Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13512 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13512 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10086/2018 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
avverso SENTENZA della C.T.R del Lazio n. 5496/2017 depositata il 26/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna la sentenza della C.T.R. del Lazio di rigetto dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza della C.T.P. di Roma, con la quale è stato respinto il ricorso avverso il rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate alla richiesta di declassamento della categoria catastale da A1 in A2dell’appartamento di proprietà della contribuente, sito in Roma, INDIRIZZO
La C.T.R., dato atto dell’adeguatezza della motivazione della C.T.P. in materia di classamento di immobili, essendosi il giudice di prima cura uniformato alla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che le caratteristiche dell’immobile, sito in Roma nel INDIRIZZO, giustificassero l’inquadramento catastale nella categoria A/1, nella quale esso è sempre stato inserito, anche avuto riguardo all’attribuzione da parte del contribuente della medesima categoria in sede di precedente procedura DOCFA, accettata dall’Ufficio.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con memoria, ex art. 380 bis cod. proc. civ.., parte ricorrente ribadisce le conclusioni assunte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente si affida a sei motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 l.
241 del 1990 e 7 l. 212/2000, nonché degli artt. 3, 53 e 97 Cost.. Osserva che l’atto di diniego del declassamento catastale richiesto dalla contribuente non è stato motivato dall’Ufficio, neppure in modo sintetico e che, a fronte del motivo formulato con il ricorso introduttivo del giudizio, in assenza di motivazione sul punto della C.T.P., il giudice di secondo grado si è limitato, nonostante la doglianza proposta con il gravame, a ritenere ‘la sentenza impugnata’ adeguatamente motivata. E ciò, benché la Suprema Corte abbia chiarito che l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo si estende all’atto di diniego del classamento richiesto dal contribuente.
3. Con il secondo deduce , ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 17 d.d.l. 652 del 1939, in relazione alle Circolari del Ministero delle Finanze nn. 134/1941 e 5/3/1100 del 1992, alla nota C1/1022/1994 della Direzione centrale del Catasto e dei Servizi geotopografici, nonché alla Circolare del Ministero delle Finanze n. 4/2006, concernenti l’esatta definizione della caratteristica ‘signorile’ per l’identificazione nella categoria catastale ‘A1’. Richiamato il contenuto delle Circolari ministeriali e delle circolari dell’Ufficio provinciale dell’Agenzia delle Entrate Milano, Bologna, Roma e Salerno, nonché della nota C1/1022/94 della Direzione Centrale del Catasto, sostiene che l’immobile di proprietà della contribuente non riveste le caratteristiche della categoria A1, non trattandosi di un intero fabbricato, o di intero piano con ampio spazio circondato da verde, non sussistendo, secondo la relazione tecnica allegata all’istanza di correzione della categoria, e secondo la perizia giurata allegata all’atto introduttivo del giudizio, a firma dell’ing. COGNOME i requisiti dell’attribuito classamento. Invero, con riferimento ai fattori intrinseci, le dotazioni tecniche appaiono conformi alla cat. A2. Mentre le caratteristiche costruttive e le rifiniture, rispondenti
alle locali richieste di mercato per fabbricati di tipo residenziale, appaiono conformi alla microzona di riferimento dei ‘Parioli’, essendo detto livello tanto più alto, quanto più di pregio è il quartiere in cui l’immobile ricade. Ed infatti, anche ove il medesimo avesse avuto all’epoca della costruzione (1942) caratteristiche di ‘signorilità’ -quali riscaldamento ed ascensoresiffatta qualifica ben può essere andata perduta allorché l’evoluzione della tecnologia e della normativa edilizia le abbiano rese ‘normali’ -per essere dette dotazioni divenute obbligatorieo sinanco obsolete. Parimenti, avuto riguardo ai fattori estrinseci, la ricorrente ha provato, a mezzo di perizia giurata, che, se ambasciate e ville erano già presenti al momento della costruzione, ma in una microzona poco edificata, successivamente il quartiere Parioli è andato incontro ad uno sviluppo urbanistico che ne ha fatto venir meno il carattere di ‘signorilità’, tanto che le nuove edificazioni nella medesima microzona, aventi caratteristiche analoghe, sono accatastate per il 90% nella categoria A2.
4. Con il terzo motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3 l’errata interpretazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, per violazione del principio di equità ed imparzialità fiscale, nonché del principio di riserva di legge nella fattispecie impositiva. Ricorda che sulla base dell’art. 1, comma 335 della l. 311 del 2004, l’amministrazione finanziaria ha provveduto nella città di Roma ad un’ampia riclassificazione degli immobili residenziali (180.000), in forza della quale gli immobili limitrofi a quello della ricorrente, ricadenti nel foglio n. 538, relativo alla microzona ‘Parioli’, pur possedendo le medesime caratteristiche intrinseche, sono stati qualificati come A2. Siffatto classamento, in quanto ‘massivo’, non può essere derivato che dal fattore estrinseco posizionale, non essendo stato considerato alcun parametro intrinseco. Eppure proprio sulla base di siffatto
fattore l’Ufficio insiste nel classamento in cat. A1 dell’immobile della contribuente, senza fornire alcun altra motivazione, ancorché gli altri immobili ricadenti nella microzona non solo siano inquadrati in cat. A2, ma abbiano anche lo stesso valore venale dell’unità in oggetto. Ne consegue che, con l’introduzione dell’IMU, incidente sull’ an debeatur , la ricorrente si trova esposta al versamento dell’imposta, non in forza di disposizione di legge, ma dell’arbitraria attribuzione di una categoria catastale, in violazione dell’art. 23 della Costituzione.
Con il quarto motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la falsa applicazione del d.P.R. 138 del 1998, con cui si è provveduto all’eliminazione della distinzione fra le categorie A1 ed A2. Rileva che, per quanto disatteso nella prassi, il superamento della distinzione rivela il suo anacronismo, come ben chiarito dalla dottrina.
Con il quinto motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non essendosi il giudice di appello pronunciato su tutti i motivi del gravame. In particolare con riguardo: al motivo n. 2 in ordine alla carenza di motivazione del diniego di declassamento; al motivo n. 4 in ordine al mutato contesto storico, tecnologico e normativo dei criteri costruttivi, che implica come una costruzione considerata ‘signorile’ nel 1942, ben possa ritenersi attualmente ‘normale; in ordine ai motivi n. 5 e n. 6 relativi alla disparità di trattamento tra l’immobile della ricorrente e gli immobili limitrofi; al motivo n. 7 relativo al classamento di altri appartamenti nello stesso edifici nella cat. A2, circostanza non contestata dall’Agenzia delle Entrate; al motivo n. 8 sull’abrogazione della distinzione fra le categorie A1 ed A2 ad opera del d.P.R. 138 del 1998
Con il sesto motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art.
132 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del d.lgs. 546 del 1992, per non avere la decisione impugnata motivato sulle ragioni della correttezza del classamento operato dall’Ufficio, senza argomentare in ordine all’applicabilità dei riferimenti normativi evocati dalla contribuente, limitandosi a prendere in considerazione l’elevato corrispettivo di acquisto dell’immobile e la dichiarazione espressa dalla contribuente in sede di DOCFA. Ricorda che suddetta dichiarazione deve effettuarsi a mezzo di programma informatico che non consente all’utente di variare la categoria catastale precedentemente attribuita dall’Ufficio, pena il rifiuto automatico, ciò avendo, da un lato, imposto alla ricorrente di provvedere in tal senso e, di conseguenza, dall’altro di formulare l’istanza -oggetto di causa- per ottenere un diverso inquadramento. L’assenza di motivazione su punto rende nulla la sentenza.
Il primo motivo non merita accoglimento.
Con la doglianza si assume, in primo luogo, che la C.T.R. abbia omesso la motivazione sulla censura formulata con l’appello relativa alla mancanza della motivazione da parte del giudice di prima cura circa la sufficienza della motivazione dell’atto di diniego di riclassamento, essendosi limitata ad affermare che ‘la sentenza impugnata appare adeguatamente motivata’.
Il rilievo è infondato, posto che, pur nella sua sintesi, la C.T.R. risponde. Non può certo, infatti, richiedersi al giudice di appello di soffermarsi a commentare la sentenza di primo grado, allorquando egli viene investito con i motivi di gravame dei medesimi motivi già formulati nel ricorso introduttivo del giudizio contro l’atto impugnato, dovendo giudicare nel merito.
In secondo luogo, si fa valere il difetto di motivazione del diniego di riclassamento, per essersi l’Ufficio limitato a rispondere che ‘quest’Ufficio esaminati gli atti già depositati
presso i propri archivi, ha potuto rilevare che in sede di accertamento tecnico non si è incorso in errori nell’attribuzione del classamento all’unità immobiliare in oggetto’.
Ora, benché nell’ipotesi di specie non si versi in un’ipotesi di procedura DOCFA -ed è infatti la stessa parte contribuente ad affermare di avere all’atto di acquisto, per motivi di tipo tecnico, indicato nella procedura DOCFA la medesima classificazione in A1, già precedentemente assegnata all’immobile -ma in un’ipotesi di istanza di declassamento, vi è che l’obbligo motivazionale può ritenersi assolto, perché l’Ufficio non si limita ad indicare i dati oggettivi e la classe catastale, ma fa riferimento alla consultazione degli archivi, rispondendo, dunque, alla sollecitazione della contribuente in ordine alla richiesta di comparazione. Non deve, inoltre, dimenticarsi che l’immobile, come peraltro chiarito anche in ricorso, era già in precedenza classificato nella cat. A1 e che il rigetto dell’istanza di declassamento, non necessita di un’analitica risposta su tutte le deduzioni introdotte dal contribuente, essendo sufficiente che il destinatario sia messo nella condizione di esercitare il pieno esercizio del diritto di difesa.
Il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono infondati.
Q uesta Corte ha, in più occasioni, chiarito che: ‘In tema di estimo catastale, in assenza di una specifica definizione legislativa delle categorie e classi, la qualificazione di un’abitazione come “signorile”, “civile” o “popolare” corrisponde alle nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spazio-temporale e non va mutuata dal 2 agosto 1969, atteso che il procedimento di classamento è volto all’attribuzione di una categoria e di una classe e della relativa rendita alle unità immobiliari, mentre la qualificazione in termini “di lusso”, ai
sensi del citato d.m., risponde alla finalità di precludere l’accesso a talune agevolazioni fiscali’ (da ultimo: Cass. Sez. 5, 02/02/2021, n. 2250; in precedenza: Cass. Sez. 5, n. 23235 del 31/10/2014).
Invero, proprio perché la legge non pone una specifica definizione delle categorie catastali, la classificazione contenuta nella nota del Ministero delle Finanze C-1/1022 del 4 maggio 1994, richiamata dalla ricorrente- contenente le indicazioni per il classamento urbano, in forza della quale sarebbe necessario prendere in considerazione, unitamente alla destinazione dell’immobile, anche le caratteristiche tipologiche e costruttive che ordinariamente determinano l’attribuzione della categoria, in particolare con riferimento alle ‘unità tipo’ che le individuano in modo specifico e per ciascun Comune- costituisce il portato di un ‘apprezzamento di fatto da riferire a nozione presenti nell’opinione generale, alle quali corrispondono le specifiche caratteristiche’ (cosi Cass. Sez. 5. n. 31553 del 15/09/2022, in motivazione).
E’ chiaro che le caratteristiche ‘possono con il tempo mutare, sia sul piano della percezione dei consociati (si pensi al maggior rilievo che assume nella mentalità di oggi il numero dei servizi igienici, la collocazione centrale o periferica di un immobile), sia sul piano oggettivo per il naturale deperimento delle cose, cui non abbia posto rimedio una buona manutenzione; o per le mutate condizioni dell’area ove l’immobile si trovi, per cui può accadere che abitazioni in passato ritenute modeste o “popolari” divengano “civili” o signorili, e viceversa che immobili di pregio perdano la qualifica superiore’ (così: Cass., Sez. 5″, 8 settembre 2008, n. 22557, in motivazione).
Ma, è chiaro anche che l’apprezzamento della corrispondenza dell’immobile alla categoria ‘signorile’, resta un apprezzamento di fatto, incensurabile in questa sede di legittimità. Peraltro, è
opportuno osservare che la C.T.R. motiva sul punto ribadendo le ragioni già espresse dal primo giudice e sottolineando che l’unità immobiliare ha mantenuto le caratteristiche di particolare pregio che da sempre l’hanno connotata.
Prive di rilievo appaiono, inoltre, le deduzioni della parte ricorrente in ordine al ‘riclassamento’ degli immobili residenziali della città di Roma, proprio in quanto massive e non significative in relazione all’attribuzione della categoria catastale di un singolo immobile.
Poco comprensibile, infine, si rivela la censura relativa alla violazione dell’art. 23 Cost., secondo cui l’assoggettamento all’ IMU sarebbe derivato non in funzione di una norma di legge, ma di un’errata attribuzione della categoria catastale, perché la riserva di legge di cui alla norma costituzionale non può certamente dirsi violata da un accertamento di fatto previsto dalla disposizione tributaria quale presupposto di assoggettamento all’imposta. Vero essendo, piuttosto, che la fattispecie impositiva Imu (comunque qui non direttamente rilevante) risponde appieno, nella sua compiuta tipizzazione (anche con riguardo al parametro della rendita catastale incidente sulla base imponibile), alla riserva di legge in materia.
Il quinto motivo è infondato.
Va, infatti, ricordato che non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo’ (Cass. Sez. 5, 06/12/2017, n. 29191; Cass. Sez. 2, 26/09/2024, n. 25710; Cass. Sez. 5, 06/02/2025, n. 2953). Ed invero, ‘È configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile
soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza (Cass. Sez. 3, 08/05/2023, n. 12131). Mentre ‘La motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione’ (Cass. Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
Nel caso di specie, diversamente da quanto ritenuto dalla parte ricorrente, il giudice di appello, al di là della correttezza delle argomentazioni, concentrando la motivazione sull’apprezzamento delle caratteristiche intrinseche dell’immobile (vani, doppio ingresso, doppia scala di accesso ai piani, prezzo di acquisto) dimostra di avere -per implicito- escluso la pari rilevanza degli aspetti estrinseci e dei profili comparativi con altri immobili siti nella zona e nello stesso edificio. Non sussiste, dunque, il vizio di omessa pronuncia.
Il sesto motivo è infondato.
Si sostiene che la C.T.R. non abbia dato risposta alle deduzioni in ordine alla normativa applicabile, rilevando l’errore relativo all’attribuzione di significato circa il valore dell’immobile,
senza, peraltro, tenere conto dell’automaticità del programma informatico di inserimento dei dati che non consente all’utente di variare la categoria catastale precedentemente assegnata dall’Ufficio.
Anche in questo caso non può imputarsi alla sentenza gravata il vizio dell’omissione o dell’apparenza della motivazione. La C.T.R., infatti, richiama e condivide le ragioni esposte dal giudice di prima cura, considerando prive di rilievo le censure rivolte alla sentenza appellata. Mentre, dalla lettura dei motivi di appello, come riprodotti nel ricorso per cassazione (pag. 10-12 del ricorso), non si rinviene la censura relativa all’impossibilità di mutamento della categoria catastale, sicché appare incensurabile la decisione laddove constatando l’omessa contestazione sul punto- assegna valore alla conferma, in sede di procedura DOCFA dell’attribuzione, da parte della contribuente, della medesima classificazione in precedenza adottata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 4.000,00 oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto della sussistenza, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 4.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 11 marzo 2025 .