Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16431 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16431 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 458/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende ex lege
-ricorrente-
CONTRO
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della C.T.R. della LOMBARDIA n. 2145/2022 depositata il 24/05/2022
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che conclude per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri
Udita l’Avvocatura dello Stato, nella persona dell’avv. NOME COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della C.T.R. della Lombardia che, in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della C.T.P. di Milano di rigetto del ricorso per l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, ha ridotto la pretesa azionata con l’atto impugnato ad euro 665.616,75.
La C.T.R. ha dato atto che: in data 1^ luglio 2017 decedeva NOME COGNOME che, con disposizione testamentaria, aveva nominato erede universale la moglie NOME COGNOME; la medesima, dopo una prima dichiarazione di successione, presentava una dichiarazione integrativa relativa ad ‘ immobili e diritti reali immobiliari ‘ per euro 1.009.729,24, nonché ad ‘aziende, azioni, obbligazioni e quote societarie’ per euro 16.821.403,48, ed altri cespiti per euro 4.321.908,48, indicando la somma di euro 7.340.776,45 quale passività sotto la descrizione ‘debito contratto dal de cuius verso Banca Cordusio per acquisto titoli con operazione bancaria anteriore al decesso deducibile ex art. 20 comma 1 d. lgs. 346 del 1990’; a seguito del disconoscimento delle passività indicate dalla contribuente, l’Ufficio determinava l’imposta di successione in euro 931.478,38. Ciò posto, la C.T.R. ha ritenuto, diversamente dal primo giudice, che le operazioni di acquisto dei titoli si fossero
perfezionate prima del decesso del de cuius , in forza dell’ordine impartito alla banca in data 29 giugno 2017 -come emergente dalla dichiarazione rilasciata dall’istituto – facendo, quindi, i titoli già parte del suo patrimonio alla data del decesso, in forza del disposto dell’art. 1376 cod. civ., ancorché le relative somme fossero state corrisposte solo successivamente attraverso il disinvestimento di altrettanti titoli (esenti e non) facenti parte del portafoglio gestito dalla banca, dichiarati nell’attivo ereditario e tassati, se imponibili. Su questa base, ha escluso la configurabilità della ‘creazione’ di passività deducibili bilanciata da attivi esenti, trattandosi di un’operazione diversa da quella di cui all’art. 22 del d. lgs. 346 del 1990. In particolare ha precisato che dagli atti di causa si ricava che: ‘(i) sono entrati a far parte dell’attivo ereditario titoli per un valore complessivo di euro 7.340.776,45, di cui euro 1.355.109,95 riferibili a titoli esenti e i restanti 5.985.666,50 relativi a titoli non esenti e quindi tassati; (ii) il debito contratto con la banca per l’acquisto di titoli esenti di spettanza del sig. COGNOME per un valore di euro 7.340.776,45 è stato saldato con il ricavato dalla dismissione dei titoli sub (i); (iii) dal passivo ereditario è stato portato in deduzione il debito pari ad euro 5.985.666,50 pari al valore dei soli titoli tassati. Sicché, avuto riguardo al fatto che euro 5.985.666,50 sono stati tassati all’attivo ed euro 5.985.666,50 sono stati dedotti al passivo, non può dirsi che si sia verificata l’ipotesi di cui all’art. 22 del d. lgs. 346 del 1990, posto che l’operazione si chiude con un risultato pari a zero, e non con un segno negativo’. In forza dell’art. 115 cod. proc. civ., infine, stante la solo parziale contestazione dell’imposta liquidata, ha affermato doversi ritenere riconosciuta dalla contribuente la debenza della somma di euro 666.616,75.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale chiede accogliersi il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula tre motivi di ricorso.
Con il primo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 d. lgs. 346 del 1990, 1376 e 1722 cod. civ.. Richiamato il disposto dell’art. 20 d. lgs. 346 del 1990, secondo il quale le passività deducibili sono costituite dai debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione, sottolinea che le operazioni di acquisto di titoli esenti da imposta di successione, sulla base dell’ordine impartito dal de cuius il 29 giugno 2017, si sono perfezionate solo tra il 4 ed il 6 luglio 2017 -e quindi successivamente alla morte del medesimo- come emerge dalla dichiarazione della banca. La circostanza è dimostrata infatti dalla certificazione relativa ai rapporti di gestione patrimoniale rilasciata dall’istituto in data 14 luglio 2017, da cui si evince che alla data del 1^ luglio 2017 (data del decesso) i suddetti titoli non facevano parte del portafoglio, proprio perché l’operazione di acquisto costitutiva del debito è successiva all’apertura della successione, sicché la relativa passività non può essere riconosciuta, ai sensi dell’art. 20 cit.. Rileva l’inconferenza del richiamo all’art. 1376 cod. civ., operato dalla C.T.R., dovendosi applicare le regole del mandato, con la conseguenza che nessun contratto può dirsi concluso al momento dell’ordine di acquisto. Osserva che il mandato si estingue con la morte del mandante e che, nel caso di specie, l’operazione di acquisto dei titoli, costitutiva del debito si è conclusa successivamente, mentre, affinché il debito del defunto sia deducibile è necessario che risulti da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione.
Con il secondo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 22 d. lgs. 346 del 1990. Ricorda che la disposizione non consente
la deduzione di debiti contratti per l’acquisto di beni o diritti non compresi nell’attivo ereditario e che, al contrario, il debito di cui la contribuente ha chiesto il riconoscimento come passività è sorto per l’acquisito di beni non rientranti nell’attivo ereditario. L’operazione ordinata dal de cuius aveva, infatti, ad oggetto titoli di stato in esenzione dall’imposta di successione, il che conduce ad escludere, ai sensi dell’art. 12, lett. h) del d. lgs. 346 del 1990 che essi possano far parte dell’attivo ereditario. Ciò si desume dall’attestazione bancaria del 23 novembre 2017 ove si legge che ‘il giorno 1^ luglio 2017, data del decesso del sig. COGNOME NOME (…) erano in corso operazioni di acquisto di titoli (…) in esenzione da imposta di successione’. Rileva che ai sensi dell’art. 22 del d. lgs. 346 del 1990 sono ammessi in deduzione i debiti contratti per l’acquisto di beni, a condizione che i beni rientrino nell’attivo ereditario, mentre ove si tratti -come nella speciedi beni esenti che non rientrano nell’attivo, non può farsi luogo ad alcuna deduzione. Sostiene che, avendo la C.T.P. affermato che tutti i titoli oggetto dell’operazione di acquisto erano esenti e non avendo la contribuente, con l’atto di appello, contestato la decisione sul punto, deve ritenersi formato il giudicato in ordine alla natura dei titoli.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 2 d. lgs. 346 del 1990. Assume che nonostante l’abrogazione dell’art. 10 del d. lgs. 346 del 1990, l’art. 22, comma 2 cit. continua a limitare a casi particolari la deducibilità dei debiti contratti dal de cuius negli ultimi sei mesi di vita, con la conseguenza che, in ogni caso, le passività derivanti dall’operazione di acquisto dei titoli non sarebbero deducibili.
Il terzo motivo va trattato per primo, in quanto, nella prospettazione della parte ricorrente, esso costituisce il reale
presupposto logico della soluzione delle altre doglianze, benché introdotto per ultimo.
L’art. 22 del d. lgs. 346 del 1990, al comma 2, ratione temporis vigente, disponeva che ‘I debiti contratti dal defunto negli ultimi sei mesi sono deducibili nei limiti in cui il relativo importo è stato impiegato nei modi indicati nell’art. 10, comma 3, lettere d), e) ed f); negli stessi limiti sono computati, per la determinazione del saldo dei conti correnti bancari, gli addebitamenti dipendenti da assegni emessi e da operazioni fatte negli ultimi sei mesi. Le disposizioni del presente comma non si applicano per i debiti contratti, le operazioni fatte e gli assegni emessi nell’esercizio di imprese o di arti e professioni’.
Parte ricorrente ritiene che il rimando che l’art. 22 d. lgs. 346 del 1990 opera -ai fini della deducibilità dei debiti infrasemestrali contratti dal defuntoall’impiego di somme con le modalità di cui al terzo comma lett.re d) e) ed f) dell’art. 10 del d. lgs. 346 del 1990 non sia stato travolto dalla sua abrogazione, per effetto dell’art. 69 comma 1 lett. d) della l. 342 del 2000.
Ora, la disposizione antielusiva di cui all’art. 10 aveva ad oggetto la presunzione legale che il bene alienato a titolo oneroso dal de cuius nel semestre antecedente al decesso facesse parte dell’attivo ereditario, sicché ne veniva recuperato a tassazione il valore, ancorché il bene, nella sua entità fisica, fosse uscito dal suo patrimonio. Erano tuttavia ammesse, al comma 3, alcune deduzioni (oltre a quelle relative alle somme riscosse o dei crediti sorti in dipendenza delle alienazioni), fra le quali -per quello che qui interessa- quelle: d) delle somme reinvestite nell’acquisto di beni soggetti ad imposta indicati nella dichiarazione della successione o di beni che, anteriormente all’apertura della successione, sono stati rivenduti ovvero sono stati distrutti o perduti per causa non imputabile al defunto; e)
delle somme impiegate, successivamente alla alienazione, nell’estinzione di debiti tributari e di debiti risultanti da atti aventi data certa anteriore di almeno sei mesi all’apertura della successione; ecc..
Il legislatore, tuttavia, nell’abrogare l’art. 10, non ha espressamente eliminato il rinvio operato dall’art. 22 alle lett. d), e) ed f) del terzo comma.
Che la volontà legislativa (di cui all’art. 69 comma 1 lett. d) della l. 342 del 2000) fosse quella di non abrogare per implicito anche l’art. 22 comma 2, si trae dalla considerazione delle modificazioni che il d.lgs. 18 settembre 2024 n. 139 ha inteso apportare al d. lgs. 346 del 1990. Ed invero all’art. 1, comma 1, lett. s) si dispone che ‘all’articolo 22, il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. I debiti contratti dal defunto negli ultimi sei mesi sono deducibili nei limiti in cui il relativo importo è stato impiegato nei seguenti modi: a) nell’acquisto di beni soggetti a imposta indicati nella dichiarazione della successione o di beni che, anteriormente all’apertura della successione, sono stati distrutti o perduti per causa non imputabile al defunto; b) nell’estinzione di debiti tributari e di debiti risultanti da atti aventi data certa anteriore di almeno sei mesi all’apertura della successione; c) in spese di mantenimento e spese mediche e chirurgiche, comprese quelle per ricoveri, medicinali e protesi, sostenute dal defunto per sé e per i familiari a carico; le spese di mantenimento sono deducibili per un ammontare mensile di euro 516,00 per il defunto e di euro 258,00 per ogni familiare a carico, computando soltanto i mesi interi. Negli stessi limiti sono computati, per la determinazione del saldo dei conti correnti bancari, gli addebitamenti dipendenti da assegni emessi e da operazioni fatte negli ultimi sei mesi. Le disposizioni del presente comma non si applicano per i debiti contratti, le operazioni fatte
e gli assegni emessi nell’esercizio di imprese o di arti e professioni»’.
La semplice lettura del nuovo testo dell’art. 22, comma 2 dimostra che il legislatore ha inteso mantenere una disciplina quasi sovrapponibile a quella già prevista dal testo anteriormente in vigore attraverso un’operazione di riscrittura dell’art. 22, che riprende nel corpo della disposizione le ipotesi di cui alle lett.re d), e) ed f) dell’art. 10, comma 3.
Proprio la sostanziale continuità contenutistica fra l’attuale ed il previgente articolo 22, comma 2 del d. lgs. 346 del 1990, dimostra che l’abrogazione dell’art. 10 del medesimo d. lgs. ad opera dell’art. 69 1 lett. d) della l. 342 del 2000, non si è riflessa sull’art. 22 nella formulazione all’epoca vigente.
Fatta questa premessa, va rilevato che per i titoli non esenti, qualora effettivamente acquistati nell’ultimo semestre di vita dal de cuius -come ritenuto dalla sentenza impugnatadovrebbe applicarsi la lett. d) dell’art. 22 ratione temporis vigente, trattandosi dell’acquisito di beni soggetti ad imposta indicati nella dichiarazione di successione. Che questa sia la lettura del rinvio all’art. 10, comma 3 lett. d) si trae proprio dall’abrogazione del medesimo, che prevedeva la deduzione dei debiti contratti per l’acquisto dei beni di cui al comma 1 ‘beni e diritti soggetti ad imposta alienati a titolo oneroso dal defunto negli ultimi sei mesi’ per cui era ammessa la deduzione quando le somme fossero state ‘reinvestite’. Mentre è chiaro che, riferendosi ai debiti, il rinvio alla lett. d) dovesse intendersi come riferito alle somme ‘investite’ nell’acquisto di beni assoggettabili ad imposta indicati nella dichiarazione di successione, non potendo un debito essere reinvestito.
Il risultato di questa operazione ermeneutica comporterebbe, laddove si giungesse alla conclusione dell’effettivo perfezionamento del contratto di acquisto dei titoli in momento antecedente la morte del de cuius , la condivisibilità della sentenza che afferma che la somma, pari ad euro 5.985,666,50, impiegata per l’acquisto di titoli non esenti, è stata correttamente indicata nell’attivo ereditario e correttamente indicata nel passivo ereditario, in quanto corrispondente, da un lato, al valore dei titoli e, dall’altro, alla spesa sostenuta per il loro acquisto, attraverso la vendita di altri titoli facenti parte del portafoglio gestito dalla banca. Per i titoli esenti, al contrario, ai sensi dell’art. 12 lett. h) ed i) del d. lgs. 346 del 1990, è indiscusso che i medesimi non concorrano a formare l’attivo ereditario.
Ne deriva, allora, che il nodo centrale della controversia risiede nella necessità di stabilire se effettivamente il perfezionamento dell’acquisto dei titoli sia pervenuto prima o dopo la morte del de cuius , non essendo di per sé decisiva la soluzione del motivo inerente la violazione dell’art. 22, comma 2 d. lgs. 346 del 1990, come sostenuto dalla parte ricorrente, posto che il corrispettivo dei titoli non esenti acquistati nell’ultimo semestre è deducibile, ai sensi della medesima disposizione.
Occorre, quindi, a questo punto, affrontare il primo motivo di ricorso, con il quale si pretende che il debito per l’acquisto dei titoli non costituisca una passività ai sensi dell’art. 20 del d. lgs. 346 del 1990, non trattandosi di un debito esistente al momento dell’apertura della successione, in quanto formatosi dopo la morte del de cuius.
La doglianza critica la sentenza impugnata sotto due profili, l’uno di fatto, e l’altro di diritto.
Con il primo si afferma, infatti, che la C.T.R. avrebbe frainteso l’attestazione della banca con la quale si dà conto che: ‘1. alla data di apertura della successione erano in corso operazioni di acquisto di titoli disposte dalla scrivente RAGIONE_SOCIALE s.p.a. in esecuzione della disposizione di variazione della gestione del portafoglio (…) impartita dal de cuius in data 29.06.201;. 2. Il ‘regolamento’ dell’operazione e quindi il relativo debito dipendente da tali operazioni, quale presso di acquisto di detti titoli ammontante ad euro 14.681.522,89 (…) è intervenuto successivamente al decesso del de cuius , ossia nelle date riportate nell’elenco sotto riportato; 3. Per adempiere al debito appena menzionato sono state eseguite operazioni di vendita/disinvestimento di titoli e fondi, facenti parte del patrimonio gestito, per pari importo complessivo; 4. Parte dei titoli -riportati infra nell’elenco 2 – venduti come da punto precedente per un corrispettivo (regolato post decesso) di euro 2.710.219,90 risultano essere esenti da imposta di successione’.
Da siffatta attestazione, secondo l’Ufficio, dovrebbe ricavarsi che l’acquisto dei titoli è successivo alla morte del de cuius , in quanto il ‘regolamento’ dell’operazione, costitutiva del debito è intervenuto solo fra il 4 ed il 6 luglio, sicché deve ritenersi che le operazioni si siano ‘perfezionate’ in quelle date.
Con il secondo profilo, invece, si contesta, da un lato, che il mandato di per sé comporti l’effetto di acquisizione dei titoli al momento del suo conferimento, dall’altro che, comunque, il mandato si estingue con la morte e quindi esso non poteva giustificare l’acquisto dei titoli per conto del defunto alla data del loro perfezionamento.
Pur nella differenza delle prospettazioni, non è posto in dubbio da alcuna delle parti in causa che il conferimento del mandato, di per sé, non comporti l’acquisizione dei titoli, essendo necessario che il mandatario compia l’atto o il negozio
che forma oggetto del contratto, affinché nel mandato con rappresentanza -come pare essere quello in oggetto- gli effetti si producano in capo al mandante.
Il trasferimento dei titoli in capo al mandante si realizza, infatti, nel momento dell’acquisto da parte della banca mandataria, non rivestendo alcun rilievo, rispetto al perfezionamento del contratto di acquisto, né il momento di pagamento dei titoli, né tantomeno quello del conferimento del mandato.
Ed invero, se l’acquisto dei titoli da parte della Banca è intervenuto prima della morte del mandante è del tutto fuorviante la deduzione della parte ricorrente in ordine all’estinzione del mandato al momento della sua morte, posto che il mandato di acquisto di acquisto era già stato assolto, mentre se la Banca ha acquisito i titoli dopo la sua morte, l’estinzione del mandato implica che i titoli non siano stati acquistati dal de cuius , con la conseguenza che le somme impiegate per l’acquisto non possono essere dedotte quale passivo ereditario.
Ciò implica, peraltro, che debba valutarsi se il debito conseguente l’acquisto dei titoli fosse, ai sensi dell’art. 20 del d. lgs. 346 del 1990, esistente al momento dell’apertura della successione. La disposizione secondo la quale ‘Le passività deducibili sono costituite dai debiti del defunto esistenti all’apertura della successione..’ è stata, infatti, letta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che i debiti per essere deducibili debbono avere in quel momento i caratteri dell’attualità e della determinatezza dell’ammontare, perché solo in questo caso è configurabile un effettivo depauperamento dell’attivo ereditario (Cass. Sez. 5, 01/03/2022, n. 6616; Cass. Sez. 2, 09/11/2021, n. 32804; Cass. Sez. 5, 21/02/2008, n. 4419; Cass. Sez. 5, 14/03/2007, n. 5969).
Ora -e ciò per dare risposta alla deduzione del Procuratore Generale che nega la sussistenza dei requisiti di attualità e determinatezza del debitol’acquisto di titoli sul mercato avviene al prezzo di mercato in un momento determinato, prezzo che in quel preciso momento è invariabile e, quindi, certamente determinato nel suo ammontare. Così come è attuale al momento della morte il debito contratto per l’acquisto di un bene che entri a far parte del patrimonio del de cuius in ragione della conclusione di un contratto con effetti traslativi.
Il depauperamento del patrimonio del de cuius , invero, interviene proprio nel momento dell’acquisto, posto che è in quel momento che si forma il debito detraibile, ancorché il pagamento di quel debito intervenga in un momento successivo alla morte. Sono, infatti, proprio i debiti per l’acquisto di beni che sono indicati nell’apertura, che siano stati contratti nell’ultimo semestre di vita, quelli per cui, ai sensi dell’art. 22, comma 2 in combinato disposto con l’art. 10, comma 3 lett. d) del d. lgs. 346 del 1990, è consentita la deduzione.
In questo senso si pone una risalente pronuncia di questa Corte su un caso assimilabile a quello in esame, secondo la quale ‘Il mandato a vendere, pur se accompagnato dal conferimento del potere rappresentativo, non determina il trasferimento, in capo al mandatario, della proprietà del bene da alienare, ma ha contenuto meramente obbligatorio, impegnando il mandatario alla successiva stipulazione del contratto traslativo per conto (ed eventualmente anche in nome) del mandante. Ne consegue che il mancato espletamento dell’incarico prima della morte del mandante stesso è di per sé sufficiente a determinare tanto l’inclusione della “res” nell’attivo devoluto agli eredi, quanto la sua computabilità ai fini del tributo successorio, senza che spieghi influenza, in contrario, la circostanza che
l’esecuzione del mandato sia stata differita post mortem dal de cuius ‘. (Cass. Sez. 5, 23/04/2001, n. 5981).
In questo quadro, appare evidente l’errore commesso dalla sentenza impugnata, che impropriamente richiamando il principio consensualistico di cui all’art. 1376 cod. civ. , sembra far risalire il perfezionamento dell’operazione di acquisto dei titoli al momento di conferimento del mandato. Sebbene la sentenza non appaia del tutto chiara, che il riferimento sia proprio al contratto di mandato si evince dalle considerazioni successive ove si riprende il contenuto dell’attestazione bancaria per ricavare che ‘le somme destinate all’acquisto dei titoli di cui all’ordine impartito in data 29 giugno 2017 dal sig. COGNOME derivano da operazioni di vendita/disinvestimento di titoli e fondi facenti parte del patrimonio gestito per pari importo complessivo’, in questo modo facendo coincidere con il conferimento del mandato il perfezionamento delle operazioni di disinvestimento e di reinvestimento, senza fare nessun cenno al momento successivo in cui le medesime si sono effettivamente perfezionate, per avere la Banca dato esecuzione al mandato.
Entrambi i profili di cui al primo motivo debbono, pertanto, essere accolti, rendendosi indispensabile che il giudice di secondo grado verifichi la data effettiva di acquisto dei titoli da parte del gestore incaricato.
Il secondo motivo è infondato.
Al di là, infatti, della necessità di accertare la data di acquisto da parte della banca dei titoli, oggetto del mandato, vi è che, diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, proprio dall’attestazione bancaria (cfr. supra ) cui fanno riferimento le parti -riprodotta sia dal ricorso, che dal controricorso- si evince chiaramente che oggetto dell’acquisto furono sia titoli esenti, sia non esenti, il che contraddice quanto affermato dall’Ufficio, secondo il quale si tratterebbe solo di titoli esenti e come tali
non rientranti nell’attivo ereditario ex art. 12, comma 1 lett. h) del d. lgs. 346 del 1990. D’altro canto, la parte ricorrente, che assume essersi formato il giudicato in ordine alla natura dei titoli, per non avere la contribuente contestato, in sede di gravame, l’assunto del primo giudice secondo il quale l’operazione riguardava solo titoli esenti, non trascrive i motivi di appello, limitandosi ad affermare che l’appellante aveva svolto solo generiche contestazioni, il che rende impossibile qualsivoglia verifica.
All’accoglimento del primo motivo di ricorso, consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2025