Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19235 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19235 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2455/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME difeso in proprio oltre che disgiuntamente dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LIGURIA n. 453/2020, depositata in data 2 luglio 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’avvocato NOME COGNOME impugnava, dinanzi la C.t.p. di Genova, il diniego di istanza per il rimborso IRPEF, Addizionale Regionale e Addizionale Comunale, di complessivi euro 3.094,00
Irpef – Diniego di rimborso – 2011
versati per l’anno di imposta 2011 a seguito della deduzione dei costi sostenuti in relazione alla propria auto a fini professionali, perché determinata in misura inferiore in base all’effettiva inerenza dei medesimi al reddito prodotto. Il diniego dell’ente erariale, invero, si fondava sull’asserzione che la deduzione dei costi doveva essere operata ai sensi della percentuale di cui all’art. 164 TUIR.
La C.t.p. -innanzi alla quale si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate – con sentenza n. 724/2017, rigettava il ricorso ritenendo che la disciplina di cui all’art. 164 TUIR conteneva una regola di limitata deducibilità del costo prescindendo dall’effettiva destinazione del bene all’esercizio dell’attività professionale.
Contro tale decisione proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Liguria; si costituiva l’Ufficio chiedendo il rigetto dell’appello.
La C.t.r. della Liguria, con sentenza n. 453/2020, depositata in data 2 luglio 2020, rigettava l’appello, confermando la decisione impugnata.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Liguria, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’Agenzia delle Entrate deposita controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 per il quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza per omessa motivazione e per violazione e falsa applicazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, secondo comma, n. 2, 3 e 4, dell’art. 132, secondo comma n. 4, cod. proc. civ., e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in quanto nel dispositivo si è omesso di riportare, anche sinteticamente, le fasi del presente giudizio e i motivi, in fatto e in diritto, proposti dalle parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.», il contribuente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui,
nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha dato conto né della concisa esposizione dello svolgimento del processo, né delle richieste delle parti, né della succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, violando le disposizioni richiamate e ponendosi in contrasto con il dettato costituzionale.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 24, legge 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui la sentenza non ha adeguatamente motivato in relazione al rigetto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», il contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha adeguatamente motivato il provvedimento giurisdizionale, in aperta violazione dell’art. 24, legge 11 marzo 1953, n. 87.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 164 T.U.I.R. primo comma, lett. b. e dell’art. 11, secondo comma, 27 luglio 2000, n. 212, per non avere il giudice ritenuto ammissibile la prova contraria in merito alla maggiore deducibilità delle spese auto per l’anno di imposta 2011 e violazione dell’artt. 3 e 53 Cost., per non aver accolto l’unica possibile interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 164, primo comma, lett. b: la natura antielusiva della disposizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», il contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di confrontarsi con le argomentazioni proposte dall’odierno ricorrente con il risultato di una pronuncia superficiale ed incompleta che nel non ammettere la natura antielusiva dell’art. 164, primo comma, lett. b, ha escluso ogni sua interpretazione costituzionalmente conforme.
I tre motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono infondati.
Sulla questione relativa all’ammissibilità della prova contraria in ordine alla deducibilità di maggiori costi di quelli stabiliti a forfait
dall’art. 164 TUIR sull’utilizzo dell’auto aziendale, anzitutto l’Amministrazione finanziaria è intervenuta con la risoluzione 27 luglio 2007, n. 190/E (22), con specifico riferimento alla richiesta di un contribuente di disapplicare il primo comma, lett. b) , dell’art. 164 del TUIR, esprimendosi in senso negativo. L’Amministrazione ha asserito che la ratio su cui si fonda la previsione di deducibilità non è antielusiva, bensì antievasiva, volta cioè ad evitare un utilizzo privatistico del bene auto e, ancora, ha chiarito che la disposizione in argomento assume la funzione di norma di sistema e non di norma antielusiva specifica, a nulla rilevando le eventuali prove contrarie, stante l’obiettiva difficoltà di quantificare il reale utilizzo delle vetture di uso promiscuo.
In seguito, e sempre nella medesima direzione, l’Agenzia delle entrate, con successiva risoluzione 22 agosto 2007, n. 231/E (23), ha confermato, quanto ai limiti di deducibilità dei costi relativi alle autovetture, che la norma de qua non è suscettibile di essere disapplicata in quanto la stessa assume la funzione di norma di sistema e non di norma antielusiva, diretta a forfettizzare il requisito dell’inerenza relativamente ai costi connessi all’acquisto ed alla gestione di detti beni.
2.1. Orbene, seppur con una motivazione assai scarna, la C.t.r. ha espresso un principio di diritto corretto allorquando ha, praticamente, confermato l’assunto secondo cui l’art. 164, primo comma lett. B) TUIR si fonda sull’opzione legislativa di operare una scelta pragmatica di forfettizzare l’inerenza dei costi per il bene adibito ad uso promiscuo per cui inammissibile si profila la prova contraria; alla lettera b, la norma espressamente prevede, nella sua versione vigente ratione temporis, una percentuale deducibilità del 40% per le autovetture diverse da quelle destinate esclusivamente all’esercizio di impresa.
2.2. Tale opzione legislativa prescinde dalla circostanza -ed in quale misura -del bene per finalità strettamente connesse con
l’esercizio dell’attività professionale appunto per la difficoltà di verificare sul piano operativo, in caso di uso promiscuo, il reale utilizzo dell’autovettura sul piano operativo. La disciplina risponde ad una chiara esigenza antievasiva e non risulta in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, che giustificano la limitazione alla deducibilità del costo.
2.3. Del resto, l’art. 164 TUIR che disciplina i limiti di deduzione delle spese e degli altri componenti negativi relativi a taluni mezzi di trasporto a motore, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni stabilisce che ‘Le spese relative agli autoveicoli, ancorchè non di proprietà, sono deducibili ai sensi dell’art. 164, c. 1, lett. b, del TUIR, nel testo applicabile ratione temporis, ossia i veicoli non usati esclusivamente come beni strumentali, né adibiti ad uso pubblico, né assegnati in uso promiscuo ai dipendenti, nella misura del 40%. (Cass. 30/11/2018, n. 31031). Quindi, ai sensi della norma citata, sono integralmente deducibili solo i costi concernenti i veicoli destinati esclusivamente all’attività propria dell’impresa, presumendosi un uso promiscuo negli altri casi.
2.4. Va, poi, precisato che costituisce principio consolidato di questa Corte che, ove il Giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure con una motivazione inadeguata, la Corte di cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384, secondo comma,cod. proc. civ. deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata (Cassazione S.U. del 25/11/2008 n. 28054).
Più precisamente, la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata
dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo , quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cassazione del 02/02/2017 n. 2731).
2.5. Quanto alla sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 164, comma 1 lett. B) TUIR al riguardo degli artt. 3 e 53 della Costituzione e perché la C.t.r. non avrebbe motivato sulla richiesta di rimessione alla Consulta, essa va disattesa. Essa si palesa mancante del requisito della ‘non manifesta infondatezza’, stante il margine di autonomia del legislatore processuale nella siffatta valutazione; invero, la previsione di un regime forfettario è congrua essendo obiettivamente impossibile, in caso di uso promiscuo, la dimostrazione dell’utilizzo effettivo. Non vi è la violazione costituzionale delle norme invocate in quanto non si profila irragionevole la previsione di un limite alla deduzione dei costi in parola.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 1.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 21 maggio 2025.