia natura esclusivamente giuridica e non richieda nuovi accertamenti di fatto (Cass., Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 5724). Per cui deve ritenersi inammissibile, per violazione del principio di specificità, il motivo di ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass., Sez. II, 14 ottobre 2021, n. 28072; Cass., Sez. II, 20 agosto 2015, n. 17049; Cass., Sez. Lav., 4 luglio 2015, n. 15367). L’incompiuta indicazione della questione sulla quale il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi rende inammissibile la censura.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., degli artt. 36 e 53 d. lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 39, primo comma , lett. d) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e degli artt. 2727 e ss. e dell’art. 2697 cod. civ., deducendosi che la motivazione espressa sia del tutto contraddittoria e non terrebbe conto dei punti salienti e dei fatti decisivi
della controversia. Assume parte ricorrente esservi carente esame della stessa documentazione addotta dall’Ufficio , che avrebbe a oggetto un periodo di osservazione limitato, né avrebbe dato indicazione sui nominativi dei fornitori che avrebbero proceduto a vendere la merce in luogo dei fornitori reali.
La censura è inammissibile ove -come nella specie -l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi (Cass., Sez. II, 23 ottobre 2018, n. 26790; Cass., Sez. III, 17 marzo 2017, n. 7009). Ad ogni modo non sussiste la dedotta contraddittorietà della motivazione (pagg. 42 e 54 ric.), avendo il giudice di appello statuito circa la provenienza delle fatture in oggetto da soggetti privi di organizzazione, nonché in merito al mancato assolvimento della prova contraria, così come non è censurabile l’insufficiente motivazione ( loc. cit. ricorso) ove non si tramuti in assenza di motivazione.
In ogni caso deve dichiararsi inammissibile il motivo nella parte in cui censura l’omessa o incompleta valutazione della documentazione prodotta dalla società contribuente, in quanto censura volta a rimettere in discussione la scelta e la valutazione delle prove operata dal giudice di appello, incensurabile in cassazione; così come inammissibile per le medesime ragioni è l’intento del ricorrente di rimettere in discussione il ragionamento presuntivo sulla base della documentazione prodotta.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso e comunque insufficiente esame circa fatti decisivi per il giudizio, anche in base agli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., agli artt. 36 e 53 d. lgs. n. 546/1992, nonché in relazione a ll’art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e
agli artt. 2727 e ss. a ll’art. 2697 cod. civ., per avere il giudice di appello omesso l’esame di fatti storici che proverebbero l’esistenza delle operazioni sottostanti, ovvero la mancata prova dell’inesistenza delle stesse addotta dall’Ufficio.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 115 cod. proc. civ., degli artt. 36 e 53 d. lgs. n. 546/1992, dell’art. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) nonché dell’art. 14, comma 4 -bis l. 24 dicembre 1993, n. 537, non essendosi il giudice di appello pronunciato integralmente sui motivi di appello relativi alla esistenza delle operazioni sottostanti e alla deducibilità dei costi. Osserva, in particolare, parte ricorrente che nel caso di specie si verterebbe in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto l’Ufficio avrebbe dedotto a pagg. 5 -6 dell’avviso impugnato che le operazioni sarebbero state eseguite da soggetti diversi, con conseguente deducibilità dei costi, questione sulla quale il giudice di appello non si sarebbe pronunciato.
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso e comunque insufficiente esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, anche in base agli artt. 113 e 115 cod. proc. civ., agli artt. 36 e 53 d. lgs. n. 546/1992, nonché inforza de ll’art. 109 TUIR e de ll’art. 14, comma 4bis l. n. 537/1993, nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di considerare fatti storici che avrebbero comportato l’accertamento che si tratt ava di operazioni soggettivamente inesistenti.
Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR e dell’art. 14, comma 4 -bis l. n. 537/1993, degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto
indeducibili i costi. Il ricorrente riprende il tema già sviluppato nel quarto motivo e osserva che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, ove la falsità attenga solo alla inesistente indicazione soggettiva del cedente ma relativa a beni effettivamente scambiati, i relativi costi sono deducibili ai fini delle imposte sui redditi. Essendo i beni stati effettivamente scambiati per stessa ammissione dell’Ufficio, il ricorrente invoca l’applicazione dello ius superveniens di cui all’art. 14, comma 4bis l. n. 537/1993
10. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza in base all’art. 132 cod. proc. civ., all’art. 36 d. lgs. n. 546/1992, all’art. 7 l. 27 luglio 2000, n. 212 e all’art. 7 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato il motivo di appello relativo all’applicazione dell’aumento del 50% della sanzione , ritenendo ricorrere una motivazione apparente priva di illustrazione del percorso logico.
11. Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., omesso e comunque insufficiente esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, anche in base al disposto del l’art. 7 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e all’art. 112 cod. proc. civ. , nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto corretta l’irrogazione della sanzione, nonché avendo il giudice di appello ignorato fatti storici che dimostrerebbero la non colpevolezza della società contribuente e, in particolare, del suo legale rappresentante, avendo in ogni caso il giudice di appello omesso di pronunciarsi su tutta la domanda e sulle ragioni di gravità di cui all’art. 5 d. lgs. n. 472/1997.
12. Il terzo e quinto motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili, sia in quanto le censure veicolano anche in questo caso una pluralità di doglianze, sia perché in contrasto
con il principio della « doppia conforme » di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ., non avendo il ricorrente illustrato che le ragioni delle sentenze dei due gradi di merito fossero fondate su ragioni diverse. Il terzo e il quinto motivo sono, inoltre, inammissibili, in quanto, attraverso la rubricazione di un motivo formalmente di omesso esame di fatto storico -come deduce il controricorrente quanto al terzo motivo -mirano a rivalutare in sede di legittimità le prove già oggetto di valutazione nei due gradi del giudizio di merito (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476).
13. Il quarto motivo, relativo alla dedotta omessa pronuncia circa l’ indeducibilità dei costi, è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4bis , l. n. 537/1993, come novellato a termini dell’art. 8, comma 1, d.l. n. 16/2012, l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti nel caso in cui si tratti di costi non utilizzati direttamente per commettere il reato, ciò anche nel caso in cui il contribuente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, purché si tratti di costi che non siano in contrasto con il principio di inerenza, certezza, determinatezza o determinabilità di cui all’art. 109 TUIR (Cass., Sez. V, 5 aprile 2022, n. 11020; Cass., Sez. V 30 ottobre 2013, n. 24426).
14. Per quanto la sentenza impugnata indichi nella parte narrativa che l’Ufficio avesse allegato in appello in sede di controdeduzioni che l’indeducibilità dei costi era stata dedotta anche in relazione al difetto di inerenza ex art. 109 TUIR (pag. 4 sent. imp.), nella parte motiva la sentenza impugnata si limita a statuire che gli elementi addotti dall’Ufficio avrebbero messo qualsiasi imprenditore mediamente esperto sull’avviso che si tratta di « inesistenza sostanziale » (pag. 6 sent. imp., rigo 3), affermazione ribadita nel capoverso successivo (« non consentono a questa commissione di ritenere provata dalla
contribuente l’effettività dell’operazione »). Il giudice di appello non si è, pertanto, pronunciato neanche implicitamente sulla questione della deducibilità dei costi, nei termini indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui la sentenza va cassata con rinvio per nuovo esame. Il sesto motivo è, pertanto, assorbito.
Il settimo motivo è fondato. La sentenza impugnata appare al di sotto del minimo costituzionale (Cass., Sez. U., n. 8053/2014) nella parte in cui ha ritenuto giustificato l’incremento della sanzione nella misura del 50%, come dedotto in appello, per cui va cassata per nuovo esame. E’ assorbito, pertanto, l’esame dell’ottavo motivo.
Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al quarto e al settimo motivo, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il quarto e il settimo motivo di ricorso, rigetta i motivi primo, secondo, terzo e quinto , dichiara assorbiti il sesto e l’ ottavo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2024