Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24486 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24486 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 8193/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL, come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
-ricorrente –
Contro
L’Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente – e nei confronti di
Agenzia delle entrate – Riscossione
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 6039/11/2018, depositata il 17.09.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’8 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Oggetto:
Tributi
RILEVATO CHE
La CTP di Roma rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso una cartella di pagamento, emessa nei confronti della predetta società , quale socia della RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE , cessata e cancellata dal registro delle imprese dal 13.03.2012, e relativa ad imposte dirette ed IVA, per l’anno d’imposta 2007;
la Commissione tributaria regionale del Lazio, confermando in toto la pronuncia di primo grado, rigettava l’appello proposto dalla società contribuente, osservando, per quanto qui rileva, che:
-la censura relativa alla nullità della cartella per intervenuta prescrizione non era fondata in quanto l’avviso di accertamento, notificato alla RAGIONE_SOCIALE, era stato notificato anche alla RAGIONE_SOCIALE, che non l’aveva impugnato; nella specie, nessun termine prescrizionale era decorso giacché l’avviso veniva notificato il 27.12.2012 e la cartella veniva notificata il 5.12.2014;
-l’avviso di accertamento, prodromico alla cartella impugnata, era stato annullato solo nei confronti di Zhou COGNOME e non nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, di cui la prima era liquidatore;
sebbene la Prospect, in quanto socia di società estinta (la RAGIONE_SOCIALE, dovesse rispondere del debito societario nei limiti ‘ di quanto ha ricevuto ‘, la pretesa tributaria era ormai intangibile poiché l’avviso di accertamento, notificato anche alla Prospect, non era stato da questa impugnato;
la RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria;
l ‘Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, la contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 3, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per non avere la
CTR rilevato la nullità assoluta della notifica dell’avviso di accertamento, eseguita ex art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, senza specificare se si trattava di irreperibilità assoluta o relativa, e per avere ritenuto valida la notifica della cartella di pagamento, notificata alla contribuente, in qualità di socia della società estinta (cancellata prima del 13.12.2014), senza previamente notificare alla stessa un nuovo ed autonomo atto impositivo, che desse atto dell’esistenza dei presupposti di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973; sostiene che la CTR avrebbe dovuto rilevare il difetto della capacità processuale del socio e dichiarare la nullità dell’intero giudizio; precisa che lo stesso avviso di accertamento era stato annullato nei confronti dell’ex liquidatore e che l’Agenzia delle entrate aveva dichiarato inefficace detto avviso di accertamento, avendo il liquidatore della Roma China Town presentato istanza di accertamento con adesione, sicchè non poteva essere ritenuta valida la notifica alla socia di ‘ un verbale di accertamento definito inefficace dalla stessa Agenzia Finanziaria ‘;
– il motivo è inammissibile per difetto di chiarezza, di autosufficienza e di specificità, non avendo il ricorrente riprodotto, nel testo del ricorso per cassazione, il contenuto delle notificazioni di cui lamenta l’irregolarità e dei documenti correlati, necessari per comprendere e valutare la censura e le questioni prospettate;
– per quanto riguarda la notificazione degli atti prodromici, inoltre, va richiamato il principio, più volte affermato da questa Corte in tema di impugnazione della cartella di pagamento, secondo cui ‘nel processo tributario, in caso di impugnazione, da parte del contribuente, della cartella esattoriale per l’invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento, la Corte di cassazione non può procedere ad un esame diretto degli atti per verificare la sussistenza di tale invalidità, trattandosi di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, e non di nullità del procedimento, in quanto la notificazione dell’avviso
di accertamento non costituisce atto del processo tributario, ma riguarda solo un presupposto per l’impugnabilità, davanti al giudice tributario, della cartella esattoriale, potendo l’iscrizione a ruolo del tributo essere impugnata solo in caso di mancata o invalida notifica al contribuente dell’avviso di accertamento, a norma dell’abrogato art. 16, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e dell’art. 19, comma terzo, del vigente d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546’ (Cass. n. 3554 del 2002; n. 9032 del 1997, n. 10772 del 2006, n. 11674 del 2013; n. 18472 del 2016; n. 35014 del 2022);
-la censura, così come proposta, pertanto, contrasta con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello circa l’attività compiuta dall’agente notificatore nell’eseguire la notificazione dell ‘avviso di accertamento , prodromico all’impugnat a cartella di pagamento, che non è suscettibile di essere apprezzato in questa sede ostandovi la preclusione connessa all’applicazione del prima richiamato principio;
il motivo è in ogni caso infondato con riferimento alla seconda parte della censura, con la quale la ricorrente si duole dell’invalidità della impugnata cartella esattoriale, perchè non è stata preceduta dalla notificazione di un distinto avviso di accertamento, motivato in relazione alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973;
-occorre premettere che alla fattispecie in esame non si applica l’art. 28, comma 4, della l. n. 175 del 2014, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE (di cui la RAGIONE_SOCIALE era socia) risulta cancellata dal registro delle imprese dal 13.03.2012 e, quindi, prima della data di entrata in vigore di detta disposizione, non avente efficacia retroattiva;
tanto chiarito, come hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072), dopo
la cancellazione della società dal registro delle imprese, a seguito della riforma del diritto societario, attuata dal decreto legislativo n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, « pendente societate », siano limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo;
-secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, inoltre, i soci, per il solo fatto di possedere tale qualità, rispondono delle obbligazioni tributarie facenti capo alla società cancellata, non definite al momento della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (Cass. n. 30536 del 2021; Cass. n. 26758 del 2022; Cass. 22692 del 2023; Cass. n. 8633 del 2024 e, da ultimo, Cass. Sez. U. n. 3625 del 2025);
l’Amministrazione finanziaria ha, infatti, interesse a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, potendovi essere la possibilità di
sopravvenienze attive o di beni e diritti non contemplati nel bilancio, suscettibili di aggressione da parte di tale creditore;
con la recente decisione delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 3625/2025 cit.), quindi, è stato ribadito che, a seguito dell’estinzione della società, il socio (ex socio) è successore per il solo fatto di essere tale, non perché abbia ricevuto quote di liquidazione, e il carattere universale della sua successione non è contraddetto dal fatto che egli risponda solo nei limiti di quanto percepito; la legittimazione dell’ex socio quale soggetto responsabile per i debiti societari residui discende ‘ se non proprio dall’adempimento, quantomeno in conseguenza del rapporto sociale al quale egli diede volontariamente corso ‘;
-diversa è l’ipotesi di responsabilità, prevista per i soci della società estinta dall’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1972 e che riguarda i soci che abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali ovvero abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione; si tratta di responsabilità che non è di tipo successorio, come quella contemplata dall’art. 2495 cod. civ., ma che si aggiunge ad essa;
alla contribuente, quale socia della cessata RAGIONE_SOCIALE, non risulta contestata una responsabilità di tipo sussidiario, ex all’art. 36, comma 3, cit., in quanto, come ha accertato la CTR, l’avviso di accertamento (prodromico alla impugnata cartella di pagamento), che era stato notificato alla Prospect, riguardava lo stesso atto impositivo notificato alla società estinta (‘ Va premesso che l’avviso di accertamento presupposto n. TK503A408534/2012 notificato alla RAGIONE_SOCIALE era stato notificalo anche alla socia RAGIONE_SOCIALE e non era stato impugnato’);
-con riferimento alla notifica al socio dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società estinta, occorre ribadire che, « In tema di riscossione, l’atto impositivo intestato a società di persone o di capitali estinta è valido ed efficace, anche se notificato agli ex soci collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio della società (analogamente a quanto previsto dall’art. 65, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 in caso di morte del debitore) o singolarmente a taluno di essi, non essendo necessaria l’emissione di specifici atti intestati e diretti ai medesimi, giacché l’estinzione determina un peculiare fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i soci subentrano nelle medesime obbligazioni inadempiute della società, rispondendone illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, a seconda che, ‘pendente societate’, fossero illimitatamente o limitatamente responsabili per i debiti sociali » (Cass. n. 753 del 2024; n. 9085 del 2025);
con riferimento ad avvisi di accertamento e cartelle di pagamento, intestati alla società estinta e notificati all’ex socio, infatti, l’affermazione della loro validità ed efficacia in ragione della responsabilità di quest’ultimo per il debito sociale è intesa a salvaguardare l’interesse dell’Amministrazione a procurarsi un titolo per tale debito anche nei confronti dell’ex socio sulla base del fatto in sé che questi è successore, ciò corrispondentemente alla « natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti, anche solo, ad esempio, in funzione dell’escussione di garanzie » (Cass. n. 26758 del 2022; Cass. n. 10678 del 2022);
-nel caso in esame, peraltro, l’avviso di accertamento societario, notificato alla socia RAGIONE_SOCIALE non era stato da questa impugnato e, quindi, come evidenziato sia dalla CTP che dalla CTR, ‘ la pretesa tributaria era ormai intangibile ‘;
con il secondo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione ‘di norma di diritto’ e, in particolare, degli artt. 7, 16 e 17 l. 212/2000, nonché dell’art. 8 del d.lgs. 32/2001 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per non essersi la CTR pronunciata sulla doglianza relativa al difetto di motivazione della cartella di pagamento notificata alla contribuente;
il motivo è inammissibili sotto plurimi profili;
-se il vizio denunciato si riferisce ad un’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza;
come è stato ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi ( ex plurimis , Cass. n. 28072 del 14 ottobre 2021);
la ricorrente non ha riportato nel testo del ricorso per cassazione il motivo di appello di cui lamenta l’omessa pronuncia, con l’indicazione dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali il motivo è stato proposto;
qualora la ricorrente abbia inteso denunciare un omesso esame di un fatto decisivo, il motivo è parimenti inammissibile, in quanto con l’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha modificato l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ( ex plurimis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
la ricorrente non si è attenuta alle suddette prescrizioni, in quanto non ha trascritto nel ricorso, neppure in modo indiretto, nelle loro parti essenziali, ai fini della percezione della doglianza, gli atti dai
quali risulterebbero l’allegazione di tali fatti e la loro discussione, e ha censurato, nella sostanza, una insufficiente ed erronea motivazione della sentenza impugnata in ordine ad alcuni aspetti di valutazione della prove, con ciò attingendo, come si è prima detto, l’apprezzamento e l’articolata motivazione del giudice di merito, al fine di provocare un nuovo accertamento in fatto, non consentito in questa sede;
-occorre comunque rilevare che, anche nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere che la ricorrente abbia inteso denunciare una violazione di norme di legge, il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, non avendo riprodotto nel testo del ricorso per cassazione l’integrale contenuto del provvedimento impugnato di cui lamenta l’omessa motivazione;
con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n.4 cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato che l’Amministrazione Finanziaria aveva omesso ‘ di azionare una condizione necessaria e imprescindibile per la procedibilità dell’azione che ha inficiato il provvedimento nella sua interezza ‘, avendo omesso di notificare alla contribuente, prima della cartella di pagamento, l’avviso bonario o comunicazione di irregolarità;
a prescindere dai profili di inammissibilità del motivo, per mancanza di chiarezza e specificità, il motivo è in ogni caso infondato;
l’eventuale omessa trasmissione della comunicazione di irregolarità ex artt. 36-bis e 54-bis cit., costituisce, da un lato, mera irregolarità (Cass. n. 13759/2016) e non implica la nullità della cartella, e, dall’altro, la sanzione è dettata solo dall’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente, in relazione al c.d. avviso bonario;
sul punto, peraltro, è costante l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, l’art. 6, comma 5,
della legge n. 212 del 2000, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Cass. n. 27716/2017). D’altra parte, secondo quanto condivisibilmente affermato da Cass. n. 795/2011, non v’è’ spazio per la notifica dell’avviso bonario quando “non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative’ ;
la CTR, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, ha affermato, nella specie, che la cartella di pagamento era conseguente ad un avviso di accertamento non impugnato, sicchè valeva come mera intimazione ad adempiere, trattandosi di pretesa ormai intangibile;
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole, in favore della controricorrente, nella misura di euro 5.900,00, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8 aprile 2025