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Deducibilità costi da fatture soggettivamente false

Una società del settore metallurgico si è vista negare la deducibilità dei costi per fatture ricevute da presunte società ‘cartiere’. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33215/2024, ha cassato la sentenza di merito, stabilendo che il giudice d’appello ha omesso di pronunciarsi sulla specifica questione della deducibilità dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti, ma oggettivamente reali. La Corte ha ribadito che tali costi sono deducibili se inerenti all’attività e non legati a reati. Ha inoltre annullato l’aumento del 50% della sanzione per motivazione apparente, rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità costi da fatture false: la Cassazione fa chiarezza

La questione della deducibilità costi derivanti da fatture emesse da società “fantasma” o “cartiere” è un tema caldo e complesso nel diritto tributario. Un’azienda può detrarre un costo se la fattura proviene da un fornitore fittizio, anche se la merce è stata effettivamente acquistata e pagata? Con l’ordinanza n. 33215 del 2024, la Corte di Cassazione torna su questo argomento, fornendo principi cruciali e cassando una decisione di merito per omessa pronuncia.

Il caso: fatture da ‘cartiere’ nel commercio di metalli

I fatti riguardano una società operante nel commercio all’ingrosso di metalli ferrosi e non ferrosi. A seguito di una verifica fiscale, l’Amministrazione Finanziaria ha contestato alla società l’indeducibilità, ai fini IRES e IRAP, di costi per un valore di quasi 7 milioni di euro, derivanti da 161 fatture ricevute da due società ritenute delle ‘cartiere’, ovvero entità prive di una reale organizzazione aziendale.

L’Agenzia delle Entrate sosteneva che le operazioni fossero oggettivamente inesistenti, basandosi su un quadro presuntivo. La società contribuente, invece, pur contestando la ricostruzione dell’Ufficio, sosteneva che, al massimo, si trattasse di operazioni soggettivamente inesistenti: la merce era stata realmente acquistata, ma da fornitori diversi da quelli indicati in fattura. Di conseguenza, i costi sostenuti dovevano essere considerati deducibili.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato torto alla società, confermando l’avviso di accertamento. La questione è quindi approdata in Corte di Cassazione.

La questione della deducibilità costi soggettivamente inesistenti

Il cuore della controversia legale ruota attorno alla distinzione tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti e le relative conseguenze sulla deducibilità costi.

* Operazioni oggettivamente inesistenti: la transazione fatturata non è mai avvenuta. In questo caso, il costo è sempre indeducibile.
* Operazioni soggettivamente inesistenti: la transazione è reale (la merce è stata consegnata e pagata), ma il soggetto emittente della fattura è un prestanome o una società fittizia che copre il vero fornitore.

La normativa di riferimento, in particolare l’art. 14, comma 4-bis, della L. 537/1993, stabilisce che in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i costi possono essere dedotti se effettivamente sostenuti e se rispettano i principi generali di inerenza, certezza e determinabilità previsti dall’art. 109 del TUIR. La società ricorrente lamentava che il giudice d’appello non avesse affatto esaminato questo specifico punto, limitandosi a confermare l’inesistenza delle operazioni in modo generico.

La decisione della Cassazione: omessa pronuncia e motivazione apparente

La Corte di Cassazione ha accolto due dei motivi di ricorso presentati dalla società, ritenendoli fondati. In particolare, ha cassato la sentenza impugnata per due vizi procedurali gravi: l’omessa pronuncia sulla deducibilità dei costi e la motivazione apparente sull’aumento delle sanzioni.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha rilevato che il giudice d’appello, pur menzionando le argomentazioni dell’Ufficio, si era limitato a confermare una generica ‘inesistenza sostanziale’ delle operazioni, senza mai affrontare la specifica domanda della contribuente sulla possibile deducibilità costi nell’ipotesi di inesistenza soggettiva. Questo costituisce un vizio di ‘omessa pronuncia’, poiché il giudice ha il dovere di rispondere a tutte le questioni decisive sollevate dalle parti. La giurisprudenza consolidata, richiamata dalla stessa Corte, ammette la deducibilità di tali costi a condizione che il contribuente fornisca la prova della loro effettività e inerenza e che non siano stati sostenuti per commettere un reato. Il giudice di merito avrebbe dovuto verificare la sussistenza di queste condizioni, cosa che non ha fatto.

In secondo luogo, la Corte ha censurato la parte della sentenza che confermava l’aumento del 50% della sanzione. La motivazione fornita dal giudice d’appello è stata giudicata ‘apparente’, ovvero talmente generica e superficiale da non illustrare il percorso logico-giuridico che ha portato a quella decisione. Una motivazione di questo tipo viola l’obbligo costituzionale di motivare i provvedimenti giurisdizionali e scende ‘al di sotto del minimo costituzionale’. Per questo motivo, anche su questo punto la sentenza è stata annullata.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha un’importante valenza pratica. La Cassazione ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati. Il nuovo giudice dovrà specificamente valutare se, pur in presenza di fatture emesse da ‘cartiere’, i costi sostenuti dalla società fossero reali, inerenti all’attività e quindi deducibili. Dovrà inoltre fornire una motivazione completa e non apparente sull’eventuale applicazione delle sanzioni.

Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: nel contenzioso tributario, la forma non può prevalere sulla sostanza. Se un costo è stato realmente sostenuto per l’attività d’impresa, la sua deducibilità non può essere negata solo perché il fornitore indicato in fattura è fittizio. Resta, ovviamente, a carico del contribuente l’onere, spesso difficile, di dimostrare la realtà dell’operazione e la sua estraneità a finalità illecite.

È possibile dedurre i costi di fatture provenienti da società ‘cartiere’?
Sì, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, è possibile dedurre i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti (cioè reali ma fatturate da un soggetto fittizio) a condizione che il contribuente dimostri che i costi non siano stati utilizzati per commettere un reato e che rispettino i principi di inerenza, certezza, determinatezza o determinabilità previsti dall’art. 109 del TUIR.

Cosa significa ‘omessa pronuncia’ in un processo tributario?
Significa che il giudice non ha esaminato né deciso una specifica domanda o eccezione sollevata da una delle parti nel corso del giudizio. Nel caso specifico, il giudice d’appello non si è pronunciato sulla questione della deducibilità dei costi in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, limitandosi a confermare una generica inesistenza delle operazioni.

Perché la Corte ha annullato l’aumento della sanzione?
La Corte ha annullato l’incremento del 50% della sanzione perché la motivazione fornita dal giudice d’appello è stata ritenuta ‘apparente’ e ‘al di sotto del minimo costituzionale’. In pratica, la sentenza non spiegava in modo adeguato e comprensibile le ragioni logico-giuridiche che giustificavano tale aumento, violando l’obbligo di motivazione dei provvedimenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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