Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30664 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30664 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24362/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA)
-controricorrente-
avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI II GRADO della SARDEGNA n. 322/2023 depositata il 26/04/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Giustizia di Secondo Grado della Sardegna, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’appello proposto dalla società contribuente nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Sassari, n. 16/2007 di rigetto del ricorso proposto dalla contribuente avverso gli avvisi di liquidazione n. NUMERO_DOCUMENTO REGISTRO 2011 e n.
20111V000015000 IPOTECARIE E CATASTALI-IMPOSTA, con i quali l’Ufficio aveva revocato i benefici fiscali applicati in sede di registrazione dell’atto di a ssegnazione del diritto di superficie su terreni agricoli da parte del Comune di Ozieri (Atto Pubblico Amministrativo, rep. n. 1341, del 25 agosto 2011, finalizzato alla costruzione, gestione e mantenimento al di sopra del suolo, di tutte le opere necessarie per la realizzazione degli impianti serricoli con copertura fotovoltaica in conformità a quanto previsto dal Dlgs 29/12/2003 n. 387 e dal D.M 19/02/2007 e ss.mm.i.), in quanto, ai sensi del DL 194/2009 e della Legge 220/2010, essendo occorsa alienazione volontaria del bene entro i cinque anni dall’acquisto , era intervenuta la decadenza del beneficio.
1.1. In particolare, la Corte di gravame ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse alienato volontariamente la proprietà superficiaria dell’impianto serricolo nonché quella della residua porzione di terreno adiacente prima del decorso dei cinque anni prescritti dalla normativa (tramite contratto di leasing, recte, di sale & lease-back ), con ciò incorrendo nella decadenza, e che la circostanza che i beni fossero rimasti di fatto nella disponibilità di RAGIONE_SOCIALE -a dire del la società contribuente perché l’operazione negoziale aveva quale unico scopo il finanziamento RAGIONE_SOCIALE operesarebbe priva di rilevanza, essendosi comunque verificata una compravendita.
Avverso la suddetta sentenza la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, che ha illustrato con memoria, cui ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 4 -bis , D.L. n. 194/2009, nonché dell’art. 12 comma 1, disp. prel . c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La
ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto corretta la comminatoria della decadenza dai benefici fiscali per il fatto che i beni descritti in narrativa siano stati ceduti nell’ambito di un’operazione finanziaria di sale & lease-back volta a reperire i mezzi economici occorrenti per la realizzazione del progetto imprenditoriale che aveva costituito la ragione fondante dell’acquisto. La parte sostiene che per ‘alienazione volontaria’ ai sensi dell’art. 1, comma 4 -bis , cit., si deve intendere un’alienazione in virtù della quale, per finalità speculative o comunque estranee all’efficientamento dell’attività agricola, il beneficiario dell’agevolazione cessa di coltivare i terreni o di condurli direttamente: la congiunzione ‘ovvero’, afferma la r icorrente, rettamente intesa ha funzione esplicativa.
2. Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione dell’art. 1, commi 136, 137, 138, 139 e 140, L. n. 124/2017, dell’art. 2, comma 4 -bis, D.L. n. 194/2009, e dell’art. 20, d.P.R. n. 131/1986. La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata ha errato, rendendo una decisione contrastante con gli artt. 2, comma 4bis , D.L. n. 194/2009, e con l’art. 20, D.P.R. n.131/1986, nonché con il principio tributario di prevalenza della sostanza sulla forma, per aver ritenuto che la disponibilità dei beni costantemente mantenuta da RAGIONE_SOCIALE dopo il trasferimento, continuando a svolgervi la propria attività, sarebbe inidonea ad evitare la decadenza dall’agevolazione. Sostiene la parte che la cessione del diritto di superficie attuata con il contratto di vendita del 13 settembre 2011 ed il correlato contratto di locazione finanziaria del 12 settembre 2011, essendo contraddistinti da una causa unitaria di finanziamento con garanzia atipica, non possono essere letti come una semplice vendita ‘casualmente’ e ‘accidentalmente’ seguita da una locazione ordinaria. Il trasferimento del diritto non sarebbe definitivo, ma destinato a permanere solo nei limiti in cui assolve la finalità di garanzia
che causalmente lo connota, e quindi sino alla conclusione del contratto di locazione finanziaria.
I motivi possono esser trattati congiuntamente, stante la stretta connessione argomentativa.
3.1. Il ricorso, ammissibile, perché centrato su questioni di diritto, diversamente da quanto obiettato in controricorso, è infondato.
3.2. Nella fattispecie viene in rilievo un’operazione interpretativa che ha ad oggetto la causa di decadenza dal trattamento di favore che la disposizione (art. 2 comma 4 bis D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25) prevede nel caso in cui i soggetti che ne abbiano fruito ‘ prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti, alienano volontariamente i terreni ovvero cessano di coltivarli o di condurli direttamente ‘.
Di qui il rilievo che in tema di agevolazioni fiscali deve ritenersi sussistente simmetria d’interpretazione: se è vero che le disposizioni istitutive dei benefici sono di stretta interpretazione e, così, sottoposte ‘ ad interpretazione rigida ed anelastica, in quanto rigorosamente legata al dato letterale ‘ e insuscettibili (anche) di ‘ un’interpretazione logico-evolutiva e costituzionalmente orientata ‘ (Cass. Sez. U., n. 11373/15; v., altresì, ex plurimis , Cass., n. 10213/18; Cass., 9 aprile 2018, n. 8618; Cass. Sez. U., n. 18574/16; Cass., n. 6925/11), anche le (corrispondenti) disposizioni che prevedono decadenze dalle (e quale sanzione rispetto al godimento RAGIONE_SOCIALE) agevolazioni già concesse vanno interpretate in maniera altrettanto rigida e anelastica ( ex plurimis , nella giurisprudenza tributaria, Cass., n. 26353/19; Cass., n. 580/17; Cass., n. 4351/16; e, in termini più generali, Cass., n. 26070/17; Cass., n. 8700/2000; Cass., n. 3023/90). E l’interpretazione rigida e anelastica senz’altro rifugge dalla pr evalenza della sostanza sulla forma propugnata in ricorso.
3.3. Il tenore letterale del richiamato art. 2, comma 4 bis conduce quindi a ritenere che la congiunzione ‘ovvero’ svolga non già, come
vorrebbe la ricorrente, funzione dichiarativa, nel senso che non ogni cessione determina la decadenza, ma soltanto quella che comporti la cessazione della coltivazione da parte del cedente, bensì funzione disgiuntiva, di modo che la disposizione delinea due distinte, e autonome ipotesi di decadenza.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo più volte di pronunciarsi sulla seconda ipotesi di decadenza, ritenendola appunto autonoma da quella dell’alienazione volontaria. E, al riguardo, ha evidenziato che la disposizione in esame, la quale replica il contenuto di analoghe discipline recanti disposizioni di favore con riferimento ad atti di acquisto di terreni agricoli (art. 7, comma 1, l. n. 604/54; art. 5 bis l. n. 97/94; art. 5 bis d.lgs. n. 228/01) correla ‘ la reazione sanzionatoria (col recupero a tassazione ordinaria degli atti di acquisto), -oltreché (enfasi dell’estensore) alla alienazione volontaria dei terreni, fattispecie che (qui) non ricorre, essendo incontestato il titolo contrattuale (un contratto di affitto) posto a fondamento degli avvisi di liquidazione, – alla dismissione della (diretta) coltivazione, o conduzione, dei terreni agricoli (già) oggetto di acquisto a condizioni agevolate’ (Cass. 15 luglio 2022, n. 22290). E, coerentemente, ha stabilito che il contratto di affitto, il quale postula che nessuna cessione volontaria vi sia stata, ‘ assume rilevanza, quale indice sintomatico della cessazione della coltivazione diretta da parte del proprietario, in quanto sarebbe contraddittorio considerare come tuttora in coltivazione, ad opera del suo acquirente, un terreno da quest’ultimo concesso in affitto a terzi, tenuto conto che la finalità di assicurare la formazione o l’arrotondamento della piccola proprietà contadina, in relazione all’oggetto dell’atto di acquisto agevolato, implica l’effettiva coltivazione del terreno ‘.
L’agevolazione della decadenza dalla quale si discute riguarda d’altronde l’acquisto di terreni agricoli, che è appunta volta a favorire.
Non giova, quindi, alle ragioni della società il precedente invocato in ricorso (Cass. n. 1565/16), secondo cui non incorre in alcuna decadenza, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs n. 228 del 2001, il coltivatore diretto che prosegua la coltivazione del fondo in veste di socio di nuova società di persone esercente attività agricola, restando indifferente che la coltivazione avvenga nella diretta detenzione di persona fisica o mediata dal socio, qualunque sia la compagine sociale, sicché non si applicano i limiti previsti dall’art. 11 del d.lgs. n. 228 del 2001; e ciò appunto perché in quel caso si aveva riguardo al medesimo soggetto, che, in virtù di contratto di affitto, aveva proseguito la coltivazione del fondo in diversa veste.
3.4.- Sulla scorta di tali principi si deve ritenere che configuri la fattispecie di decadenza -autonoma, si è vistodell’alienazione volontaria dei terreni (con riguardo al nostro caso al diritto di superficie indicato in narrativa) nel quinquennio dalla stipula l’ipotesi del sale and lease back , non essendo peraltro certo che il bene -al termine della operazione con scopo di finanziamento -ritorni poi effettivamente nella titolarità del venditore. La operazione realizzata si pone inequivocabilmente in contrasto con lo spirito RAGIONE_SOCIALE agevolazioni, previste in favore della proprietà rurale ed agricola, anche professionale, atteso anche che, nel delineare la fattispecie dell’alienazione volontaria entro il quinquennio, la norma non fa alcuna distinzione e men che meno considera ipotesi derogatorie le operazioni volte a reperire i mezzi economici occorrenti per la realizzazione del progetto imprenditoriale che aveva costituito la ragione fondante dell’acquisto; di modo che l’esigenza di privilegiare canoni di interpretazione rigida e anelastica non può che condurre a ricomprendere nel perimetro della disposizione in questione anche l’ipotesi in esame.
3.5. Non v’è dubbio, sul punto, che il contratto abbia determinato l’alienazione del diritto. È utile richiamare, al riguardo, la ricostruzione
della fisionomia social-tipica del contratto come ricostruita dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4664/2021; n. 2219/2022), la quale ha precisato che ‘ il contratto denominato “sale and lease back”, ovvero locazione finanziaria di ritorno, nella sua struttura socialmente tipica costituisce una complessa operazione contrattuale mediante la quale un soggetto (impresa o lavoratore autonomo) vende (“sale”) un proprio bene (mobile o, più spesso, immobile), di natura strumentale all’esercizio della sua attività, ad un’impresa di leasing o ad una società finanziaria, la quale, dopo aver versato il prezzo pattuito, concede contestualmente o entro un breve lasso di tempo il bene in leasing all’alienante (“lease back”) che, per potere utilizzare il bene, le corrisponde un canone ed ha la facoltà, alla scadenza del rapporto, di riacquistare la proprietà, esercitando il diritto d’opzione ad un prezzo di regola nettamente inferiore rispetto ai valore effettivo dei bene stesso. Più precisamente, alla scadenza del contratto, il “sellerlessee” (alienante-utilizzatore) potrà optare per la continuazione della locazione (a canoni ridotti) ovvero per l’acquisto del bene, esercitando il diritto di opzione. A differenza, dunque, di quanto accade nel leasing “ordinario”, contratto con cui l’utilizzatore mira a conseguire la disponibilità di beni strumentali al processo produttivo, nel “sale and lease back”, posto che un bene siffatto è già in proprietà del “sellerlessee”, l’operazione realizzata, dal punto di vista economicogestionale, risponde – come sottolineato in dottrina – “all’esigenza di (auto)finanziamento dell’impresa venditrice, ossia all’esigenza di incrementare il proprio capitale circolante attraverso lo smobilizzo di una parte del capitale fisso, senza peraltro perdere la materiale disponibilità del bene venduto”. La tipicità sociale del contratto “de quo”, nonché la meritevolezza – ex art. 1322, comma 2, c.c. – degli interessi perseguiti attraverso di esso costituiscono, del resto, dati ormai acquisiti anche nella giurisprudenza di questa Corte. Ancora da ultimo, infatti, si è ribadito che il “sale and lease back” si configura
“come un’operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica degli affari poiché risponde all’esigenza degli operatori economici di ottenere, con immediatezza, liquidità, mediante l’alienazione di un bene strumentale, di norma funzionale ad un determinato assetto produttivo e, pertanto, non agevolmente collocabile sui mercato, conservandone l’uso con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 12 luglio 2018, n. 18327, non massimata). Si tratta, dunque, di “operazione caratterizzata da una pluralità di negozi collegati funzionalmente volti al perseguimento di uno specifico interesse pratico che ne costituisce appunto la relativa causa concreta, la quale assume specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella parziale – dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia) nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale (enfasi dell’estensore), a tale stregua segnandone la distinzione con il negozio complesso o con il negozio misto” .
3.6. Va anche sottolineato che la invocata giurisprudenza, maturata in altri settori, è irrilevante nel caso di specie. In particolare, quella in tema di IVA sconta la nozione unionale di cessione, del tutto estranea alla fattispecie in questione.
3.7. Si tratta inoltre nel caso in esame, come detto, di ipotesi di decadenza da un’agevolazione, che rileva in rapporto alla normativa nazionale, e non, invece, di presupposto impositivo, come tale considerato nella giurisprudenza citata, che si è pronunciata riguardo alla ben diversa imposta armonizzata (IVA) di rilievo eurounitario. E parimenti irrilevanti sono le norme citate in ricorso in tema di ICI-IMU, che concernono la soggettività passiva del tributo.
3.8. Neanche la giurisprudenza in tema di decadenza dall’agevolazione prevista dall’art. 33 del la l. n. 388/2000, pure richiamato in ricorso, è utile a sostenerne le ragioni.
Questa Corte ha difatti al riguardo chiarito, quanto al beneficio previsto dall’art. 33, comma 3, del la legge richiamata, che esso si applica a condizione che l’utilizzazione edificatoria avvenga, ad opera dello stesso soggetto acquirente, entro cinque anni dall’acquisto. ‘ La disposizione agevolativa, ispirata alla “ratio” di diminuire per l’acquirente edificatore il primo costo di edificazione connesso all’acquisto dell’area, appare, infatti, di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 preleggi, e sarebbe sospetta di incostituzionalità se il predetto beneficio potesse essere ricollegato alla tempestività dell’attività edificatoria di un successivo acquirente” (v. Cass. n. 21815/17); di modo che si è affermata la legittimità di un provvedimento di decadenza dall’agevolazione nel caso in cui l’acquirente che ne ha usufruito provveda entro il termine quinquennale non direttamente alla edificazione del terreno acquistato ma per il tramite di una società di leasing cui viene trasferito il diritto di superficie e con la quale viene contestualmente stipulato un contratto di leasing che preveda la concessione in locazione finanziaria alla cedente di immobili ancora non realizzati ma da effettuare ad opera della stessa società di leasing (Cass. n. 34008/19).
3.9. In questo contesto, sono altresì ultronee le considerazioni spese in ricorso in relazione alla disciplina del leasing finanziario e al regime intertemporale della risoluzione di esso, nonché quelle, su cui s’insiste in memoria, concernenti il mancato esercizio dell’opzione di riacquisto, il cui termine di esercizio verrà peraltro a scadere nel 2029, come la stessa ricorrente specifica.
Le censure di violazione di legge sono perciò infondate, ritenendo questa Corte di legittimità che la Corte di secondo grado ne abbia fatto corretta applicazione.
Deve dunque enunciarsi il seguente principio di diritto:
‘Ai fini dell’art. 2 comma 4 bis D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25, disciplinante le agevolazioni per la piccola proprietà contadina, il quale contempla due fattispecie autonome di decadenza, l’operazione negoziale di sale and lease back , alla luce della sua natura e dell’individualità propria di ciascun negozio di cui si compone, costituisce ipotesi di cessione idonea a integrare la fattispecie dell’alienazione volontaria contemplata dalla norma, d eterminando la decadenza dal beneficio’.
Le ulteriori questioni dedotte da parte ricorrente, assorbite nel giudizio di merito, sono conseguentemente irrilevanti ai fini della presente decisione.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio devono essere compensate, in ragione della novità della questione.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 25/10/2024.