Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6868 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
precedenti e accertamenti effettuati dalla ditta RAGIONE_SOCIALE, che lo hanno indotto ad accettare la maggiore superfice di mq 844,
impedendo al contribuente di svolgere un’adeguata difesa » (v. pagina n. 7 del ricorso) , sostenendo sul punto che l’omessa allegazione del predetto atto accertativo, posto a fondamento della pretesa, aveva determinato la nullità dell’avviso di accertamento impugnato;
Con la terza doglianza la contribuente ha eccepito, con riguardo alla previsione dell’art. 360, primo comma, num. 4., cod. proc. civ, la «violazione e falsa applicazione art. 7, comma 1, L. 212/2000 e art. 112 cod. proc. civ. » (v. pagina n. 8 del ricorso) , ribadendo, alla luce di una lunga dissertazione e richiamando i contenuti del motivo di appello svolto dinanzi alla Commissione tributaria regionale, che l’avviso di accertamento non poteva considerarsi correttamente motivato, in quanto allo stesso non era stato allegato l’accertamento effettuato dalla società concessionaria RAGIONE_SOCIALE, che era stato posto a base dell’atto impugnato e prodotto solo nel corso del giudizio, sicchè l’avviso risulta sprovvisto del suo contenuto essenziale e delle ragioni specifiche contenute nel documento genericamente richiamato per relationem .
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente ha denunciato, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3., cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione art. 7, comma 1, L. 212/2000 » (v. pagina n. 12 del ricorso) , assumendo che l’avviso impugnato non forniva le indicazioni necessarie e strumentali (tra cui il tempo considerato) volte a verificare la correttezza degli importi richiesti.
Con il quinto motivo di ricorso la società ha rimproverato al Giudice dell’appello, sempre in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione L. 24/12/2006, n. 296 art. 1, comma 1, e D.Lgs. n. 507/1993, art. 70, comma 1 » (v. pagina n. 13 del ricorso), ponendo in evidenza che l’occupazione dei locali era avvenuta da 1° gennaio 2005, per cui il termine decadenziale scadeva il 31 dicembre 2010, laddove l’avviso era stato notificato il 6 ottobre 2011.
Il primo motivo di impugnazione non ha fondamento.
6.1. La censura riporta, ai fini dell’autosufficienza, il contenuto del gravame proposto, con cui l’istante aveva dedotto la violazione dell’art. 23, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per essersi il Comune costituito tramite invio delle controdeduzioni per mezzo del servizio postale e non anche mediante deposito delle stesse in segreteria (v. pagina n. 3 del ricorso) e la stessa Commissione regionale ha dato conto della dedotta censura ai sensi dell’art. 23 del citato decreto.
Senonchè, poi, nella motivazione della sentenza, il Giudice d’appello ha dimenticato di esaminare detta eccezione giacchè quando si è dilungato a sostenere le ragioni della correttezza della notifica ai sensi dell’art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, richiamando il principio del raggiungimento dello scopo di cui all’art. e 156 cod. proc. civ., si è riferito alla notifica dell’avviso di accertamento impugnato e non anche alla costituzione in giudizio del Comune.
6.2. Al difetto di pronuncia può, però, porsi rimedio in tale sede, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., non occorrendo accertamenti in fatto, risultando infondata la questione giuridica dedotta, basata sul rilievo secondo il quale «L’art. 23 non consente la modalità della costituzione in giudizio della parte resistente della parte appellata (art. 54) a mezzo posta ma esclusivamente a mezzo deposito » (v. pagina n. 5 del ricorso).
6.3. Tale ordine di idee è stato, infatti, ritenuto errato da questa Corte sulla base di riflessioni che, in assenza di argomenti contrari, vanno ribadite, osservando che già la «sentenza n.17953/2012 ha statuito che ” Nel processo tributario la costituzione in giudizio della parte appellata e la proposizione dell’appello incidentale possono avvenire non solo tramite materiale deposito delle proprie controdeduzioni e dell’atto di impugnazione, ma anche mediante trasmissione degli stessi con plico raccomandato spedito nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale, poiché,
sebbene l’art. 54 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, richiami l’art. 23 del medesimo d.lgs., il quale fa riferimento al solo deposito degli atti, una soluzione che escluda l’ammissibilità del gravame incidentale spedito per posta sarebbe irragionevolmente diversa rispetto a quella prevista dal combinato disposto degli artt. 53 e 22 del d.lgs. citato che consente di spiegare appello principale anche a mezzo di invio postale, e quindi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., tanto più che il processo tributario è ispirato al modello della semplificazione delle attività processuali e che l’uso dei mezzi di trasmissione è ampiamente ammesso nel sistema dei processi civili e amministrativi”» (così Cass., Sez. T, 19 novembre 2021, n. 35393).
Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di impugnazione possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, ruotando tutti sul tema della motivazione dell’avviso di accertamento.
7.1. Le ragioni di contestazioni si sono concentrate sulla mancata allegazione all’avviso dell’accertamento compiuto dalla predetta società concessionaria RAGIONE_SOCIALE che, in assenza di denuncia da parte della contribuente, aveva provveduto a misurare la superfice tassabile, mentre, sotto altro profilo, la doglianza si è concentrata sul rilievo secondo il quale, in relazione agli interessi richiesti, pur essendo stato indicato il tasso ed il capitale su cui sono stati conteggiati, non era stato indicato il saggio e «l’inizio e la fine temporale per il calcolo degli stessi» (v. pagina n. 12 del ricorso).
7.2. Giova partire da tale ultima parte di doglianza (che ha integrato il quarto motivo di ricorso), la quale sconta, in prima battuta e con riferimento alla mancata indicazione del periodo di maturazione degli interessi, un difetto di autosufficienza, essendo stato richiamato solo un frammento dell’avviso relativo alla voce in esame (tasso legale, formula matematica ed importo), senza compiutamente riportarlo nell’intera parte che interessa il dettaglio delle componenti del credito preteso.
In ogni caso, si tratta di motivo infondato, sol considerando che l’istante ha dato conto che l’avviso di accertamento in questione aveva richiamato l’art. 1, comma 165, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il cui teso così dispone: «La misura annua degli interessi è determinata, da ciascun ente impositore, nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale. Gli interessi sono calcolati con maturazione giorno per giorno con decorrenza dal giorno in cui sono divenuti esigibili»).
Quanto al saggio, la stessa difesa della ricorrente ha riferito che l’avviso aveva precisato che «gli interessi vengono calcolati nella misura del tasso legale annuo » (v. pagina n. 12 del ricorso),
Ciò, allora, significa che l’atto impositivo aveva indicato (come richiede Cass., Sez. Un., 14 luglio 2022, n. 22281) la base normativa relativa agli interessi reclamati (il saggio legale) e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti (vale a dire dalla scadenza – nota o comunque conoscibile – del termine predefinito, in cui il versamento dell’imposta doveva essere effettuato), in termini facilmente verificabili ex post e, quindi, idonei a consentire alla contribuente un’adeguata difesa volta a contestare gli importi a tale titolo richiesti perchè non corretti, considerando quale dies ad quem del calcolo degli interessi conteggiati la data dell’accertamento.
7.3. Come anticipato, sono infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
Ritiene la Corte che correttamente la Commissione abbia ritenuto motivato l’avviso impugnato, nel quale (come riportato nel ricorso, ai fini del rispetto del requisito dell’autosufficienza) si precisa che, rispetto ad un’omessa denuncia, è stata accertata una superfice di «Metri Q 844, Cat. 11, anno 2005/2006 a seguito di accertamenti RAGIONE_SOCIALE) » (v. pagina n. 10 del ricorso).
La complessiva contestazione riguarda la mancata allegazione all’avviso di tale, richiamato, accertamento.
7.3.1. Ciò posto, ritiene la Corte che correttamente la Commissione abbia ritenuto motivato l’avviso impugnato, nel quale (come riportato nel ricorso, ai fini del rispetto del requisito dell’autosufficienza) è stato puntualmente indicato la suddetta superfice tassabile sulla base del menzionato accertamento.
È stato, infatti, chiarito, sul piano dei principi, che:
«La giurisprudenza di questa Corte, che riconosce la legittimità della cd. ‘motivazione per relationem, ha altresì definito le condizioni che rendono positiva la verifica del rispetto del diritto del contribuente ad avere contezza delle ragioni della pretesa erariale. Al contempo, ha puntualizzato cosa debba intendersi per ‘motivazione per relationem’ e quali oneri incombano sul contribuente che richieda l’annullamento dell’atto dell’amministrazione finanziaria»;
«Con costante indirizzo si insegna, già con riferimento alla disciplina anteriore all’art. 7 della L. n. 212 del 2000, che, in tema di accertamento tributario ” per relationem “, la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o la conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, con esclusione quindi dei casi in cui essa sia già sufficiente e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo o il contenuto di ulteriori atti sia già riportato nell’atto noto»;
«Ai fini dell’annullamento il contribuente deve quindi provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporta, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza »;
«Anche con specifica attinenza al regime instauratosi con l’entrata in vigore del cd. Statuto del contribuente, da applicare nel
caso di specie ratione temporis , si è statuito che in tema di motivazione degli avvisi di accertamento l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 26683 del 18/12/2009, Cass. 11866/2018 Rv. 610991)» (così Cass., Sez. T, 16 dicembre 2020, n. 28756, che richiama altresì Cass., Sez. T, 10 febbraio 2016, n. 2614).
Allo stesso modo, si è ribadito che « la L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, nello stabilire che “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”, è strumentale ad assicurare la chiarezza della motivazione del provvedimento adottato, sicché opera relativamente a quegli atti che contengono l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche del provvedimento, ma non si estende a tutti quelli che costituiscono meri passaggi dell’ iter procedimentale In questo senso, del resto, si è espressa recentemente Sez. 5, ord. n. 14723 del 10/07/2020, Rv. 658394 01, secondo cu, in tema di avviso di accertamento, l’onere di allegazione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, è limitato ai documenti non conosciuti né ricevuti
dal contribuente e costituenti il presupposto dell’atto impositivo al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa di quest’ultimo. Un’estensione indiscriminata della necessità di allegare al provvedimento tutti gli atti richiamati determinerebbe, da un lato, un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria, ponendosi così in contrasto con i canoni generali della collaborazione e della buona fede» (così Cass., Sez. T, 21 giugno 2022, n. 19905).
7.3.2. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei rammentati principi nella parte in cui ha dato conto che nell’avviso era stata riportata la superfice in metri quadri dell’immobile sottoposto a tassazione, elemento questo di natura puntuale e di evidenza matematica, che ha reso nota l’area sottoposta ad imposta, così mettendo il contribuente nelle condizioni di potersi difendere, senza necessità di allegare anche i contenuti dell’accertamento ‘RAGIONE_SOCIALE‘, vale a dire – per quel che interessa in relazione al profilo in esame – del sopralluogo eseguito ovvero della misurazione della superfice effettuata, non avendo, per altro verso, la contribuente allegato e dimostrato che la parte del contenuto di tale atto, non riportata nell’atto impositivo, fosse, in realtà, necessaria ad integrarne la motivazione, impregiudicata ovviamente la contestazione nel merito di tale misurazione.
Merita invece di essere accolto il quinto motivo di impugnazione concernente l’eccezione di decadenza dall’esercizio del potere di accertamento dell’omissione del versamento del tributo per l’anno 2005, ai sensi dell’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, assumendo l’istante che, essendo l’occupazione del bene iniziata il 1° gennaio 2005, il termine decadenziale in oggetto il 31 dicembre 2010, laddove l’avviso è stato notificato il 6 (o 8) ottobre 2011.
8.1. Ai sensi dell’art.1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 «Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati».
Dal canto suo, l’art 70, comma 10, d.lg.s. 15 novembre 1993, n. 507, recita «I soggetti di cui all’art. 63 presentano al comune, entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, denuncia unica dei locali ed aree tassabili siti nel territorio del comune».
8.2. Anche da ultimo, questa Corte ha dato seguito all’indirizzo di legittimità secondo cui «La disposizione che, in tema di TARSU, disciplina l’obbligo di denuncia, secondo la quale la denuncia dei locali ed aree tassabili va presentata al Comune “entro il 20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione” (D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 70, comma 1), impone di differenziare la detenzione o occupazione dei locali che sia in corso fin dall’inizio del periodo di imposta e, comunque, prima del 20 gennaio, dal caso in cui tale situazione si sia verificata in epoca successiva; nel primo caso il termine di decadenza decorre dall’anno corrente, nel secondo caso dal 20 gennaio dell’anno successivo (Cass., Sez. 5, 21 giugno 2016, n. 12795; Cass., Sez. 5, 3 novembre 2016, n. 22224; Cass., Sez. 5, 1 febbraio 2019, n. 3058; Cass., Sez. 6-5, 29 aprile 2020, n. 8275; Cass., Sez. 5, 11 dicembre 2020, n. 28255; Cass., Sez. 5, 23 giugno 2021, n. 17874; Cass., Sez. 5, 24 giugno 2021, n. 18070).
La Corte ha posto in rilievo, al riguardo, il chiaro dettato normativo, che fa riferimento al “20 gennaio successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione”, e non anche al 20 gennaio “dell’anno” successivo all’inizio dell’occupazione o detenzione, ed ha rimarcato che laddove il legislatore avesse inteso postergare il momento dichiarativo “all’anno successivo” l’avrebbe espressamente previsto, così come è avvenuto, ad esempio, con il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 10, comma 4, che, in tema di ICI,
dispone che “i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato,… entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio” cioè l’anno successivo a quello oggetto di imposizione (Cass., Sez. 5, 3 novembre 2016, n. 22224) » (così Cass., Sez. T., 17 giugno 2022, n. 19531) .
8.3. Nel caso in disamina la detenzione era già in corso al principio dell’anno 2005, sicché trattandosi di omessa denuncia e versamento, il quinquennio rilevante, ai fini della decadenza, andava a maturare al 31 dicembre 2010, a fronte di un avviso di accertamento notificato il 6 ottobre 2011, per cui l’avviso di accertamento è stato notificato dall’ente impositore al contribuente oltre la perenzione del termine previsto dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 161.
8.4. Pertanto, il Giudice di appello ha contravvenuto al principio enunciato, avendo ritenuto che l’avviso di accertamento fosse stato notificato entro il termine quinquennale di decadenza.
L’avviso impugnato va, quindi, annullato per l’anno di imposta 2005.
Alla stregua delle riflessioni che precedono, va accolto il quinto motivo di impugnazione e la sentenza impugnata parzialmente cassata in relazione al predetto motivo; non occorrendo accertamenti in fatto, la causa va sul punto decisa nel merito, accogliendo parzialmente il ricorso originario ed annullando l’avviso impugnato con riferimento all’anno di imposta 2005.
I restanti motivi vanno, invece, rigettati.
L’accoglimento parziale del ricorso e la sussistenza di diversi orientamenti sul tema trattato nel quinto motivo (cfr. Cass., Sez. T, 21 ottobre 2020, n. 22900 e la giurisprudenza conforme ivi menzionata) giustifica l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quinto motivo di impugnazione, cassa parzialmente la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie parzialmente il ricorso originario ed annulla l’avviso impugnato limitatamente alla pretesa concernente l’anno di imposta 2005, rigettando i restanti motivi.
Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 novembre 2023.