Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24161 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24161 Anno 2024
Presidente: PAOLITTO LIBERATO
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
di infedele dichiarazione, la « mancata considerazione della situazione reale , al pari dell’errata determinazione della base imponibile », legittimante, in via subordinata, una riduzione degli importi pretesi in riscossione per intervenuta decadenza della prescrizione del credito di imposta relativo all’anno 2010 pari a 32.344,36 € » (v. pagina n. 9 del ricorso)..
Ribadita, preliminarmente, l’irrilevanza del tema dell’infedele dichiarazione, va, in ogni caso, osservato che il vizio di omessa pronuncia postula che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (cfr. Cass., Sez. T., 29 maggio 2023, n. 15015, che richiama Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 20 settembre 2013, n. 21612; Cass., 11 settembre 2015, n. 17956), dovendo, piuttosto, ravvisarsi -come detto – una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamene esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico -giuridica della pronuncia (cfr. Cass., Sez. T., 29 maggio 2023, n. 15015 cit., che richiama Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 8 marzo 2007, n. 5351; Cass., 10 maggio 2007, n. 10696; Cass., 21 luglio 2006, n. 16788; nello stesso senso, tra le tante, Cass., Sez. II, 12 giugno 2023, n. 16516, Cass., Sez. T., 17 febbraio 2023, n. 5113).
13.1. Nella specie, la decisione della Commissione, nel rigettare il ricorso in appello nella dichiarata, piena, condivisione delle ragioni addotte dal primo Giudice, ha espressamente rigettato l’eccezione di prescrizione della pretesa ( rectius di decadenza dall’esercizio del potere impositivo) ed ha poi ritenuto non dimostrata la dedotta erroneità del valore dell’area, con valutazione, quindi, implicitamente reiettiva di tutti gli altri suindicati argomenti difensivi, che ha considerato assorbiti in applicazione del criterio della « cd. ragione più liquida» (così a pagina n. 4 della sentenza impugnata).
Pure la seconda censura, attinente al deficit della motivazione per relationem della sentenza impugnata non può essere accolta.
14.1. Giova rammentare, sul piano dei principi, che costituisce orientamento ampiamente consolidato di questa Corte ritenere che
l’ipotesi di motivazione apparente ricorra allorché essa, pur graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Siffatta motivazione si considera -come suol dirsi – non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., il che rende nulla la sentenza per violazione (censurabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) anche dell’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ. o, nel processo tributario, ex 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Va esclusa, invece, (in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, ratione temporis applicabile) qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione .
14.2. E’ stato altresì chiarito che: « In linea generale – come precisato dalle Sezioni unite -la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, di altri atti processuali o di provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive (cfr. Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 642).
In particolare, la motivazione di una sentenza può essere redatta ” per relationem ” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica.
La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo» (così Cass., VI/II, 10 gennaio 2022, n. 459).
14.3. Ancor più nello specifico, questa Corte ha precisato che « in tema di processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare ” per relationem ” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del ” thema decidendum ” e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la
condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame. (vedi Sez. 5, Sentenza n. 24452 del 05/10/2018, Rv. 650527 – 01)» (così Cass., Sez. T., 11 aprile 2024, n. 9830).
14.4. Nella specie tale vizio non sussiste, avendo il Giudice regionale esposto la vicenda processuale, riepilogato le ragioni poste a base della sentenza di primo grado, precisando che la contribuente aveva reiterato in appello le medesime censure poste in primo grado, affermando di condividere le valutazioni espresse dal primo Giudice, richiamando il principio espresso dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la citata pronuncia del 16 gennaio 2015 n. 642 in tema di motivazione per relationem, esponendo poi le proprie valutazioni in tema di prescrizione, di motivazione dell’atto ed in punto di determinazione del valore del bene.
Per tali ragioni, la sentenza impugnata non può considerarsi nulla.
Risulta, invece, inammissibile il terzo motivo di impugnazione, con cui il Comune ha lamentato la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
15.1. Anche in tale caso, va premesso, sul piano dei principi, che la Corte ha più volte precisato e poi ribadito che in tema di ricorso per cassazione può essere dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, ipotesi questa diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene, invece, alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto; il tutto, a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti
avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (cfr. Cass, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 12971; Cass., Sez. III, 21 dicembre 2022, n. 37382).
Ed ancora, sempre in relazione alla previsione dell’art. 115 cod. proc. civ., è stato chiarito che « per dedurre la sua violazione ‘è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma’, ossia che abbia ‘giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio’, mentre ‘detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre», trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016)’» (così, Cass., Sez. T., 4 giugno 2019, n. 15195 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 129 e Cass., Sez. T, 23 settembre 2019, n. 27983 e le altre ivi citate, nonché Cass., Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867 e Cass., Sez. VI-I, 23 novembre 2022, n. 34472 ed ancora Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VI-II, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018, nonché Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535).
15.2. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., va, poi, ricordato che secondo la lezione delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, 30 settembre 2020, n. 20867) la relativa doglianza è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova non abbia operato – in assenza di una diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, attribuendo al risultato di prova il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, quelle aventi valore di prova legale),
oppure quando il giudice abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, laddove la prova sia, invece, soggetta ad una specifica regola di valutazione. Diversamente, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr., sul principio, tra le tante, Cass., Sez. VI-I, 23 novembre 2022, n. 34472).
15.3. Alla luce di tali principi, il motivo si palesa -come anticipato -inammissibile, avendo la ricorrente lamentato che «Il Giudice di appello tralasciava, comunque, di vagliare e di assegnare, secondo il suo apprezzamento, valore alle prove prodotte da parte ricorrente/ appellante ovvero (probabilmente) assegnava valore probante ed assorbente alla ‘denominazione’ usata dal Comune di Avellino in sede di avviso di accertamento, senza tenere conto delle eccezioni e doglianze formulate in atti dalla società ricorrente, che invece in conformità degli artt. 115 e 116 cpc dovevano determinare il Giudice del merito al prudente apprezzamento delle prove e dei fatti dedotti a fondamento della pretesa tributaria in contestazione» (v. pagina n. 14 del ricorso), così finendo con il contestare, al fondo, non la violazione delle predette regole processuali, ma la valutazione di merito compiuta dalla Commissione, in termini, quindi, inammissibili nella presente sede.
Come si diceva, infatti, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass., Sez. I, 1° marzo 2022, n. 6774; Cass., Sez. II, 24 maggio 2022, n. 16736).
16. Infondata è pure la quarta ragione di impugnazione, basata sull’eccepita violazione degli artt. 2967 cod. civ. e 10, comma 4, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per avere il Giudice a quo attribuito valore preminente alle risultanze indicate dall’Ufficio rispetto a quelle offerte dalla contribuente, addossandole un irrituale onere probatorio, in ragione dell’eccepita e comprovata pertinenzialità dell’area tassata e del pagamento dell’imposta per il capannone industriale.
16.1. Anche in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., richiamando quanto sopra osservato, va ribadito, sul piano dei principi, che «In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre -lo si ripete – per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.» (così Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VI-II, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 cit. ed anche Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535).
16.2. Nella fattispecie in rassegna, la Commissione, nel ritenere che la contribuente non avesse fornito prova di una diversa valutazione dei beni, ha considerato attendibile la stima posta a base dell’atto impugnato, reputando compiuta la relativa motivazione, avendo indicato, tramite il riferimento agli allegati A) e B), «i parametri necessari per consentire al contribuente di rendersi conto della causale e delle modalità di calcolo» (così nella sentenza impugnata), concludendo
nel senso che la relativa valutazione non risultava contraddetta efficacemente dalle difese svolte dalla contribuente.
Non vi è stata, quindi, alcuna inversione della prova, avendo il Giudice regionale applicato il principio più volte affermato da questa Corte, che ha considerato il valore venale del bene posto come base imponibile dell’imposta ICI, nei termini determinati, per zone omogenee, dalle delibere comunali, adottate ai sensi dell’art. 49 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 del 1997, una fonte di presunzione hominis , vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (Cass., 3 maggio 2019, n. 11643; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27572; Cass., 12 giugno 2018, n. 15312; Cass., 13 marzo 2015, n. 5068; Cass., 24 gennaio 2013, n. 1661; Cass., 30 giugno 2010, n. 15555; Cass., 27 luglio 2007, n. 16702; Cass., 3 maggio 2005, n. 9137, ed anche Cass., Sez. T, 15 febbraio 2023, n, 4814 Cass., Sez. T, 1° dicembre 2022, n. 35452, Cass. Sez. T, 25 novembre 2022, n. 34879 e Cass., 4 agosto 2022, n. 24297), chiarendo, sul punto che spetta al contribuente «l’onere di fornire elementi oggettivi sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16620 del 05/07/2017)» (così, Cass., Sez. T, 11 giugno 2021, n. 16681 ed anche, tra le tante, Cass., Sez. T., 11 agosto 2023, nn. 24589, 24554).
17. Il quinto motivo di ricorso va esaminato unitamente al settimo, in quanto connessi in relazione al tema delle condizioni fattuali dell’area tassata (asseritamente già edificata e parzialmente occupata dal capannone industriale sin dal 1983 e, per la restante parte, di fatto inedificabile e comunque costituente pertinenza della predetta fabbrica, in relazione alla quale l’Ici era stata versata), nonché in ordine all’inesistenza di un obbligo dichiarativo in assenza di elementi di variazione.
17.1. Essi vanno dichiarati inammissibili.
Quanto alla dedotta (con il quinto motivo) violazione degli artt. 10, comma 4, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 546, 37, comma 53, d.l. 4 luglio
2006, n. 223 e 1, comma 175, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 circa il venir meno dell’obbligo dichiarativo, non può, in primo luogo, non riconoscersi che esso si pone quale motivo di impugnazione nuovo, non essendovi traccia nella sentenza impugnata e nel resoconto degli originari motivi di impugnazione e di appello di tale ragione di contestazione (nemmeno nel paragrafo 5 e 7 del ricorso in appello, come indicato dalla ricorrente a pagina n. 19 del ricorso, che avevano avuto riguardo ai temi concernenti l’eccezione di decadenza, la considerazione della situazione reale dell’area come non edificabile e la sussistenza, al più di, una infedele dichiarazione), risultando, come tale, inammissibile.
Per altro verso, esso risulta, altresì, inammissibile anche nella parte in cui intende giustificare l’assenza dei presupposti dell’obbligo dichiarativo sul rilievo secondo cui «L’area oggetto di pretesa tributaria era già utilizzata a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali e ovvero non interveniva un elemento di variazione idoneo a giustificare un obbligo di dichiarazione ex art. 10 comma 4 dlg in combinato disposto 37, comma 53, del d.l. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2006» (v. pagina n. 20 del ricorso), trattandosi di profili fattuali che non possono esaminati dalla Corte e che manifestano un utilizzo non appropriato del parametro d’impugnazione (art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.) utilizzato dalla contribuente.
Allo stesso modo, il settimo motivo, incentrato sulla natura pertinenziale dell’area e sui versamenti eseguiti dalla contribuente, pure coinvolgono la Corte in questioni di merito sulle predette condizioni di fatto dell’area, che non sono non proponibili nella presente sede, così disvelando i motivi un uso improprio del canone censorio prescelto (art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ.).
Va, invece, accolta la sesta censura relativa all’eccezione di decadenza dall’esercizio del potere impositivo per l’anno 2010, in ragione del fatto che la notifica dell’avviso di accertamento venne eseguita il 23 dicembre 2016.
Vanno richiamate sul punto le considerazioni sopra svolte al § 12 sull’inesistenza dell’obbligo dichiarativo per l’anno in esame (2010), con la conseguenza che la decadenza dall’esercizio della pretesa impositiva deve essere riferita, in virtù dell’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo avrebbe dovuto essere versato (cfr. Cass., Sez. T., 25 gennaio 2023, n. 2321, Cass., Sez. VI/V, 2 marzo 2017, n. 5362 e Cass., Sez. VI/V, 2 novembre 2018, n. 28043), dovendo, quindi, la decadenza dell’Amministrazione comunale dalla pretesa impositiva intendersi compiuta al 31 dicembre 2015, mentre l’avviso di accertamento è stato notificato alla destinataria solo in data 23 dicembre 2016, come è incontroverso tra le parti.
Va dichiarata, invece, inammissibile l’ottava censura, concernente, anche in tal caso, le contestazioni sulla edificabilità dell’area oggetto di imposizione, sulla natura pertinenziale e sulla sussistenza di vincoli e di fasce di rispetto ivi insistenti e sul relativo onere probatorio, in relazione alle quali vanno ribadite le superiori valutazioni circa l’inappropriato uso del canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., per coinvolgere la Corte in questioni fattuali non proponibili in questa sede, nonché sulla corretta distribuzione dell’onere probatorio assicurata dal Giudie regionale.
Infondato è il nono motivo di impugnazione, con cui è stato riproposto il rilievo del difetto di motivazione dell’avviso impugnato.
Anche a voler ritenere la censura ammissibile, sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso, va riconosciuto che le ragioni della contestazione risultano infondate, dovendo:
-sul piano generale, ricordarsi che «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare
efficacemente l'”an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass. 26431/2017)» (così Cass., Sez, T, 2 maggio 2023, n, 11449 e 11443 e, nello stesso senso Cass., Sez. T., 27 luglio 2023, n. 22702, che richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571) ed ancora, tra le tante, Cass., Sez. V., 29 ottobre 2021, n. 30887);
– per altro verso, ribadirsi che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo di allegazione all’avviso di accertamento, degli atti cui si faccia riferimento nella motivazione, previsto dall’ art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, riguarda necessariamente, come precisato dall’art. 1 del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, gli atti non conosciuti e non altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non gli atti generali come le delibere del consiglio comunale, le quali, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili.(cfr. Cass., Sez. 18 maggio 2021, n. 13420, che richiama Cass. n. 5755 del 2005; Cass. n. 21511 del 2006; Cass. n. 9601 del 2012; Cass. n. 26644 del 2017»; nel medesimo senso, tra le tante, Cass., Sez. V, 21 novembre 2018, n. 30052 e Cass. Sez. T, 21 gennaio 2023, n. 2140, Cass., Sez. T., 2 maggio 2023, n, 11443 cit. e le altre ivi citate).
A tali principi si è uniformato il Giudice dell’appello nella parte in cui ha ritenuto l’avviso motivato con la motivazione sopra riportata.
Non può essere accolta decima censura circa la richiesta di disapplicazione o la riduzione delle sanzioni per l’obiettiva incertezza della norma tributaria.
All’omessa pronuncia da parte del Giudice regionale può in questa sede porsi rimedio ai sensi dell’art. 384 secondo comma, cod. proc. civ., non potendo -all’evidenza – detto deficit essere superato tramite il criterio della ragione più liquidata, essendo stato l’appello della contribuente rigettato senza che detta domanda, riproposta nel motivo di appello, sia stata esaminata.
Non ricorre, tuttavia, alcuna incertezza normativa ai sensi degli art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 e 6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
21.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, e dell’art. 8 del d.l.gs 31 dicembre 1992, n. 546, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’amministrazione finanziaria, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (tra le tante: Cass., Sez. 6^, 11 febbraio 2013, n. 3254; Cass., Sez. 5^, 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., Sez. 5^, 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., Sez. 5^, 4 maggio 2018, n. 10662; Cass., Sez. 5^, 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., Sez. 6^, 9 dicembre 2019, n. 32082; Cass., Sez. 5^, 20 luglio 2021, nn. 20670, 20671, 20672 e 20673; Cass., Sez. 5^, 17 febbraio 2022, nn. 5162, 5164, 5165, 5166 e 5167; Cass., Sez. 6^-5, 22 febbraio 2023, n. 5530).
Più in particolare, in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dall’art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente (tra le altre: Cass., Sez. 5^, 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., Sez. 5^, 18 gennaio 2021, n. 1893)» (così, Cass. T, 15 maggio 2023, n. 13289).
21.2. Nella specie, non ricorre nessuna delle suindicate condizioni, sol considerando che nemmeno è stata dedotta in cosa sia consistita l’obiettiva incertezza normativa, tenuto conto che essa è stata correlata alla specificità del caso concreto (sussistenza della natura pertinenziale dell’area e sua inedificabilità), che non hanno nessuna attinenza con l’esonero richiesto.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va accolto solo in relazione al sesto motivo. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non occorrendo sul punto accertamento in fatto, la causa va decisa nel merito, accogliendo il ricorso originario della contribuente in relazione alla somma richiesta
per l’anno di imposta 2010, essendo il Comune decaduto dall’esercizio del relativo potere impositivo.
L’accoglimento parziale (di una delle due domande relative ai due anni di imposta), giustifica l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente limitatamente alla somma richiesta, a titolo di ICI ed accessori, per l’anno di imposta 2010.
Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 maggio 2024.