Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21200 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21200 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
della predetta nota, con ciò superando, in linea con la menzionata prescrizione normativa, la circostanza della mancata allegazione dell’atto di riferimento.
Allo stesso modo, il riferimento al succinto richiamo ai contenuti della predetta nota è doglianza del tutto generica, siccome del tutto compatibile con la valutazione del Giudice regionale circa la riproduzione della sua parte essenziale.
7.3. La censura è altresì infondata anche sul versante giuridico.
La valutazione del Giudice regionale risulta, infatti, in sintonia con il testo dell’art. 52, comma 2 -bis, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, secondo il quale, in relazione al contenuto dell’avviso di rettifica e di liquidazione per l’imposta di registro su atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali
immobiliari, «se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale».
Si tratta, dunque, di obblighi (allegazione dell’atto di riferimento o riproduzione del suo contenuto essenziale) inerenti al corredo motivazionale dell’avviso, da considerarsi alternativi, paritari ed equipollenti (cfr. Cass. Sez., VI-T., 7 aprile 2021, n. 9344), dovendosi intendersi per contenuto essenziale l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale -di definire l’oggetto del contendere (cfr., tra le tante, Cass. Sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21713 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Ciò che conta è la necessità per il giudice di merito di operare una complessiva valutazione di sufficienza circa l’indicazione degli elementi essenziali sui quali si fonda la liquidazione dell’imposta di registro, anche se tali elementi siano riportati nell’avviso di liquidazione, senza l’accompagnamento di alcun allegato, purchè si tratti di un corredo di informazioni che sia idoneo ad integrare, sia pure per relationem , un’adeguata, comprensibile ed esaustiva motivazione dell’atto impositivo (cfr. su tali principi, ex multis, Cass. Sez., VI-T., 7 aprile 2021, n. 9344 cit. che richiama Cass., Sez. V, 8 ottobre 2020, n. 21713; Cass., Sez. V, 12 gennaio 2021, n. 239).
Non va poi confusa la motivazione dell’avviso con la dimostrazione (prova) dei fatti costitutivi della pretesa fiscale, dovendo sul punto considerarsi che «La motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio
avente ad oggetto detta pretesa» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 4639 del 21/02/2020)» (così Cass., Sez. T., 14 maggio 2024, n. 13305).
7.4. La Commissione si è attenuta a tali principi, esaminando e dando conto del contenuto essenziale della nota della Provincia di Parma riportato nell’avviso e reputando che «nell’atto impositivo l’Ufficio illustrava correttamente la ragione del recupero effettuato» (v. pagina n. 30 della sentenza impugnata), fondato sull’accertato venir meno dei requisiti necessari per la qualifica di imprenditore agricolo professionale.
Risulta infondata anche la seconda ragione di contestazione concernente la dedotta violazione di legge per l’omessa instaurazione del contraddittorio preventivo.
8.1. Come ricordato, da ultimo, anche dalla Corte costituzionale con la pronuncia del 21 marzo 2023, n. 47, la giurisprudenza della Corte di cassazione, come consolidatasi a seguito della sentenza a Sezioni Unite civili n. 24823 del 2015, ha interpretato « il diritto nazionale, allo stato della legislazione, nel senso che non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto», escludendo, pertanto, «che possa attribuirsi valenza generale alla previsione dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente, perché questa disposizione, come emerge dal suo tenore testuale, va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche ‘a tavolino’ ( ex multis , Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 13 dicembre 2022, n. 36502; analogamente, Corte di cassazione, sezione sesta, ordinanza 29 luglio 2022, n. 23729; sezione quinta, ordinanza 6 aprile 2020, n. 7690; sezione sesta, ordinanza 3 luglio 2019, n. 17897)».
Il Giudice RAGIONE_SOCIALE leggi, pur riconoscendo che « la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica
rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale», non ha però mancato di segnalare che «dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà RAGIONE_SOCIALE norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale, come suggerisce il giudice a quo », osservando che «il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente -la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte».
In tale direzione, la Corte costituzionale ha ritenuto che « di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti».
Alla luce di quanto precede, va dunque confermato quanto, anche di recente, ribadito da questa Corte (cfr. Cass., Sez. T., 4 dicembre 2023, n. 36699) secondo cui « resta, dunque, fermo l’ordine di idee secondo cui, con riguardo all’imposta di registro ed in assenza di una specifica previsione di legge, l’amministrazione finanziaria non ha alcun obbligo di instaurare un contraddittorio preventivo con il contribuente prima dell’emanazione dell’avviso di rettifica e liquidazione (cfr. Cass., Sez. T, 27 gennaio 2023, n. 2585 ed in generale, tra le tante, nello stesso senso: Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., Sez. 6^-5, 29 ottobre 2018, n. 27420; Cass., Sez. 6^-5, 5 novembre 2020, n. 24793; Cass., Sez. 5^, 29 dicembre 2020, n. 29726; Cass., Sez. 5^, 6 luglio 2021, nn. 19176 e 19177) – alla valutazione della rilevanza fiscale dell’atto negoziale o giudiziale, al momento della registrazione su richiesta o d’ufficio (artt. 10, 11, 12 e 15 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) mediante la determinazione della base imponibile (artt. 43 – 53 d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), l’applicazione dell’imposta nella misura (fissa o
proporzionale) stabilita secondo le prescrizioni tariffarie corrispondenti alla tipizzazione RAGIONE_SOCIALE fattispecie negoziali (art. 41 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) ed il recupero dell’imposta non versata o versata in misura inferiore all’importo dovuto (artt. 54, 55 e 56 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Va disatteso anche il terzo motivo di impugnazione, con cui gli istanti hanno sostenuto la decadenza dall’esercizio del potere impositivo ai sensi dell’art. 76, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sia computando il predetto termine triennale dalla data di registrazione dell’atto (15 giugno 2009), che da quella di rilascio della certificazione della qualifica di imprenditore agricolo professionale (3 aprile 2009), essendo stato l’atto impugnato notificato il 16 giugno 2014.
9.1. L’accertamento da compiere in detto lasso temporale è quello previsto dall’art. 1, comma 4, d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, secondo cui « La perdita dei requisiti di cui al comma 1 (ndr. quelli inerenti la figura dell’imprenditore agricolo professionale), nei cinque anni dalla data di applicazione RAGIONE_SOCIALE agevolazioni ricevute in qualità di imprenditore agricolo professionale determina la decadenza dalle agevolazioni medesime».
Va preliminarmente osservato che il riconoscimento della predetta qualità in epoca (3 aprile 2009) successiva alla stipula dell’atto (15 giugno 2006) dà conto che al momento del rogito il citato requisito era stato solo enunciato, ma non ancor conseguito.
È di tutta evidenza, quindi, che il predetto termine decadenziale non poteva decorrere dalla data di stipula dell’atto, giacchè essa si è fondata su un evento (il venir meno dei citati requisiti) ad esso successivo, né tanto meno -come invece pure sostenuto dai ricorrenti -dalla data di rilascio dei della certificazione della qualifica di I.A.P., poichè si discute della perdita di tale requisito, che integra l’ipotesi decadenziale normativamente prevista se intervenuta nei cinque anni successivi l’atto oggetto di tassazione.
Per tale motivo non risulta, altresì, conferente il richiamo, operato dalla difesa dei contribuenti nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., alle pronunce nn. 31397/2022 e 33985/2022 di questa Corte, le quali concernono tutt’altra vicenda e cioè la mancata produzione del certificato di iscrizione nell’albo degli imprenditori agricoli professionali, laddove nella fattispecie in rassegna si discute della perdita del beneficio per il venir meno del citato requisito.
9.2. In realtà, nella peculiare ipotesi in esame, avente ad oggetto l’imposta complementare con cui l’Ufficio ha contestato la decadenza del contribuente dal beneficio fiscale, soccorrono i principi affermati da questa Corte con riferimento ad altra fattispecie (decadenza dal beneficio di cui all’art. 1, comma 6, della legge 22 aprile 1982, n.168 per mancata attuazione del proposito enunciato nell’atto di utilizzare l’immobile come propria abitazione), che risultano, nondimeno, esportabili anche nella sede che occupa, in ragione della medesima situazione fattuale, costituita dalla sopravvenienza di un evento impeditivo del godimento del beneficio.
È stato, in particolare, chiarito che la previsione della decadenza triennale non trova specifiche regole inerenti alla decorrenza iniziale del termine. Tuttavia, la carenza di peculiari disposizioni sul punto non può tradursi nell’esclusione della decadenza medesima, tenuto conto della valenza generale della relativa previsione, il che comporta l’operatività RAGIONE_SOCIALE comuni norme dell’ordinamento (artt. 2964 e segg. cod. civ.), in forza RAGIONE_SOCIALE quali il termine di decadenza, inderogabilmente assegnato per porre in essere un determinato atto od un determinato comportamento, è computabile a partire dal momento in cui sussista il potere di compiere o tenere l’atto od il comportamento stesso.
In applicazione di dette norme generali, la decorrenza del triennio di decadenza va individuata nella data in cui l’Ufficio può contestare al contribuente la perdita del trattamento agevolato in dipendenza di mendacio ed in tale prospettiva occorre distinguere l’ipotesi di mendacio cd. originario (relativo alle ipotesi di mancanza dei requisiti condizionanti l’agevolazione fiscale al momento dell’atto), in relazione alla quale la data della registrazione della compravendita segna l’insorgere del potere
dell’ufficio di accertare la non spettanza del beneficio e richiedere l’ulteriore imposta dovuta, da quella del mendacio cd. successivo (a seguito del sopraggiungere di fatti, prevedibili o meno, all’epoca del contratto, che evidenzino la perdita della qualità enunciata nell’atto), in relazione al quale il potere sorge e può essere esercitato solo a partire dell’evento stesso, che segna il giorno iniziale di maturazione del termine di decadenza.
Per tale via, è stato affermato il principio secondo il quale «l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro con aliquota ordinaria e connessa soprattassa a carico del compratore di un immobile ad uso abitativo che abbia indebitamente goduto in sede di registrazione del trattamento agevolato di cui all’art. 1 sesto comma della legge 22 aprile 1982 n. 168, è soggetto a termine triennale di decadenza, ai sensi e nel vigore dell’art. 74 secondo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 (corrispondente all’art. 76 secondo comma del successivo d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131), a partire dalla data in cui l’avviso stesso può essere emesso, e cioè dal giorno della registrazione, quando i benefici non spettino per la falsa dichiarazione nel contratto dell’indisponibilità di altro alloggio o della mancata fruizione in altra occasione dell’agevolazione, o per l’enunciazione nel contratto stesso di un proposito di utilizzare direttamente il bene a fini abitativi già smentito da circostanze in atto, oppure, quando detto enunciato proposito, inizialmente attuabile, sia successivamente rimasto ineseguito od ineseguibile, dal giorno nel quale si sia verificata quest’ultima situazione» (così, Cass., Sez. Un., 21 novembre 2000, n. 1196).
9.3. Questa Corte ha, successivamente, ulteriormente chiarito che:
– in tema di agevolazioni tributarie, i benefici fiscali per l’acquisto della “prima casa”, previsti dall’art. 1, sesto comma, della legge 22 aprile 1982, n. 168 e dall’art. 2, primo comma, del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12 (convertito, con modificazioni, nella legge 5 aprile 1985, n. 118), in favore dell’acquirente di immobile destinato ad abitazione “non di lusso”, possono essere conservati a condizione che il contribuente realizzi l’intento – dichiarato nell’atto di acquisto – di destinare l’immobile a
propria abitazione entro il termine triennale di decadenza stabilito ( ex art. 74 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, poi art. 76 d.P.R. 22 aprile 1986, n. 131) per l’esercizio del potere di accertamento dell’ufficio. Di conseguenza, deve ritenersi che il detto termine decadenziale dell’azione dell’ufficio inizi a decorrere dal momento in cui l’intento del contribuente sia rimasto definitivamente ineseguito, e quindi – giacché il termine a disposizione del contribuente non potrà essere giammai più ampio di quello in sè previsto per i controlli – al massimo dalla scadenza del triennio dalla registrazione dell’atto. (cfr. Cass., Sez. V, 12 marzo 2003, n. 3608 e la giurisprudenza ivi citata);
-nel caso di mendacio successivo, « il termine di accertamento decorre dalla data di emersione del mendacio (così Cass., sez. VI, 28 luglio 2015, n. n.15960), così alludendo (non alla data di verificazione, ma) al momento in cui tale evento è stato accertato dall’Ufficio, implicitamente, quanto condivisibilmente, considerando la non esigibilità di un monitoraggio continuo della situazione enunciata.
9.4. La previsione di un tempo predeterminato nel quale dover conservare la situazione legittimamente il godimento del benefico segna anche il perimetro temporale dell’accertamento dell’Ufficio ed è, pertanto, dallo scadere di quel termine massimo che decorrono i tre anni di decadenza di cui all’art. 76, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, salvo che le condizioni per la revoca dell’agevolazione non siano state accertate prima, in tal caso correndo il termine decadenziale da tale momento.
In tale prospettiva, va riconosciuto che la combinazione del principio generale secondo cui un termine di decadenza è computabile dal momento in cui e sino a quando sussiste il potere di compiere l’accertamento con la specifica condizione posta dalla fattispecie in rassegna (secondo la quale i requisiti soggettivi per il mantenimento del beneficio devono permanere per cinque anni dall’atto registrato) conduce a ritenere che è dallo spirare di tale ultimo momento che decorre il termine decadenziale imposto all’Ufficio, a meno che l’accertamento non sia intervenuto prima, giacchè prima del decorso del predetto termine (lo
si ripete di cinque anni dal compimento dell’atto) l’attività di controllo dell’ufficio potrebbe non assicurare il rispetto della previsione normativa cui è sottoposta il godimento dell’agevolazione.
9.5. Alla luce di tali principi, correttamente il Giudice regionale ha ritenuto l’avviso tempestivamente notificato lunedì 16 giugno 2014 (entro tre anni dalla scadenza del termine previsto per il mantenimento del beneficio in relazione al quale l’Ufficio effettua il controllo), tenuto conto che l’atto è stato rogato il 15 giugno 2006 e registrato il 16 giugno 2006 e che il requisito soggettivo per l’agevolazione fiscale doveva essere mantenuto per cinque anni e dunque sino al 15/16 giugno 2011 e che l’accertamento dell’Ufficio sul venir meno RAGIONE_SOCIALE predette condizioni soggettive è avvenuto, da quel che risulta dalla sentenza impugnata (v. pagina n. 17), con verbale del 28 maggio 2014.
Non è fondato neanche il quarto motivo di impugnazione, fondato sulla violazione dell’art. 2697 cod. civ. e, dunque, per avere la Commissione addossato ai contribuenti l’onere di provare di aver mantenuto i requisiti legittimanti il riconoscimento del beneficio fiscale.
10.1. La Commissione regionale ha, difatti, posto in rilievo che la Provincia di Parma – RAGIONE_SOCIALE – aveva accertato « il venir meno del requisito relativo al ‘tempo’ nel quinquennio vincolativo successivo al godimento del beneficio. In particolare, la Provincia riscontrava la carenza del requisito negli anni dal 2009 (d)al 2013 compresi, Quest’ultima affermava che la certificazione rilasciata il giorno 3 aprile 2009 si basava su fatti e impegni culturali disattesi. Dunque, l’Ente accertava che il soggetto persona fisica, in particolare la sig.ra NOME COGNOME, conferente la qualifica di I.A.P. alla collegata società beneficiaria non aveva mantenuto nel tempo indicato i previsti requisiti; che, dunque, tale comportamento faceva automaticamente decadere dalla qualifica e dal relativo beneficio anche alla società beneficiaria» (così alle pagine nn. 42 e 43 della sentenza impugnata).
Risulta, allora, evidente che il Giudice regionale abbia basato la propria decisione sulla prova fornita dall’Ufficio circa il venir meno RAGIONE_SOCIALE condizioni
su cui era stata fondata la richiesta del beneficio fiscale e correttamente la Commissione, una volta dato atto della contestazione dell’agevolazione da parte dell’Ufficio sulla base del predetto accertamento, ha ritenuto che fosse onere dei contribuenti fornire la prova (contraria) circa il mantenimento del predetto requisito soggettivo.
11. E’ infondato, infine, l’ultimo motivo di doglianza.
Non sussiste alcun vizio motivazionale della pronuncia, avendo la Commissione ampiamente rappresentato le ragioni di fatto e giuridiche su cui ha basato la propria decisione, dovendo sul punto ribadirsi che «Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014)» (così, tra le tante, Cass., Sez., I, 3 marzo 2022, n. 7090 e, nello stesso senso, sul piano dei principi, da ultimo, Cass., Sez. T. 23 gennaio 2024, n. 2251 e Cass., Sez. III, 15 gennaio 2024, n. 1555).
11.1. Va aggiunto che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, non è tenuto cioè a discutere ogni singolo elemento o a argomentare sulla condivisibilità o confutazione di tutte le deduzioni difensive, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ., che esponga gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua
decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma considerati subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (così Così Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123 e anche Cass., Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19011, Cass., Sez. I, 2 agosto 2016, n. 16056 e Cass., Sez. T., 24 giugno 2021, n. 18103).
11.2. Né, infine, può utilmente invocarsi l’omesso esame di fatti decisivi emergenti dalla documentazione (certificato di residenza storico, iscrizione alla gestione assistenziale previdenziale secondo quanto previsto dal d.lgs. 29 marzo 2004, n.99 e dal d.lgs. 25 maggio 2005, n. 101, con i relativi modelli di pagamento, dichiarazioni dei redditi per gli anni 2008/2012), circa la sussistenza del requisito soggettivo della qualifica di I.A.P., avendo il Giudice regionale ritenuto, sulla base del relativo accertamento fattuale, che «la certificazione rilasciata il giorno 3 aprile si basava su fatti ed impegni disattesi» (v. pagina n. 43 della sentenza impugnata), con ciò quindi fondando la decisione su tale evidenza, ritenuta assorbente sulle indicazioni documentali di parte.
Alla stregua RAGIONE_SOCIALE valutazioni che precedono il ricorso va respinto.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.
Infine, va dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore dell’RAGIONE_SOCIALE nella misura di 7.600,00 € per competenze, oltre alle spese che risulteranno dai registri di cancelleria prenotate a debito.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per la proposizione del ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 febbraio 2024.