Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2092 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2092 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4588/2016 R.G. proposto da
DELL’ACQUA AVV. NOME, difensore di sé medesimo ai sensi dell’art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-resistente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 4291/14/15 depositata il 20 luglio 2015
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 15 gennaio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
Con due distinti e successivi ricorsi l’avv. NOME COGNOME impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma: (a)la comunicazione di irregolarità (cd. ) inviatagli dalla Direzione Provinciale I di Roma dell’Agenzia delle
Entrate all’esito di controllo formale ex art. 36 -ter del D.P.R. n. 600 del 1973 sulla dichiarazione dei redditi da lui presentata ai fini dell’IRPEF per l’anno 2006, con la quale era stata esclusa la deducibilità del contributo integrativo corrisposto dal suddetto professionista alla Cassa Avvocati e Procuratori (ora Cassa Forense); (b)la susseguente cartella di pagamento notificatagli per conto del medesimo Ufficio dall’agente della riscossione territorialmente competente, recante l’intimazione di pagamento della maggiore imposta risultata dovuta.
La Commissione adìta dichiarava inammissibile il ricorso avverso l’avviso bonario e rigettava quello relativo alla cartella esattoriale.
Con un unico atto d’appello il contribuente impugnava entrambe le sentenze davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale, con sentenza n. 4291/14/15 del 20 luglio 2015, respingeva l’esperito gravame.
Contro tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è limitata a depositare un mero , ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo l’Agenzia delle Entrate ha depositato sintetica memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va ritenuta ammissibile la memoria illustrativa depositata dall’Agenzia delle Entrate, quantunque essa non abbia contraddetto al ricorso mediante la notifica di un controricorso.
1.1 Deve, infatti, darsi sèguito all’orientamento altre volte espresso da questa Corte secondo cui, in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380bis .1 c.p.c., relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 -come quello in esame- e per i quali
venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c. ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, può, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, presentare memoria, nei medesimi termini in cui ciò è consentito al controricorrente, trovando in detti casi applicazione l’art. 1 del Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le sezioni civili della Corte di Cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016 fra il Consiglio Nazionale Forense, l’Avvocatura Generale dello Stato e la Corte di Cassazione (cfr., in terminis , Cass. n. 5508/2020; id. , Cass. n. 24835/2017, Cass. n. 12803/2019, Cass. n. 6592/2021).
Resta ovviamente inteso che, a tal fine, gli avvocati dello Stato non sono tenuti a munirsi di procura speciale, essendo loro attribuito per legge il potere di rappresentare e difendere in giudizio le agenzie fiscali senza bisogno di mandato, «neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale» ( arg. ex artt. 72 del D. Lgs. n. 300 del 1999, 1, comma 2, e 43, comma 1, del R.D. n. 1611 del 1933: sull’argomento vedasi Cass. n. 24650/2021).
1.2 Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso vengono denunciate la e l’ .
1.3 Si deduce che l’impugnata sentenza avrebbe .
1.4 Viene pure contestato alla CTR di non aver fatto alcun cenno all’eccepita tardività della notifica degli atti impugnati e di essere incorsa in un , avendo essa affermato, contrariamente al vero, che con il primo ricorso era stato impugnato non già un avviso di liquidazione, bensì un semplice invito dell’Ufficio alla trasmissione di documenti relativi al modello UNICO 2007 presentato dal contribuente, a sèguito del quale sarebbe stato emesso il vero e proprio atto impositivo dal contribuente.
1.5 Il motivo è infondato.
1.6 Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla luce dei princìpi di economia e di ragionevole durata del processo sanciti dall’art. 111, comma 2, Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., in caso di omessa motivazione su una censura sollevata con l’atto di appello, la Corte Suprema può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere nel merito la controversia allorquando la questione di diritto posta con la suddetta censura risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere venga a confermare il dispositivo della decisione gravata, determinando l’inutilità di un ritorno della causa nella fase di merito; e ciò sempre che si tratti di questione non richiedente ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. n. 10673/2022, Cass. n. 9693/2018, Cass. n. 16171/2017, Cass. n. 2313/2010).
1.7 Tanto premesso, va osservato che la CTR laziale ha effettivamente omesso di esporre le ragioni per le quali sono state implicitamente ritenute immeritevoli di accoglimento le doglianze del contribuente inerenti: (a)all’asserita inesistenza della notificazione della cartella di pagamento; (b)alla nullità della cartella per essere stata notificata in pendenza del giudizio di impugnazione del prodromico avviso bonario, unico atto contenente
la motivazione della pretesa impositiva; (c)all’eccepita inosservanza del termine fissato dall’art. 36 -ter , comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 per l’espletamento del controllo formale.
1.8 Sennonchè, tali censure, il cui esame non richiede ulteriori accertamenti di fatto, si appalesano prive di fondamento, onde la Corte può rigettarle nel merito e confermare la sentenza impugnata -munita di dispositivo conforme al diritto-, alla stregua del surriferito insegnamento nomofilattico.
1.9 Valgano, in proposito, le seguenti considerazioni.
1.10 Sostiene il COGNOME che la notificazione della cartella di pagamento andrebbe considerata inesistente (pag. 8 del ricorso per cassazione, righi dal quintultimo al terzultimo).
1.11 L’assunto non ha pregio, in quanto l’art. 26, comma 1, secondo periodo, del D.P.R. n. 602 del 1973 espressamente prevede che la notifica della cartella di pagamento «può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento» .
1.12 Sul tema, è costante l’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, che va qui ribadito, secondo cui la notifica della cartella esattoriale per la riscossione delle imposte può avvenire anche mediante invio diretto da parte del concessionario (ora agente della riscossione) a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento (cfr. Cass. n. 17141/2024, Cass. n. 3827/2024, Cass. n. 28684/2018).
1.13 È stato, al riguardo, precisato che la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973 ammette una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario e all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella prevista dalla prima parte della stessa disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi
indicati.
In tal caso, la notifica si perfeziona alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente, senza necessità di redigere un’apposita relata, giacchè l’avvenuta effettuazione della notificazione, su istanza del soggetto legittimato, e la relazione fra la persona cui è stato consegnato l’atto e il destinatario della medesima costituiscono oggetto di attestazione dell’agente postale assistita dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c., trovando applicazione le norme del regolamento postale relative agli invii raccomandati e non quelle contenute nella L. n. 890 del 1982 (cfr., ex multis , Cass. n. 29710/2018, Cass. n. 29022/2017, Cass. n. 23511/2016).
1.14 Ugualmente infondato è l’assunto secondo cui, in pendenza del giudizio di impugnazione della comunicazione di irregolarità inviata dall’ufficio finanziario al contribuente, non sarebbe consentito procedere alla notifica della cartella di pagamento.
1.15 È pur vero che l’art. 36 -ter , comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede come necessaria garanzia a tutela del contribuente l’invio di una comunicazione dell’esito del controllo formale (cd. avviso bonario) quale momento di instaurazione del contraddittorio anteriore all’iscrizione a ruolo, sicchè va ritenuta illegittima la notifica della cartella di pagamento a sèguito di detto controllo, in assenza di tale preventiva comunicazione (cfr. Cass. n. 15312/2014).
1.16 Altrettanto vero è che l’avviso bonario costituisce atto autonomamente impugnabile dinanzi al giudice tributario, ancorchè non rientrante nel novero di quelli elencati dall’art. 19, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 15957/2015, Cass. n. 25297/2014, Cass. n. 18642/2012).
1.17 Ciò, tuttavia, non comporta che, una volta impugnato un simile atto, l’Amministrazione Finanziaria non possa, se non dopo la definizione del relativo giudizio in senso ad essa favorevole,
iscrivere a ruolo le somme che risultano dovute a sèguito dell’attività di controllo formale e far notificare al contribuente la cartella di pagamento.
1.18 Semmai, nell’ipotesi in cui anche detta cartella sia stata impugnata , come per l’appunto è accaduto nel caso di specie, deve ritenersi venuto meno l’interesse delle parti alla decisione della controversia inerente all’avviso bonario, in quanto la cartella esattoriale integra una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria, che sostituisce l’atto precedente e ne provoca la caducazione d’ufficio (cfr. Cass. n. 7344/2012; nello stesso ordine di idee si vedano, ex ceteris , Cass. n. 30691/2021, Cass. n. 19049/2024 e Cass. n. 24683/2024).
1.19 Ferma la sostanziale correttezza del dispositivo di rigetto dell’appello unitariamente proposto dal contribuente avverso le due sentenze pronunciate nei suoi confronti dalla CTP romana, si rende necessario emendare nei sensi suindicati, a norma dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., la motivazione della pronuncia ora in scrutinio.
1.20 Deve ancora rilevarsi che la cartella di pagamento preceduta dalla notifica di altro atto propriamente impositivo non può essere annullata per vizio di motivazione, anche quando non riproduca il contenuto essenziale dell’atto presupposto, dal momento che questo è già conosciuto dal contribuente (cfr. Cass. n. 21177/2014, relativa ad analoga fattispecie; sull’argomento si vedano anche Cass. Sez. Un. n. 11722/2010 e Cass. n. 15580/2017).
1.21 Quanto, poi, al preteso , in cui sarebbe incorsa la CTR, la questione risulta superata da quanto si è detto sopra a proposito della sopravvenuta carenza di interesse del contribuente alla decisione della controversia riguardante l’avviso bonario.
1.22 Per quel che attiene, infine, all’eccepita (pag. 2 del ricorso, righi 5-6), va notato che:
-ai sensi dell’art. 25, comma 1, lettera b), del D.P.R. n. 602 del 1973, la cartella di pagamento delle somme che risultano dovute a sèguito dell’attività di controllo formale prevista dall’art. 36 -ter del D.P.R. n. 600 del 1973 deve essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione;
detto termine è stato osservato nel caso in esame, considerato che la dichiarazione sottoposta a controllo formale fu presentata nell’anno 2007 e che la cartella è stata emessa anteriormente al 31 dicembre 2011, come si ricava dal fatto che lo stesso COGNOME riferisce di averla impugnata dinanzi alla CTP di Roma in data 14 gennaio 2011 (pag. 3 del ricorso per cassazione);
-l’eventuale violazione del termine fissato dal comma 1 del citato D.P.R. n. 600 per l’espletamento del controllo formale (31 dicembre del secondo anno successivo alla presentazione della dichiarazione), alla quale non è peraltro espressamente collegata una sanzione di decadenza, non determina la nullità della successiva cartella tempestivamente notificata (cfr. Cass. n. 21097/2024).
Con il secondo motivo sono lamentate la .
2.1 Si rimprovera al collegio regionale di aver a torto applicato alla fattispecie di causa la norma di cui all’art. 12, comma 1, della L. n. 414 del 1991, concernente il contributo alla cassa di previdenza dei ragionieri e dei periti commerciali, anziché quella recata dall’art. 10, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), e di avere, inoltre, erroneamente attribuito rilievo, a fini decisori, alla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 69 del 15 maggio 2006, costituente .
2.2 Il motivo è infondato.
2.3 La questione che esso veicola è stata affrontata e risolta da questa Corte con ordinanza n. 32258/2018, nella quale è stato
affermato che, in tema di IRPEF, i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori versati dagli avvocati alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense non sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo, in quanto il relativo importo è a carico del cliente e non fa parte delle componenti del compenso professionale, con la conseguenza che non rientra nell’ipotesi prevista dall’art. 10, comma 1, lettera e), del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
2.4 La soluzione interpretativa offerta dalla Corte si fonda sul dato letterale del primo comma dell’art. 54 (corrispondente nella vecchia numerazione all’art. 50) del TUIR, secondo cui dal compenso del professionista sono esclusi i contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde (i quali concorrono, invece, a formare la base imponibile ai fini dell’IVA).
2.5 Nell’occasione è stato pure sottolineato che rimane deducibile il contributo integrativo minimo che sia stato versato alla Cassa Forense a prescindere dalla fatturazione di prestazioni, perchè necessario al raggiungimento dell’importo richiesto per la permanenza dell’iscrizione alla medesima Cassa; situazione, questa, che non ricorre nella presente fattispecie, nella quale, come è incontroverso, si discute della deducibilità del contributo integrativo calcolato prodotto nell’anno d’imposta in verifica (pag. 2 del ricorso, righi 5 -10).
2.6 Poichè non sussistono valide ragioni per discostarsi dal richiamato precedente di legittimità, la censura in disamina non può essere accolta, pur dovendosi anche «in parte qua» correggere la motivazione della sentenza gravata, la quale giustifica il rigetto della tesi sostenuta dal COGNOME sulla scorta di argomentazioni giuridicamente erronee e incongruenti ( «Per quanto attiene alla pretesa deducibilità del contributo integrativo, si deve affermare la regolarità del calcolo da parte dell’Ufficio, che trova il suo
fondamento nell’art. 12, comma 1, della legge n. 414/91 e nella risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 69 del 15.5.2006, da cui si evince la non deducibilità degli oneri di cui si tratta dai redditi del contribuente» ).
Per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 1.800 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione