Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19827 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19827 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 947/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato
-resistente- avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2480/2015 depositata il 09/06/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi il quarto motivo di ricorso, rigettarsi o dichiararsi inammissibili i restanti.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, esercente l’attività di commercio di autovetture e di autoveicoli leggeri, impugnava gli avvisi di accertamento n. T9VO3E100674, T9V03E100696 e T9V03E100704 con i quali l’Agenzia delle Entrate, Direzione
provinciale di Pavia, recuperava maggiori imposte, dirette ed Iva, per le annualità 2008, 2009 e 2010.
1.1. Gli accertamenti originavano da un processo verbale di constatazione conseguente alla verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, Nucleo di Polizia Tributaria di Pavia, notificato in data 9 settembre, dal quale scaturivano:
per l’anno 2008, ricavi e corrispettivi non contabilizzati per euro 69.434,00, costi indebitamente dedotti per euro 104.847,00 ed Iva indebitamente detratta per euro 23.212,00;
per l’anno 2009, ricavi e corrispettivi non contabilizzati per euro 78.370,00, costi indebitamente dedotti per euro 202.160,20 ed Iva indebitamente detratta per euro 49.072,00;
per l’anno 2010, costi indebitamente dedotti per euro 73.743,00 ed Iva indebitamente detratta per euro 17.115,00.
In tutti e tre gli avvisi di accertamento si contestava l’erronea deduzione di: i) spese di assicurazione per automobili; ii) spese di carburante non sufficientemente documentate; iii) spese di locazione non inerenti; inoltre, per il solo anno 2009, veniva anche contestata la deduzione di costi per operazioni inesistenti.
La Commissione tributaria provinciale di Pavia, con sentenza n. 282, depositata l’11/04/2014, in parziale accoglimento dei ricorsi riuniti, adeguava le pretese dell’Ufficio alla proposta di adesione avanzata dalla società contribuente, riducendole, per il 2009 e 2010, rispettivamente, ad euro 69.434,00 e ad euro 78.370,00 e compensando tra le parti le spese di giudizio.
Proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE chiedendo la parziale riforma della sentenza impugnata, limitatamente ai rilievi non accolti nella stessa e, nella specie deducendo:
con riferimento ai minori costi riconosciuti per carburanti, che gli stessi si riferivano ai costi sostenuti per i periodi d’imposta 2008, 2009 e 2010 relativamente ad automezzi destinati alla rivendita (beni merce);
con riferimento ai minori costi riconosciuti per canoni di locazione e conseguenti costi per migliorie sostenuti su beni di terzi, che gli stessi si riferivano a costi sostenuti nei periodi d’imposta 2008, 2009 e 2010 in relazione agli immobili dalla stessa occupati ai fini dello svolgimento della propria attività d’impresa;
-con riferimento ai costi sostenuti per operazioni ritenute inesistenti, che gli stessi si riferivano ai costi sostenuti dall’appellante, per una parte del periodo d’imposta 2009, relativamente alle riparazioni effettuate dall’impresa individuale “RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE” su autovetture di proprietà della società;
-con riferimento all ‘I va ritenuta indetraibile, che la stessa riguardava il recupero dell’Iva detratta sui costi per carburanti, canoni di locazione e spese di ristrutturazione per i periodi d’imposta 2008, 2009 e 2010, nonché al recupero a tassazione di Iva detratta sugli acquisti di beni, fatturati erroneamente dai cedenti con applicazione dell’Iva ordinaria sull’intero imponibile.
Si costituiva l’Agenzia delle entrate, controdeducendo:
che riguardo ai costi sostenuti per l’acquisto di carburante non erano state documentate la certezza del costo e l’obiettiva determinabilità del suo ammontare; inoltre, molte schede erano intestate ad autovetture non più nella disponibilità della società appellante;
che non erano stati prodotti contratti di locazione comprovanti in modo certo e puntuale l’importo del canone, nonché la ripartizione delle spese di ristrutturazione e manutenzione straordinaria, sì che i relativi costi non potevano definirsi certi e obiettivamente determinabili;
-che le numerose discrepanze riscontrate tra le schede di lavorazione e le fatture emesse da “RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE” nella parte descrittiva dei lavori e nell’individuazione degli importi, e tutte le altre considerazioni
esposte nel PVC avevano portato alla valutazione d’inesistenza oggettiva delle operazioni in contestazione;
relativamente all’acquisto di automezzi usati, la RAGIONE_SOCIALE, parte cessionaria, anche in caso di errato comportamento adottato dal soggetto cedente in sede di fatturazione, non poteva comunque detrarre l’intera imposta di acquisto versata, calcolata sul 100% dell’imponibile, ma solo la quota d’imposta gravante sul 40% dell’imponibile medesimo.
L’Agenzia proponeva, inoltre, appello incidentale, censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ridotto l’accertamento dei maggiori ricavi e corrispettivi non contabilizzati negli anni 2008 e 2009, osservando che tali ricavi risultavano dalla prima nota, documentazione extracontabile che costituiva presupposto per la ricostruzione induttiva dei ricavi, in virtù dell’inattendibilità della contabilità ordinaria.
La Commissione territoriale, con la sentenza n. 2480/2015 depositata in data 9 giugno 2015, rigettava l’appello della società contribuente e accoglieva l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso, sorretto da quattro motivi, la società contribuente.
L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione al fine della discussione in pubblica udienza.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo di accogliere il quarto motivo di ricorso e rigettare o dichiarare inammissibili i restanti.
Infine, in prossimità della pubblica udienza, la società ricorrente ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la «Violazione e falsa
applicazione ai sensi dell’art. 109 d.p.r. 917/86 e dell’art. 1 del d.p.r. 10 novembre 1997, n. 444 dell’art. 112 c.p.c. in relazione al disposto dell’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c. In subordine: incostituzionalità degli artt. 6 del d.p.r. 10 novembre 1997, n. 444, 2 della L. 21 febbraio 1977 e 1, comma 109 della L. 23 dicembre 2005, n. 266 per violazione degli artt. 53 e 3 Cost.».
1.1. La ricorrente contesta il capo della decisione con il quale la Commissione tributaria regionale ha confermato la sentenza di primo grado, in relazione al diniego dell’ Ufficio di consentire la deduzione di costi inerenti alle spese di carburante per le auto, sulla scorta delle seguenti considerazioni: «la normativa vigente in materia di deducibilità dei costi carburanti prevede, oltre al costo del carburante acquistato, l’indicazione di una serie di elementi (numero di targa, chilometri percorsi) da parte del contribuente che intende dedurre detti costi, in modo da permettere, in modo inequivocabile, l’individuazione dell’automezzo cui si riferisce il costo e, quindi, dimostrarne la certezza e l’inerenza, elementi che non sono riscontrabili nella documentazione depositata della società. Inoltre, a fronte delle specifiche contestazioni sollevate dall’ufficio che molti rifornimenti erano effettuati con schede intestate ad auto non più possedute dalla società poiché risultavano già cedute, oppure a veicoli riforniti sia a gasolio che benzina, la contribuente non fornisce alcun chiarimento».
1.2. La ricorrente premette, a tale riguardo, che le fatture prodotte, relative ai rifornimenti di carburante riportano: i) l’indicazione dell’emittente il documento (nella fattispecie, la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME – gestore di un impianto della RAGIONE_SOCIALE) ed il codice fiscale o la partita IVA; ii) l’indicazione del soggetto acquirente il bene oggetto della somministrazione (nella specie, la RAGIONE_SOCIALE) ed il codice fiscale o la partita IVA; iii) la data di emissione della fattura, il numero della stessa, l’importo dovuto a titolo di imponibile e a titolo d’imposta, la data di scadenza del pagamento; iv) il tipo di
prodotto indicato (benzina o gasolio) e la relativa quantità; v) nel dettaglio, le singole somministrazioni per data e per ora, per quantità e tipologia (benzina o gasolio) con la specificazione dell’importo dovuto per capitale imponibile e per imposta; vi) dal luglio 2009, anche il dettaglio dell’autovettura a cui è stato effettuato il rifornimento con l’indicazione specifica della targa identificativa del veicolo.
1.3. Argomenta al riguardo la società che pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale: i) i costi de quibus sono inerenti alla propria attività di impresa, in quanto il rifornimento di carburante si riferisce ai mezzi dalla medesima commercializzati e non a veicoli utilizzati per attività strumentali al raggiungimento dell’oggetto sociale; ii) le norme riguardanti la tenuta della scheda carburante non sono applicabili, essendo i rifornimenti relativi a mezzi che non erano cespiti dell’azienda, costituendone, piuttosto, il prodotto; iii) conseguentemente, i costi in questione sarebbero deducibili ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 917 del 1986.
1.4. Il motivo è infondato.
1.5. Il d.P.R. n. 444 del 1997, rubricato ‘Disciplina degli acquisti di carburante’, ratione temporis vigente sino all’abrogazione a far data dal 1° gennaio 2019, stabili va, all’art. 1, quanto segue: «1. Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti all’imposta sul valore aggiunto risultano da apposite annotazioni eseguite, nei termini e con le modalità stabiliti nei successivi articoli, in una apposita scheda conforme al modello allegato. 2. Le annotazioni di cui al comma 1 sono sostitutive della fattura di cui al terzo comma dell’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 3. Salvo il disposto di cui all’articolo 6, è fatto divieto ai gestori di impianti stradali di distribuzione di carburanti per autotrazione di emettere per la cessione di tali
prodotti la fattura prevista dall’articolo 21 del decreto indicato nel comma 2 del presente articolo».
1.6. Vanno, al riguardo, richiamati gli orientamenti affermati da questa Suprema Corte, ed ai quali la CTR si è correttamente adeguata, nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti, ai fini della deducibilità dei costi de quibus , le fatture invocate dalla ricorrente, non essendo ammessi equipollenti alle schede carburante. Giova dunque ricordare, che per costante affermazione di questa Corte, «In tema di tributi erariali diretti e di Iva, la possibilità di dedurre le spese per i consumi di carburante per autotrazione e di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per il suo acquisto è subordinata al fatto che le cosiddette ‘schede carburanti’, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, siano complete in ogni loro parte e debitamente sottoscritte, senza che l’adempimento, a tal fine disposto, ammetta equipollente alcuno e indipendentemente dall’avvenuta contabilizzazione dell’operazione nelle scritture dell’impresa» (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26862; v. anche Cass. 26 settembre 2018, n. 22918; Cass. 19 settembre 2020, n. 22918; Cass. 10 giugno 2021, n. 16461; Cass. 30 marzo 2023, n. 9052; Cass. 20 febbraio 2024, n. 4569; Cass. 26 febbraio 2024, n. 5012; Cass. 21 marzo 2025, n. 7548) e, ancora, – che «rientrano nella nozione di ‘carburante per autotrazione’, di cui è ammessa la deduzione dei relativi costi, previa istituzione delle apposite ‘schede’ indicate nell’art. 1 del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 444, tutti i combustibili destinati ad alimentare i veicoli per i quali il propulsore imprima al mezzo un movimento autonomo, che cioè prescinda da spinte o sollecitazioni esterne, si tratti di macchine circolanti su strada, ovvero di altri veicoli (come muletti, pale meccaniche, carrelli elevatori e trasportatori) che, seppur adoperati all’interno di un’area di cantiere, siano caratterizzati dalla presenza di un motore in grado di far muovere autonomamente il mezzo» (Cass. 25 novembre 2011, n. 24930; v. anche Cass. 26 settembre
2018, n. 22918; Cass. 30 gennaio 2019, n. 2565; Cass. 21 marzo 2025, n. 7548).
1.7. Tanto premesso, si rileva che la norma riguarda i contribuenti soggetti all’imposta sul valore aggiunto e non distingue tra carburanti acquistati per automezzi impiegati per attività strumentali al raggiungimento dell’oggetto sociale e automezzi destinati alla vendita.
1.8. Con il motivo in esame la ricorrente ha chiesto, in subordine, che sia sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 DPR n. 444 /1997, dell’art. 2 DPR n. 444/1997 e dell’art. 1, comma 109, l. n. 266/2005 in relazione agli artt. 53 e 3 Cost.
1.9. La questione, come condivisibilmente evidenziato anche nella requisitoria del Procuratore generale, appare manifestamente infondata, in quanto il diverso trattamento attribuito agli autotrasportatori di cose per conto di terzi di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 444 del 1997, vigente ratione temporis , non può sospettarsi di violare né l’art. 53 Cost., né l’art. 3 Cost.
Così deve ritenersi, in primo luogo, in quanto il legislatore può, con scelta insindacabile se non palesemente arbitraria o irrazionale, discrezionalmente porre limiti alla deducibilità dei costi, ed inoltre perché la previsione dei limiti di applicabilità del suddetto Regolamento in relazione a determinate categorie di contribuenti (esercenti gli impianti stradali di distribuzione nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli istituti universitari e degli enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza nonché degli autotrasportatori di cose per conto terzi) costituisce un elemento di differenziazione idoneo a legittimare il diverso trattamento.
1.10. Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: «In tema di imposte dirette e di IVA, anteriormente alla abrogazione del d.P.R. n. 444 del 1997 a far data dal 1° gennaio 2019, la possibilità di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per l’acquisto di carburanti destinati ad alimentare i mezzi impiegati
per l’esercizio dell’impresa è subordinata alla redazione della scheda carburante di cui all’art. 1 del citato Regolamento anche nel caso in cui detti mezzi siano destinati alla vendita, non distinguendo la norma tra carburanti acquistati per automezzi impiegati per attività strumentali al raggiungimento dell’oggetto sociale e automezzi destinati alla vendita; né il diverso trattamento attribuito agli autotrasportatori di cose per conto di terzi di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 444 del 1997 può sospettarsi di violare l’art. 53 Cost. o l’art. 3 Cost., perché la previsione dei limiti di applicabilità del suddetto Regolamento in relazione a determinate categorie di contribuenti, esercenti gli impianti stradali di distribuzione nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli istituti universitari e degli enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza nonché degli autotrasportatori di cose per conto terzi, costituisce un elemento di differenziazione idoneo a legittimare il diverso trattamento».
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 d.p.r. 917/86, degli artt. 1362 e 1372 cod. civ. e dell’art. 115 c.p.c. Falsa applicazione dell’art. 1, comma 346 della L. 311/2004».
2.1. La ricorrente censura il capo della decisione con il quale la Commissione territoriale ha ritenuto che non fossero deducibili i costi relativi al contratto di locazione di uno dei due immobili siti in INDIRIZZO così argomentando: «Per uno dei due immobili siti in INDIRIZZO è presente un contratto, peraltro tardivamente registrato, stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, contratto che prevede espressamente il divieto di sublocazione, mentre la società appellante deposita fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE la quale, a sua volta, fattura alla RAGIONE_SOCIALE, documentazione contradittoria che smentisce, di fatto, la ricostruzione operata dalla
società. Per gli altri due immobili, siti in INDIRIZZO ed in INDIRIZZO, i contratti di locazione portano, come di inizio, l’anno 2011 e, quindi, risultano irrilevanti ai fini degli accertamenti in discussione, che riguardano il periodo 2007-2009. Mancando una chiara ed univoca documentazione, la censura sollevata deve essere respinta.»
Deduce al riguardo la contribuente che, per tale parte, la sentenza impugnata non è condivisibile, avendo la CTR omesso di considerare: i) che il divieto di sublocazione rileva nei rapporti tra le parti e non nei rapporti tra il conduttore contribuente e il fisco, con la conseguenza che la sua violazione non si riverbera sull’indeducibilità, sul piano fiscale, dei canoni corrisposti dal subconduttore; ii) che la registrazione tardiva del contratto non osta alla deducibilità dei canoni corrisposti successivamente al suddetto adempimento, dovendosi ritenere la nullità del contratto solo per il periodo precedente, ai sensi dell’art. 1, comma 346, della legge n. 331 del 2004.
2.2. Il motivo è inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio della statuizione impugnata.
Infatti, come si evince dal passaggio motivazionale sopra trascritto, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che i costi de quibus non fossero deducibili vista la contraddittorietà della documentazione depositata, posto che i canoni portati in deduzione da 444 SRL erano stati fatturati non dal locatore RAGIONE_SOCIALE, ma da un soggetto diverso, la RAGIONE_SOCIALE, nei cui confronti RAGIONE_SOCIALE aveva, invece, emesso le fatture relative ai suddetti canoni, situazione, questa, che non trovava riscontro e giustificazione nella documentazione prodotta da RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo strumento di impugnazione la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la « Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 d.p.r. 917/86 e dell’art. 2729 cod. civ.»,
con riguardo alla ritenuta indeducibilità dei costi delle riparazioni effettuate dall’impresa individuale COGNOME perché relativi a operazioni oggettivamente inesistenti.
3.1. Ha così motivato, a tale riguardo, la CTR: «Va preliminarmente osservato che il COGNOME non ha mai presentato alcuna dichiarazione fiscale per gli anni 2008 e 2009 e risulta essere stato tratto in arresto in data 29 dicembre 2009 e ancora detenuto al momento della verifica che ha portato all’emanazione degli accertamenti in contestazione. La contestazione riguarda esclusivamente le fatture con data 31 dicembre 2009, quando il COGNOME era già recluso, ed emesse dalla moglie, come da lei stessa dichiarato. Sono state individuate numerose discrepanze tra le fatture emesse e le schede di lavorazione; molte fatture riportano indicazioni generiche, altre fanno riferimento alla sostituzione d’interi motori senza l’indicazione della targa degli automezzi, molte fatture ripetono più volte la stessa targa. La lettera inviata dalla società tramite l’avvocato COGNOME in cui si contesta al COGNOME di non aver effettuato molte riparazioni e, addirittura, di aver manomesso molte autovetture al punto da costringerla a ricomprarle per evitare denunce d’illeciti mai commessi, oltre ad essere generica, in quanto non sono individuabili le vetture che la società ha dovuto ricomprare non essendo stata indicata la targa, appare tardiva, poiché reca la data del 1° giugno 2010 (il COGNOME era detenuto già dal 2009), e, più che una prova a discarico, appare come un’ammissione implicita dell’inesistenza delle operazioni contestate».
3.2. La ricorrente censura la predetta statuizione deducendo che: i) la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli anni 2008 e 2009 e la circostanza che il COGNOME fosse già detenuto alla data di emissione delle fatture in contestazione non costituiscono indizi sufficienti per ritenere provata l’inesistenza delle prestazioni di officina ivi descritte; ii) le discrepanze tra le
fatture e le schede di lavorazione non possono far presumere l’inesistenza oggettiva degli interventi ivi descritti, ben potendo dipendere dal modo di lavorare disordinato e approssimativo di COGNOME, ovvero da errori materiali nella compilazione delle fatture e delle schede citate; iii) se la lettera dell’avv. COGNOME è stata ritenuta generica nella contestazione (ma di norma nel contesto extra-giudiziario in cui fu redatta e spedita non era necessario scendere in ulteriori dettagli), questo non può avvalorare la presunzione dell’Ufficio, la cui legittimità è inficiata dalla violazione del disposto dell’art. 2729 cod. civ.
3.3. Il motivo è inammissibile.
3.4. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055), come invece sostanzialmente preteso oggi dal ricorrente.
3.5. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 c.c., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi
presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9054; Cass. n. 9336/2023; v. anche Cass., Sez. 3, 09/03/2012 n. 3703).
3.6. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 c.c., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius : fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v. ex multis Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9054).
3.7. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 c.c., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i
quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez., 1, 2/8/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass.,07/02/2004 n. 2357).
3.8. Orbene, la disamina operata dalla CTR esclude la fondatezza della doglianza, la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
3.9. In relazione al primo profilo di censura, in particolare, la ricorrente non ha esposto le ragioni per le quali l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali negli anni 2008-2009, la detenzione del De COGNOME alla data dell’emissione delle fatture e al momento delle verifiche e le discrepanze tra le fatture e le schede di lavorazione dovrebbero considerarsi circostanze fattuali prive di gravità, di precisione e di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, rappresentata dall’inesistenza oggettiva delle lavorazioni di cui alle fatture del 31 dicembre 2009.
3.10. Il secondo profilo di censura, poi, difetta di specificità laddove si allegano diverse, ed alternative, ricostruzioni delle questioni di fatto, secondo cui le discrepanze tra le fatture emesse e le schede di lavorazione del 31 dicembre 2009 dipenderebbero da errori materiali contenuti nei documenti contabili, ovvero dal modo di lavorare ‘ approssimativo ‘ del COGNOME, richiedendosi inoltre a questa Corte un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio, precluso nel giudizio di legittimità.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la «Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, n. 3, c.p.c. del disposto dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.p.r. 600/73 e dell’art. 54, comma 2, del d.p.r. 633/72 e dell’art. 112 c.p.c., nonché del combinato disposto degli artt. 1362, 1363, 1324 e 2729 cod. civ. Violazione dell’art. 132, n. 4 e dell’art. 111, 6° comma, Cost. in relazione all’art. 360, n. 3 e 4 с.р.с. ».
4.1. Il motivo ha ad oggetto il capo della decisione con il quale la Commissione tributaria r egionale ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate relativo all’accertamento dei maggiori ricavi e corrispettivi non contabilizzati negli anni 2008 e 2009, vista l’inattendibilità della contabilità ordinaria anche a prescindere dalla presenza o meno della prima nota, circostanza, questa, che giustificava il ricorso all’accertamento analitico -induttivo.
4.2. Hanno, in particolare, rilevato i giudici di appello che «la Commissione Provinciale ha censurato l’operato dell’Ufficio affermando che la prima nota non ha alcuna rilevanza giuridica e che vi è norma alcuna che se ne occupi. Ed ancora, la prima nota ha solo il ruolo di prima annotazione, memoria dei conti interessati dalla contabilizzazione del fatto di gestione; ciò che effettivamente rileva è soltanto l’esistenza di un valido documento e la sua corretta registrazione. Si tratta di una tesi non condivisibile, che contrasta con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di cassazione, ancor di più nel caso in discussione dove la contabilità è risultata completamente inattendibile, a prescindere dalla presenza o meno della prima nota (omessa tenuta del libro giornale, omessa a del libro degli inventari, irregolare tenuta dei registri IVA, omessa tenuta del libri sociali obbligatori per le S.r.l., omessa stampa delle schede contabili, irregolare tenuta dei registri del beni usati, omessa presentazione degli elenchi Intrastat). Appare opportuno ricordare che lo stesso contribuente, in sede di ricorso introduttivo, aveva giustificato le discrepanze tra prima nota e contabilità con il comportamento omissivo dello Studio RAGIONE_SOCIALE, cui era stato affidato il compito di tenere la contabilità, confermando, di fatto, la validità delle registrazioni risultanti dalla prima nota». La CTR ha inoltre, a tale riguardo, richiamato l’orientamento di legittimità secondo cui, in presenza di documentazione extracontabile, l’Amministrazione può procedere ad un accertamento analitico-induttivo, ai sensi dell’art. 54, comma 2 del D.P.R. n.633/1972, ovvero dell’art. 39, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 600/1973.
4.3. Allega la ricorrente che il soggetto tenutario delle scritture contabili procedeva a registrare in modo errato e non tempestivo i fatti di gestione e le movimentazioni finanziarie rilevate in prima nota dalla società ed allo stesso fornite per la predisposizione delle necessarie scritture contabili. Tali errori e ritardi di
contabilizzazione avrebbero fatto emergere una discrepanza tra prima nota e contabilità che ha dato origine in contabilità a differenze rispetto a quanto indicato in prima nota e rappresentate da: incassi non contabilizzati; prelievi di cassa non presenti in prima nota; prelievi di cassa parzialmente contabilizzati, prelievi di cassa non presenti in prima nota; pagamenti fittizi per mancanza di disponibilità in contabilità.
4.4. Rileva, poi, che nel corso dei due gradi di merito la RAGIONE_SOCIALE aveva evidenziato che la prima nota fornita dal ricorrente al tenutario delle scritture contabili era veritiera ed aveva recepito la puntuale annotazione di tutte le movimentazioni finanziare sia di cassa che di banca poste in essere dalla società e che per contro la contabilità redatta dal tenutario delle scritture contabili non aveva rappresentato puntualmente e correttamente i fatti di gestione posti in essere dalla stessa società.
Per tale motivo, poiché i rilievi sopra indicati si riferiscono a importi presenti in contabilità ma che non trovano riscontro in prima nota, gli stessi erano da considerarsi frutto di errori ed annotazioni contabili non corrette effettuate dal tenutario delle scritture contabili e non indicativi di ricavi non dichiarati, ancorché non ricostruibili. Ad esempio, osservava la società, l’Ufficio avrebbe ritenuto, sulla base della contabilità (e non della prima nota) che in cassa non vi fossero in un dato momento delle disponibilità per far fronte a dei pagamenti, che, invece, risultavano effettuati. Talché ha desunto che non potendo la cassa avere un saldo negativo, vi fossero degli incassi non registrati.
Pertanto, rileva ancora la ricorrente, contro le risultanze della contabilità stavano quelle della prima nota, la cui attendibilità era stata riconosciuta per tutto il resto, tanto da far accogliere il 95% dei rilievi della contribuente.
4.5. Ora, osserva la società, la CTR ha basato la sua motivazione proprio sul fatto di ritenere rilevante la prima nota, senonché non
avrebbe affatto compreso che la prima nota non permetteva di pervenire alle risultanze di cui ai rilievi dell’Ufficio.
I giudici di appello avrebbero, pertanto, frainteso l’oggetto stesso della contestazione formulata, ritenendo fondata la pretesa dell’Amministrazione Finanziaria sulla base della prima nota, senza rendersi conto che la pretesa dell’Ufficio sul punto prescindeva da tale documento che, invece, era stata richiamato dalla contribuente a corroborazione delle proprie eccezioni avverso gli avvisi di accertamento.
4.6. Il motivo è fondato, rilevandosi che con esso viene dedotto un errore di sussunzione, il quale ricorre quando, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata (Cass. 19 gennaio 2022, n. 1537; Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348). È noto, del resto, che il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. 29 agosto 2019, n. 21772; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756).
4.7. Tanto chiarito, si osserva che, come anche rilevato dal P.G. nella propria requisitoria, nel caso di specie la Commissione tributaria regionale, pur avendo correttamente ricordato che, vertendosi in materia di accertamento analiticoinduttivo, l’Ufficio poteva procedere anche sulla base di documentazione extracontabile (Cass. 1° dicembre 2006, n. 25610 citata dalla sentenza impugnata; in senso conforme anche la giurisprudenza successiva: Cass. 16 novembre 2011, n. 24051; Cass. 24 settembre 2014, n. 20094; Cass. 27 febbraio 2015, n. 4080; Cass. 23 maggio 2018, n. 12680; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27622 e, da ultimo v. Cass. 16 gennaio 2025, n. 1109 ), ha accolto l’appello, ritenendolo fondato, a prescindere dalla presenza della prima nota,
ma non ha specificato quali sarebbero i diversi elementi indiziari gravi, precisi e concordanti atti a dimostrare la fondatezza dei rilievi dedotti dall’Ufficio.
In conclusione, rigettato il primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il secondo ed il terzo ed accolto il quarto, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il secondo ed il terzo ed accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 06/05/2025.