Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15257 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15257 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/06/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nei ricorsi riuniti iscritti al n. 21882/2018 R.G. ed al n. 12209/2024 R.G.
proposti da:
AZIENDA TERRITORIALE PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA DEL COMUNE DI ROMA, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME
estinzione;
revocazione del decreto di estinzione
Ud.25/02/2025 PU
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 203/2018 depositata il 16/01/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.G. che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso per revocazione del decreto di estinzione n. 5773/2024 e per l’estinzione del giudizio.
Uditi i difensori delle parti.
FATTI DI CAUSA
1.ATER -Azienda per l’edilizia Residenziale pubblica del Comune di Roma impugnava l’avviso di accertamento con il quale il Comune di Roma, in relazione a 51.978 alloggi di proprietà di detta azienda, in parte destinati ad abitazione ed in parte ad attività commerciale, accertava una maggiore IMU relativa all’anno 2012, applicando l’aliquota differenziata dello 0,68 per cento, deliberata per gli immobili destinati ad abitazione nonché l’aliquota dell’1.06% per le unità immobiliari destinate ad attività commerciali. Per tali alloggi, invece, ATER aveva corrisposto in acconto l’IMU, applicando l’aliquota ordinaria dello 0,38 per cento (la metà dello 0,76 per cento), in ossequio al combinato disposto di cui ai commi 6 e 10 dell’art. 13 d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 come modificato dall’art.4, comma 5, lett.f), d.l. 2 marzo 2012, n. 16, che prevede (va) la non applicazione della quota erariale dell’imposta (pari allo 0,38 per cento) agli immobili degli ex IACP regolarmente assegnati.
I giudici di primo grado di Roma, con sentenza n. 19098/2017, respingevano il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, annullando parzialmente l’avviso limitatamente agli immobili che non risultavano in proprietà dell’ente.
La pronuncia veniva appellata innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con sentenza n. 203 del 2018, respingeva l’impugnazione principale propost a da ATER affermando che: l’art. 13, comma 10, d.l. 201/2011 fa riferimento alle detrazioni di imposta del tributo, mentre il comma 11 riserva allo Stato la quota di imposta pari alla metà dell’importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell’abitazione principale e delle relative pertinenze; – la normativa citata ha sancito un regime di favore per l’abitazione principale, caratterizzato da un aumento delle detrazioni sino alla concorrenza dell’ammontare dell’imposta, ove per abitazione principale si intende l’immobile iscritto o iscrivibile in catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare nel quale il possessore e il suo nucleo familiare abitualmente dimorano e risiedono; l’ATER detiene un rapporto di tipo locativo con gli assegnatari degli alloggi, di guisa che questi ultimi non rientrano nella nozione di abitazione principale.
L’azienda proponeva ricorso per la cassazione della sentenza indicata, svolgendo cinque motivi, illustrati con memorie.
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod.proc.civ., si deduceva , per avere il decidente erroneamente reputata legittima la pretesa del Comune di Roma di ottenere il pagamento della
quota di Imu sperimentale riservata allo Stato. Con il secondo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., si lamenta la violazione dell’art. 1, comma, 2 legge n. 212/2000; per avere la Commissione d’appello attribuito alla nota n. 12507 del 2012 del Ministero dell’Economia e delle Finanze valenza di disposizione di interpretazione autentica del disposto del comma 10 dell’art. 13 d.l. n. 210/2011, nella versione risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 4, comma 5, d.l. n. 16/2012. Il terzo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod.proc.civ., denuncia , censurando il deficit motivazionale della sentenza impugnata, . Il quarto mezzo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 10, comma 3, legge n. 212/200, 6, comma 2, d.lgs. n. 472/1997 e 8 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ. L’ultimo strumento di ricorso denuncia l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod.proc.civ.; per avere la C.T.R. omesso di ponderare la situazione di obiettiva incertezza in merito al disposto dell’art. 13 d.l. n. 21272011, nella versione risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 4, comma 5, lett. f) d.l. n. 16/2012.
La società di riscossione replicava con controricorso.
Con provvedimento del 18 giugno 2023 il Consigliere delegato dal Presidente titolare della sezione tributaria proponeva la definizione accelerata ex art. 380- bis cod. proc. civ. in ragione della manifesta infondatezza dei motivi di censura, rilevando che .
La società ricorrente formulava richiesta di sospensione del giudizio in data 18.07.2023, avendo presentato istanza di definizione agevolata ai sensi della legge 197/2022.
Decorso il termine di cui al secondo comma dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., il Consigliere Delegato, con decreto n. 5773 del primo marzo 2024, rilevato il decorso del detto termine, senza che nelle more fosse stata depositata richiesta di decisione del ricorso da parte della ricorrente, dichiarava l’estinzione del giudizio di cassazione, con la condanna della ricorrente al rimborso delle spese di lite in favore dell’ente locale.
La ricorrente, sostenendo che in data 1° marzo 2024, in luogo della sospensione del giudizio prevista ex lege nelle ipotesi di adesione alla c.d. rottamazione, veniva depositato decreto di estinzione del giudizio n. 5773/2024, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 380-bis, comma 2, cod.proc.civ. e 391 cod.proc.civ. -comunicato in data 4 marzo 2024, -presentava, in data 12 marzo 2024, istanza di fissazione dell’udienza dinanzi alla Corte.
In data 14 febbraio 2025, l’Ater depositava memorie difensive allegando quietanze di pagamento della rottamazione quater ed insistendo in via principale per la sospensione del giudizio.
Con successivo ricorso iscritto al n. 12209/24 R.G., ATER ha proposto ricorso per revocazione avverso il medesimo decreto di
estinzione n. 5773/2024 emesso in data 1° marzo 2024 e depositato in data 4 marzo 2024, con cui questa Corte ha dichiarato estinto il giudizio iscritto sub R.G. n. 21882/2018, in materia di IMU per l’anno di imposta 2012, sull’erroneo presupposto che non fosse stata proposta istanza di decisione del ricorso, producendo in questo giudizio la documentazione inerente il pagamento delle prime due rate della cd. .
La ricorrente ha rinunciato al termine di cui all’art. 377, secondo comma, cod.proc.civ. per consentire la discussione del ricorso per revocazione unitamente al ricorso iscritto al n. 21882/2018 R.G.
Ha replicato con controricorso il Comune di Roma.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4ter, e 380bis .1, cod.proc.civ., per l’adunanza del 17 settembre 2024, nominandosi relatore lo stesso Consigliere estensore della proposta di definizione mediante procedimento per la decisione accelerata.
All’esito dell’udienza del 17 settembre 2024, il Collegio, con ordinanza n. 27587/2024, previa riunione del ricorso iscritto al n. 12209/2024 R.G. al ricorso iscritto al n.21882/2018 R.G., ha rinviato la causa in pubblica udienza.
In prossimità dell’udienza, COGNOME ha depositato memorie difensive.
All’udienza del 25 febbraio 2025, il P.G. ha concluso per l’inammissibilità della revocazione del decreto di estinzione e per l’estinzione del giudizio.
MOTIVI DI DIRITTO
Rg 12209/2024
Con ordinanza n. 12209/2024, questa Corte ha ribadito che il collegio che giudichi del ricorso per revocazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di merito può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al giudizio conclusosi con sentenza o con decreto, senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento ovvero la dichiarazione di estinzione del giudizio, che può consistere indifferentemente in un “error in procedendo” o in un “error in iudicando”, atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione; rilevando, poi, che, trattandosi di serie processuali autonome per presupposti, ambito di cognizione ed effetti impugnatori, non viene in rilievo “un altro grado dello stesso processo’ (S.U. 15/10/2019, n. 26022; Cass. 25/01/2021, n. 1542; Cass. 12/01/2017, n. 656).
2. Il ricorso per revocazione è affidato ad un unico motivo.
La società ricorrente -con il ricorso per revocazione corredato da procura speciale deduce l’illegittimità del decreto n. 5773/2024 emesso dal Consigliere delegato in data 4 marzo 2024, in ragione della sussistenza di un errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, cod.proc.civ. (ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 391 -bis cod.proc.civ.), ritenendo che la dichiarazione di estinzione del giudizio sia stata adottata senza avvedersi della circostanza, , che l’ATER Roma aveva aderito alla definizione dei carichi affidati all’Agente della Riscossione, ex art. 1, commi 231 e ss., della legge 29 dicembre 2022, n. 197 e che, a tal fine, aveva ritualmente proceduto a
depositare agli atti di causa apposita istanza di sospensione del giudizio ex art. 1, comma 236, della legge n. 197 del 2022, cui era allegata la ricevuta di presentazione dell’istanza di ammissione al beneficio. Soggiunge la contribuente che, in luogo della sospensione del giudizio prevista nelle ipotesi di adesione alla c.d. ‘Rottamazione quater ‘, il Consigliere delegato, con il decreto summenzionato ha dichiarato l’estinzione del giudizio n. 21882/2018, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 380bis , comma 2, e 391 cod.proc.civ.. Si assume che in detto decreto non vi è alcun riferimento all’istanza di sospensione del giudizio, in relazione alla domanda di ammissione alla c.d. ‘Rottamazione quater ‘ ed al successivo atto di ammissione al beneficio, pure ritualmente depositati telematicamente, rispettivamente nei mesi di luglio ed ottobre dell’anno 2023.
La contribuente deduce, inoltre, che il Legislatore, nel disciplinare l’istituto speciale della c.d. ‘Rottamazione quater ‘, ha previsto che sia concessa la sospensione del procedimento giurisdizionale nelle more del perfezionamento della procedura definitoria: perfezionamento che si ha solo con il pagamento integrale di tutte le rate previste dal relativo piano (e quindi con versamento della rata scadente il 30 novembre 2027 nel caso di specie, avendo l’ATER Roma scelto il numero massimo di rate previste ex lege , in ragione della gravosità del carico iscritto a ruolo).
3.L’amministrazione comunale, con controricorso, eccepisce l’inammissibilità dello strumento revocatorio azionato avverso il decreto del 4 marzo 2024, alla luce della giurisprudenza di legittimità che ha individuato quale unica modalità di reazione al decreto di estinzione del giudizio pronunciato ai sensi del secondo comma dell’art. 380 bis cod.proc.civ. l’opposizione ex art. 391 cod.proc.civ., da proporsi, a pena di inammissibilità, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.
Deduce l’ente locale che l’istanza di sospensione del giudizio ex art. 1, comma 236, legge n. 197 del 2022, depositata dalla contribuente in data 18 luglio 2023, non potesse in alcun modo valere quale istanza di decisione ex art. 380 bis cod.proc.civ., necessaria al fine di evitare la dichiarazione di estinzione del giudizio, né avrebbe potuto così riqualificarsi, difettandone i requisiti di forma e di sostanza. Si assume che, sulla base di quanto precede, non avendo la società contribuente depositato alcuna istanza di decisione nel termine di quaranta giorni dalla comunicazione dell’avviso ex art. 380 bis cod.proc.civ., correttamente questa Corte ha emesso il decreto di estinzione del giudizio R.G.R. n. 21882/2018; aggiungendo che la società RAGIONE_SOCIALE ha depositato nel giudizio concernente la debenza del tributo solo la domanda di definizione agevolata e non anche la documentazione attestante il pagamento della prima rata. Ribadendo che l’unica rituale forma di reazione processuale, da parte dell’odierno ricorrente, avrebbe potuto/dovuto essere quella dell’ opposizione ai sensi dell’art. 391 cod.proc.civ. (significativamente richiamato dallo stesso art. 380-bis cod.proc.civ. (Cass. n. 1031/2024).
4.L’eccezione di inammissibilità del ricorso per revocazione, giustificata dalla previsione legislativa dell’opposizione quale unico strumento per contestare il decreto di estinzione ex art. 391 cod.proc.civ., non ha pregio.
4.1.Per vero, prima dell’introduzione del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. “Riforma Cartabia”), come modificato dalla legge 29 dicembre 2022, n. 197, oggetto di revocazione e di correzione erano, ai sensi di quanto previsto dall’art. 391-bis cod.proc.civ., la sentenza o l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 375, primo comma, numeri 4) e 5) dalla Corte di Cassazione, con esclusione del decreto con il quale viene dichiarata l’estinzione, che, a norma del comma 3 dell’art. 391 cod.proc.civ., ha efficacia di titolo
esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione. Alla luce della disposizione da ultimo richiamata, quindi, il decreto non poteva essere oggetto di revocazione se le parti rinunciavano a chiedere la fissazione dell’udienza e l’emissione di una pronuncia di forma diversa suscettibile del rimedio impugnatorio azionato nella presente sede (v. S.U. 19880 del 2014; Cass. n. 6607 del 06/04/2016; Cass. n. 10131/2024).
4.2. Sennonchè, il d.lgs. 149/2022, al fine di razionalizzare i riti di legittimità, ha riscritto l’art. 391 -bis cod.proc.civ., in materia di correzione e revocazione (com’è noto, limitata quest’ultima, per la generalità delle pronunce di legittimità, ai soli casi di errore di fatto ai sensi del n. 4 dell’art. 395 cod.proc.civ.) dei provvedimenti della Corte di C assazione, ampliando l’oggetto della procedura identificato ora non solo nella sentenza e nell’ordinanza, ma pure nel decreto di estinzione reso ai sensi dell’art. 380 -bis cod.proc.civ. (e cioè in quello all’esito della proposta del presidente o del suo delegato). L’art. 35, comma 6, d.lgs. 149/2022 prevede che . Pertanto, al presente giudizio introdotto in epoca antecedente alla predetta data trova applicazione il disposto dell’art. 391 -bis c.p.c, nella nuova formulazione.
4.3. L’ordinanza di questa Corte n. 10131/2024, richiamata dal Comune, non esclude la possibilità di esperire il ricorso per revocazione avverso il decreto ex art. 391 cod.proc.civ., in quanto, laddove assume che <l'unica rituale forma di reazione processuale, da parte dell'odierno ricorrente, avrebbe potuto/dovuto essere
quella dell'opposizione ai sensi dell'art. 391 cod.proc.civ. (significativamente richiamato dallo stesso art. 380-bis cod.proc.civ.), ai sensi del quale il provvedimento (decreto) di estinzione ha efficacia di titolo esecutivo , intende fare riferimento alla circostanza che la parte non aveva formulato una rituale istanza di opposizione come prevista dal disposto dell’art. 391 cod.proc.civ..
5.Il ricorso per revocazione è, purtuttavia, inammissibile per altra ragione.
5.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che «l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di Cassazione dall’art. 391-bis cod. proc. civ., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali » (Cass. n.2236/2022; Cass. Sez. U., 27 novembre 2019, n. 31032; Cass., 18 ottobre 2018, n. 26301; Cass., 15 febbraio 2018, n. 3760; Cass., 26 agosto 2015, n. 17163; Cass., 21 luglio 2011, n. 16003; Cass.17443/2008).
5.2. L’errore revocatorio deve tradursi nella percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta dai documenti di causa (ex plurimis, Cass. 20 febbraio 2006, n. 3652; Cass. 11 aprile 2001, n. 5369); inoltre, l’errore deve essere decisivo , nel senso che deve
esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; – non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; – deve presentare i caratteri della evidenza ed obiettività (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4640); apparire, infine, di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero in una critica del ragionamento del giudice sul piano logico – giuridico (cfr. Cass. 29833 del 2017, in motivazione). Si è, quindi, affermato che «In tema di revocazione delle sentenze della Cassazione, è inammissibile il ricorso al rimedio previsto dall’art. 391 bis cod. proc. civ. nell’ipotesi in cui il dedotto errore riguardi norme giuridiche, atteso che la falsa percezione di queste, anche se indotta da errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali, integra gli estremi dell’error iuris, sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata (riconducibile all’ipotesi della violazione)»(Cass.n. 29922/2011;Cass.n. 29922 del 29/12/2011; Cass. 29833 del 2017, in motivazione; Cass. n.4584/2020; Cass. n. 24672/2022).
6.La circostanza che, nella fattispecie sub iudice, il Consigliere delegato abbia omesso qualsiasi riferimento alla istanza di sospensione del giudizio non integra un errore di fatto decisivo , atteso che dalla presentazione della dichiarazione di definizione agevolata con annessa istanza di sospensione del giudizio, depositata nel termine di quaranta giorni dalla comunicazione della proposta di definizione accelerata, non discende un effetto ex sè sospensivo del giudizio, come già chiarito nella motivazione del ricorso avverso il decreto di estinzione del giudizio n. RG 21882/2018 né rappresenta un atto strutturalmente idoneo ad
impedire il consolidarsi della fattispecie tipizzata dal legislatore (rinuncia implicita), tant’è che il Consigliere delegato ha dato atto che in mancanza del deposito di istanza di decisione si era configurata la fattispecie estintiva.
6.1.Le argomentazioni prospettate dalla ricorrente, non devolvono a questa Corte la valutazione di un ‘errore di fatto’ ricadente sulla materiale consistenza della istanza di sospensione del giudizio, bensì un ‘errore di giudizio’, volto cioè a contestare l’implicita valutazione di irrilevanza della istanza in oggetto espressa dal Consigliere delegato, che – tenuto conto della peculiare natura del procedimento di cui all’art. 380 -bis cod.proc.civ. che ha conferito alla parte la possibilità di scegliere tra la richiesta di decisione del ricorso ovvero l’inerzia – ha reputato necessaria, come emerge dal provvedimento, la presentazione dell’istanza di decisione, non attribuendo, con tutta evidenza, all’istanza di sospensione del giudizio per definizione agevolata l’idoneità ad elidere gli effetti della proposta di definizione accelerata non seguita dall’istanza di decisione del giudizio. Il preteso errore, qualora sussistesse, investirebbe piuttosto le conseguenze giuridiche della istanza di sospensione e quelle prodotte dalla mancata presentazione della istanza di decisione nel termine perentorio fissato dall’art. 380 -bis cod.proc.civ., esorbitando quindi dall’oggetto ammissibile della proposta revocazione. L’assunto secondo il quale l’istanza presentata avrebbe dovuto indurre il Consigliere delegato a sospendere il giudizio (potere che il consigliere delegato non ha, in quanto delegato a formulare le proposte di definizione accelerate e ad emettere i conseguenti decreti di estinzione) sino al pagamento dell’ultima rata, implica in realtà la deduzione di un errore di diritto – ed in particolare di un errore di valutazione in merito alla valenza giuridica dell’istanza depositata -alla base del decreto di estinzione.
6.2.Infatti, non spetta a questo Collegio, in sede revocatoria, valutare se sia corretta o meno la soluzione in diritto che costituisce la ratio decidendi della decisione di legittimità impugnata.
7.D’altra parte, in tema di revocazione, la falsa rappresentazione, in capo al giudice, della realtà processuale in cui consiste l’allegazione di un decisivo ‘ error facti ‘ addotto a fondamento dell’azione revocatoria deve già in astratto, sulla base cioè delle mere deduzioni del ricorrente in revocazione, alla stregua di una prospettazione che è suo onere esplicitare e supportare documentalmente -costituire l’antecedente di un preciso determinismo causale rispetto alla concreta decisione adottata dal giudice sulla base -anche, ma imprescindibilmente -di tale errore.
7.1.Ora, nella specie, a dispetto di quanto sostenuto dalla contribuente, l’omessa valutazione dell’istanza di sospensione del giudizio non presenta rilevanza causale rispetto alla dichiarazione di estinzione del giudizio ex art. 391 cod.proc.civ., vale a dire non presenta carattere decisivo, in quanto non manifesta ‘ex se’ la benché minima correlazione, men che meno propriamente causale, rispetto al rilievo operato dal Consigliere delegato secondo cui la parte ricorrente non aveva presentato nei termini di legge l’istanza di decisione, ritenuta la sola idonea a sprigionare gli effetti che la procedura di cui all’art. 380 -bis cod.proc.civ. disciplina. In altri termini, l’assunto secondo cui il consigliere delegato avrebbe trascurato di attribuire rilevanza giuridica alla istanza di sospensione del giudizio impinge semmai su un piano valutativo (e dunque non revocatorio) della rilevanza dell’omessa presentazione della istanza di decisione.
Rg. 21882/2018
1.Il decreto di cui all’art. 391, primo comma, cod. proc. civ. ha la medesima funzione di pronuncia sulla fattispecie estintiva e il medesimo effetto di attestazione che il processo di cassazione deve chiudersi perché si è verificato un fenomeno estintivo che l’ordinamento processuale riconosce alla sentenza o all’ordinanza, con la differenza che, mentre nei confronti dei suddetti provvedimenti è ammessa solo la revocazione ex art. 391 bis cod. proc. civ., avverso il decreto presidenziale il disposto dell’art. 391, terzo comma, cod. proc. civ., individua, quale rimedio, il deposito di un’istanza di sollecitazione alla fissazione dell’udienza (collegiale) per la trattazione del ricorso.
1.1. Nella medesima direzione si collocano sia Cass. n. 10131 del 15/4/2024 secondo cui, appunto, a seguito dell’emissione del provvedimento di estinzione, l’unica rituale forma di reazione processuale, oltre al ricorso per revocazione, da parte del ricorrente, è quella dell’opposizione ai sensi dell’art. 391 cod.proc.civ. – sia le S.U. n. 9611/2024, le quali hanno precisato che la previsione secondo cui la Corte provvede ai sensi dell’articolo 391 cod.proc.civ. comporta l’operatività altresì del terzo comma di tale norma, in forza del quale il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.
2.Tale istanza che è priva del carattere impugnatorio e non deve essere motivata va depositata nel termine, da ritenersi perentorio (salva la generale possibilità di rimessione in termini prevista dall’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., aggiunto dall’art. 45, comma 19, della legge 18 giugno 2009, n. 69), di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo rechi o meno una pronuncia sulle spese (Cass. S.U. n. 19980 del 23/09/2014; Cass. S.U. n. 9611/2024).
2.1.Considerato che l’art. 391, terzo comma, cod.proc.civ., come novellato dall’art. 15 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nel prevedere che il decreto presidenziale di estinzione del processo abbia efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chieda la fissazione dell’udienza nel termine stabilito, attribuisce alle parti in causa, che non ritengano esaustivo il provvedimento presidenziale di estinzione emanato a seguito della rinunzia, la possibilità di chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla controversia, senza imporre l’onere di indicare i motivi di tale richiesta. Tale disposizione, infatti, non configurando un rimedio di carattere impugnatorio, consente alle parti di chiedere il passaggio ad una fase successiva al fine di contestare la correttezza del provvedimento di estinzione, in quanto emesso al di fuori delle condizioni che ne permettano l’adozione, nell’ambito della quale la Corte può valutare se l’istanza di estinzione sia stata correttamente emanata oppure, in caso contrario, di elidere qualsiasi valore del decreto di estinzione e procedere all’esame del ricorso per cassazione (Cass., Sez. L, Sentenza n. 15817 del 06/07/2009; conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3352 del 12/02/2010 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24433 del 21/11/2011; Cass. Sez. Unite n. 29842 del 2024, n. 9611 del 2024 e n. 19980 del 2014; Cass. Sez. 2° n. 26629 e n. 19234 del 2024; Cass. n. 10131/2024; Cass. n.6762 del 14/03/2025). Si è precisato che la richiesta della parte di fissazione dell’udienza ex art. 391, comma 3, cod.proc.civ. produce ” ipso facto ” la vanificazione del decreto presidenziale di estinzione, quale che ne sia il contenuto e, dunque, sia quando contenga, sia quando non contenga una statuizione sulle spese (Sez. U, Sentenza n. 19980 del 23/09/2014, §§ 7.3.3 e seguenti della motivazione), sicchè al venir meno di ogni effetto del decreto presidenziale consegue che resta affidata al Collegio giudicante ogni decisione sia sull’estinzione del giudizio, sia sulle spese del giudizio (Cass. n. 31318 del 24/10/2022; Cass. n. 19234/2024).
2.2. Si rileva che l’esame della fondatezza dell’istanza di decisione ex art. 391 cod.proc.civ., postula innanzitutto che si proceda all’esegesi della norma dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., che si pone a monte della sequenza procedimentale che conduce all’adozione del decreto di estinzione. Il nuovo istituto dell’art.380 -bis cod.proc.civ. si connota per una logica procedimentale innovativa e diversa: la proposta di c.d. definizione accelerata del giudizio, non diversamente dalla previgente proposta (e, altresì, dalla relazione, che l’aveva preceduta nel tessuto normativo), continua, infatti, a rappresentare un mero opinamento del relatore proponente, privo di valore decisionale, il novum essendo rappresentato unicamente dalla richiesta del legislatore di una interlocuzione della parte, la quale rimane domina effettiva dell’impulso di definizione del giudizio secondo due alternative: a) la prima è quella che consegue all’omessa richiesta di decisione della Corte, così compiendosi, con il silenzio serbato nel termine previsto, una manifestazione tacita di rinuncia al ricorso, la quale segue la sorte procedimentale dell’ordinaria manifestazione di rinuncia espressa disciplinata negli artt. 390 e 391 cod. proc. civ. e comporta la definizione del giudizio; b) la seconda è invece rappresentata da una mera istanza, non motivata, di decisione, la quale di per sé provoca la decisione della Corte (Cass.15 novembre 2023, n. 31839).
2.3. In particolare, la proposta di definizione accelerata del giudizio è rivolta alle parti, evita loro ‘sorprese’ nell’ottica della collaborazione, assicura la dialetticità della procedura e provoca l’eventuale contraddittorio, non costituisce alcun vincolo né alcuna preclusione per il giudizio del collegio, non ‘decide’ anticipatamente il giudizio e, quindi, non definisce il procedimento, né si colloca in una fase diversa e compiuta rispetto a quella che poi porta la Corte a procedere ai sensi dell’art. 380 -bis1 cod.proc.civ., in quanto è priva di autonomia procedurale; tuttavia, la vera novità del novellato art. 380bis cod.proc.civ. sta nell’aver
previsto che la mancata dichiarazione del permanente interesse alla decisione del ricorso, da esprimere con l’istanza di cui al secondo comma, lascia ‘intendere rinunciato’ il ricorso, sicché la Corte provvede ai sensi dell’art. 391 cod.proc.civ., vale a dire con decreto del presidente, anziché secondo la regola di costituzione del collegio giudicante imposta dall’art. 67 ord. giud. e garantita ove sia chiesta la decisione. Nella disciplina del procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, si è inteso piuttosto attribuire significatività legale ad un determinato comportamento processuale omissivo del ricorrente, quale la mancata richiesta di decisione entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, intendendolo come equipollente alla manifestazione di una volontà abdicativa, e cioè di una tacita rinuncia, dell’impugnazione. La proposta di cui al vigente art. 380-bis cod.proc.civ. realizza indubbiamente un assetto meramente strumentale e interinale, e rimane, quindi, prodromica alla decisione conclusiva che spetta al collegio, tuttavia, se ad essa non segue la richiesta di cui al secondo comma, il giudizio, come già anticipato, viene definito dal decreto che dichiara l’estinzione del giudizio emesso a norma dell’art. 391 cod.proc.civ. (il che ne spiega la forma monocratica), e non con una statuizione confermativa della inammissibilità, della improcedibilità o della manifesta infondatezza del ricorso ipotizzate dal proponente (v. S.U. n. 9611/2024).
2.4. Tanto premesso in ordine alla fase sub-procedimentale di cui all’art. 380 -bis cod. proc.civ., occorre ritornare all’esame dell’istanza di sollecitazione alla fissazione dell’udienza per la decisione collegiale di cui al terzo comma dell’art. 391 cod.proc.civ., che produce, come anticipato, l’effetto di rimettere a questa Corte di valutare se l’estinzione sia stata correttamente dichiarata e, in caso contrario, di elidere qualsiasi valore del
decreto di estinzione ai fini della definizione del giudizio di cassazione (Cass. Sez. Unite n. 19980 del 2014).
2.5. Nel caso in rassegna, vale evidenziare che la ricorrente si è limitata a depositare nel termine perentorio di cui all’art. 380 -bis secondo comma, cod.proc.civ., una istanza di sospensione del giudizio (accompagnata dalla domanda di rottamazione quater e dalla relativa ricevuta di presentazione della domanda) per aver aderito alla definizione agevolata ex lege 29 dicembre 2022, n. 197, la quale non può reputarsi, sia per forma che per contenuto, in alcun modo equipollente all’istanza di decisione che, secondo la previsione dell’art. 380 -bis cod.proc.civ., deve necessariamente contenere una richiesta di decisione del merito cassatorio, non potendo la richiesta ritenersi implicita nell’impulso sotteso al diverso atto, attesa la differente finalità dello stesso; da ciò discende che l’istanza di sospensione non ha impedito la realizzazione della rinuncia implicita, trattandosi di atto (istanza di sospensione del giudizio) strutturalmente inidoneo ad essere considerato quale «istanza di decisione», tanto più che assume un’accezione di contenuto opposto a quest’ultima. Il valore di atto impeditivo della formazione della fattispecie estintiva può ricollegarsi, difatti, solo a un atto che comunque contenga il già segnalato elemento volitivo che il legislatore espressamente richiede.
2.6. Depone in tal senso anche quanto di recente precisato da Cass. n. 2614/2024, secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, il deposito di una memoria ex art. 378 cod.proc.civ. non è idoneo ad impedire la formale declaratoria di estinzione del giudizio a seguito di rinuncia ex art. 391 cod.proc.civ., non essendo equiparabile all’istanza di decisione del ricorso richiesta dall’art. 380-bis cod.proc.civ. (come novellato dal
d.lgs. n. 149 del 2022), attesa la mancanza dei requisiti di forma e di sostanza. Come nel caso deciso dal precedente ora citato, ove è stato sottolineato che la memoria depositata appariva del tutto avulsa dal contesto, in quanto non faceva riferimento alcuno alla proposta di definizione accelerata, analogamente l’istanza di sospensione del giudizio prescinde del tutto dalla formulazione della proposta e dalla necessità del rispetto del termine per la richiesta di decisione ed anzi si pone in dissonanza con la sequenza procedimentale prevista dal legislatore all’art. 380 -bis cod.proc.civ.
2.7. Detti principi declinati nella fattispecie sub iudice escludono che l’istanza di sospensione del giudizio potesse impedire la formazione della fattispecie estintiva ovvero prevalere -per la sua natura procedurale -sulla sequenza del sub-procedimento previsto dall’art. 380 -bis cod. proc.civ., in quanto – sebbene il giudizio al momento della sua proposizione fosse pendente – con l’inutile decorso del termine di 40 giorni dalla comunicazione della proposta di definizione accelerata senza la presentazione dell’istanza di decisione, esso si è estinto, non avendo il relativo provvedimento che effetto dichiarativo. In altri termini, a fronte della proposta di definizione accelerata e della relativa comunicazione, nonché dell’inutile decorso del termine stabilito dall’art. 380-bis, secondo comma, cod. proc.civ., si è nella specie verificata la fattispecie equiparata ope legis alla rinuncia.
2.8. In conclusione, il deposito della suddetta istanza di sospensione del giudizio è inidoneo -in quanto strutturalmente diverso da una istanza di decisione – ad impedire la formale declaratoria di estinzione ex art. 391 cod.proc.civ., che – con valutazione tipica ex lege -l’art. 380 -bis cod.proc.civ. novellato attribuisce senz’altro ad una attività del tutto deficitaria (mancato
deposito di un’istanza di decisione tecnicamente intesa) (v. Cass.2614/2024).
Sotto altro versante, appare opportuno evidenziare come l’istanza in rassegna non sospenda ex lege il giudizio, come vorrebbe parte ricorrente teorizzando un effetto sospensivo automatico del giudizio in contrasto con quanto prevede, invece, la lettera dell’art. 1, comma 236, d.lgs. n. 197/2022, secondo la quale .
3.1. Indubbiamente, la portata e gli effetti delle leggi di condono e i modi di accesso alla sanatoria sono eminentemente giuspubblicistici, ma la natura del condono fiscale è meramente procedurale (Corte costituzionale, 07/07/1986, n.172) consentendo al contribuente la possibilità di definire le controversie tributarie in via amministrativa, costituendo una forma atipica di definizione del rapporto tributario, la quale esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso. (sentenza Corte cost. n. 321 del 1995; Cass. civ., sez. unite, n. 1518 del 2016).
3.2. In tale prospettiva, viene in rilievo il piano che intercetta l’intersezione tra gli effetti dell’adesione alla rottamazione quater e la disciplina procedimentale della fase di cui all’art. 380 -bis cod. proc.civ..
3.3. Per vero, la natura processualistica della definizione agevolata (ovvero della rottamazione quater ) impone in ogni caso -in considerazione della sua attitudine ad incidere sul corso del processo di legittimità – il suo coordinamento con le norme
processualistiche che regolano il giudizio di legittimità ed, in particolare, con quelle che disciplinano la fase introdotta dalla proposta di definizione accelerata ex art. 380bis cod.proc.civ., idonea – come il condono fiscale -, a definire il processo, nella fattispecie legalmente tipizzata della «rinuncia tacita»; indi, l’istituto della definizione agevolata, declinato nella domanda di rottamazione quater con rateizzazione del pagamento, deve essere armonizzato con la specialità del giudizio di legittimità allorquando sia intervenuta la proposta di cui all’art. 380 -bis cod.proc.civ., la quale sebbene non introduca una fase diversa nel giudizio di cassazione, è caratterizzata dalla novità introdotta dal legislatore, che sta nell’aver previsto che la mancata dichiarazione del permanente interesse alla decisione del ricorso, da esprimere con l’istanza di cui al secondo comma, lascia ‘intendere rinunciato’ il ricorso, sicché la Corte provvede ai sensi dell’art. 391 cod.proc.civ. (ovvero con decreto del presidente, anziché secondo la regola di costituzione del collegio giudicante imposta dall’art. 67 ord. giud. e garantita ove sia chiesta la decisione).
3.4. Ne discende che, avendo la contribuente invocato la sospensione del giudizio in attesa del completamento della rateizzazione del debito tributario, il principio della ragionevole durata del processo impone la prevalenza della fattispecie estintiva conseguente alla inerzia del ricorrente che ha omesso di depositare una formale istanza di decisione del ricorso.
Da tanto discende che l’estinzione deve dirsi correttamente dichiarata con il decreto pronunciato dal Consigliere delegato in data primo marzo 2024.
Il giudizio va quindi dichiarato estinto.
6.Infine, il Collegio quando si pronuncia sul reclamo, se lo rigetta, deve provvedere sulle spese del procedimento incidentale
instaurato, laddove solo in caso di accoglimento si giustifica una rivisitazione complessiva ed unitaria delle stesse (in armonia col principio generale secondo cui il potere di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte del provvedimento impugnato, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la pronuncia sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione e sempre che la doglianza venga accolta) (v. Cass. n.26444/2024, in motiv.).
In conclusione, va respinto il ricorso per revocazione iscritto al n. 12209/2024 R.G.; così come il riscontro della sussistenza dei presupposti per l’adozione del decreto di estinzione n. 5773/2024 impone la declaratoria di estinzione del giudizio riunito iscritto al n. 21882/2018 R.G..
Tuttavia, considerata la pendenza della procedura relativa alla rottamazione quater e la peculiarità della controversia, appare opportuno compensare le spese di entrambi i giudizi riuniti e del procedimento di opposizione al decreto di estinzione.
10.Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il procedimento di ‘opposizione’ al decreto di estinzione e per il giudizio di revocazione a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso per revocazione sub n. 12209/2024 R.G.;
-dichiara estinto il giudizio di cassazione sub n. 21882/2018 R.G;
-compensa le spese di entrambi i giudizi nonché della procedura incidentale introdotta dall’istanza di fissazione dell’udienza ex art. 391 cod.proc.civ.
-v.to l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della società di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso per revocazione e per il procedimento di opposizione, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della