Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17821 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17821 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11248/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende ex lege
-ricorrente-
CONTRO
NOMECOGNOME in qualità di erede unico di NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in PIACENZA INDIRIZZO presso
lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di NOME COGNOME‘ EMILIA ROMAGNA n. 1034/2023 depositata il 17/11/2023 Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME Udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore G enerale NOME COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna, che ha rigettato l’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza della C.T.P. di Piacenza, di accoglimento del ricorso proposto da NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME contro il diniego su ll’istanza di rimborso della somma pagata nell’anno 1990, a titolo di imposta di successione.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna ha premesso che l’istanza di rimborso dell’imposta di successione era derivata dall’esito della sentenza del Tribunale civile di Piacenza del 29 settembre 2013, n. 596/2013, che aveva accertato che l’attivo ereditario era inferiore al passivo, per effetto del debito del de cuius nei confronti di NOME COGNOME conseguente al danno da quest’ultima subito a causa del mancato godimento di immobile di NOME COGNOME, a lei spettante pro quota, secondo la precedente sentenza del Tribunale di Piacenza del 24 ottobre 2002. Indi, chiarito che con il motivo di appello l’Agenzia delle Entrate contestava che l’esistenza della passività, costituita dal debito
nei confronti di NOME COGNOME fosse a carico del de cuius , dovendosi ritenere a carico della massa ereditaria, e come tale non deducibile ai sensi degli artt. 20 e 21 d. lgs. 346 del 1990, ha osservato che i debiti del defunto rappresentano i debiti dell’eredità, gravata altresì dai pesi ereditari, e che la comunione ereditaria rappresenta, a sua volta, uno stato del patrimonio del defunto, per effetto della delazione ereditaria, che comprende sia il lato attivo, consistente nei beni e diritti del defunto, sia il lato passivo, consistente nei debiti ed oneri del medesimo. Sicché i debiti ereditari e quelli della comunione non possono essere distinti, come dimostra, peraltro, il disposto degli artt. 752 e 754 cod. civ.. In conclusione, ha sottolineato che gli artt. 20 e 21 d. lgs. 346 del 1990, nel disciplinare la deducibilità dei debiti del defunto, ha inteso rendere deducibili ‘i debiti ereditari o della comunione ereditaria o della massa ereditaria’ con la conseguenza che la distinzione fra debiti del de cuius e debiti dell’eredità, posta dall’Ufficio a base del motivo di impugnazione, è meramente tautologica.
NOME COGNOME in qualità di unico erede di NOME COGNOME, si costituisce con controricorso.
Il Procuratore Generale con requisitoria scritta chiede l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula un unico motivo di ricorso.
Con la doglianza fa valere, ex art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 21 d. lgs. 346 del 1990, nonché degli artt. 752 e 754 cod. civ.. Osserva che l’art. 20 d. lgs. 346 del 1990 pone come condizione indefettibile per la deducibilità dei debiti dalla base imponibile dell’imposta di successione la loro esistenza alla data di apertura della successione, a condizione che i medesimi risultino da atto
scritto di data certa anteriore. Mentre il successivo art. 21 prescrive le condizioni probatorie per la deducibilità dei debiti, esistenti alla data di apertura della successione, stabilendo al comma 5, per i debiti verso lo Stato o gli enti pubblici territoriali, assistenziali o previdenziali, che essi possano essere dedotti ancorché accertati definitivamente in un momento successivo all’apertura della successione. Sottolinea che la giurisprudenza di legittimità, tanto civilistica che tributaria, richiede che la passività non solo sia esistente all’apertura della successione, ma, altresì, attuale e determinata, non incidendo, altrimenti, né sull’asse ereditario, né sulla base imponibile di cui all’art. 8 d. lgs. 346 del 1990. Assume che la sentenza impugnata erra laddove prescinde da siffatti principi, affermando che i debiti ereditari, per il solo fatto di gravare sul patrimonio del defunto, possano essere dedotti dalla base imponibile dell’imposta sulle successioni. Ricorda che gli artt. 752 e 754 cod. civ., regolano, in realtà, i rapporti fra coeredi e di questi con i creditori. Riprende la tradizionale distinzione fra oneri derivanti dall’apertura della successione (spese funerarie, giudiziarie, d’inventario, di amministrazione, di divisione) e debiti ereditari, cioè esistenti in capo al de cuius , che si trasmettono con il patrimonio, gravando sugli eredi per effetto dell’acquisto di eredità. Rileva che i ‘pesi ereditari’ non sono deducibili, mentre, in relazione ai debiti, la giurisprudenza ha chiarito che proprio le obbligazioni dei coeredi inerenti al risarcimento dei danni per mancato godimento degli immobili, che traggano il loro presupposto da fatti avvenuti durante la vita del de cuius , non rientrano nelle ipotesi regolate dall’art. 752 cod. civ.. Da ciò discende non solo la non conformità a diritto della decisione gravata, che esclude ogni possibilità di indagine circa la natura e determinazione del debito stesso, in palese violazione degli artt.20 e 21 d. lgs. 346 del 1990, ma anche che l’onere della
prova circa i presupposti del trattamento impositivo grava sul contribuente e, per altro verso, che gli argomenti con cui l’Ufficio nega la loro sussistenza vanno ricondotti alla categorie delle mere difese, come tali non suscettibili di preclusioni processuali.
Il motivo è infondato.
Occorre partire dall’esegesi degli artt. 20 e 21 d. lgs. 346 del 1990, posti alla base del ragionamento sotteso alla censura formulata dall’Agenzia delle Entrate.
L’art. 20, rubricato ‘Passività deducibili’, stabilisce che ‘1. Le passività deducibili sono costituite dai debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione e dalle spese mediche e funerarie indicate nell’art. 24. 2. La deduzione è ammessa alle condizioni e nei limiti di cui agli articoli da 21 a 24’.
L’art. 21, rubricato ‘Condizioni di deducibilità dei debiti’, dispone, per quanto qui interessa, al comma 1, che ‘I debiti del defunto devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo’ ed al comma 5 che ‘I debiti verso lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale, esistenti alla data di apertura della successione, nonché i debiti tributari, il cui presupposto si è verificato anteriormente alla stessa data, sono deducibili anche se accertati in data posteriore’.
Dal confronto fra il testo delle due disposizioni, la ricorrente trae, in buona sostanza, la differenza di disciplina fra le due ipotesi affermando che solo per i debiti di cui al comma 5 è ammessa la deducibilità, ancorché essi non siano alla data di apertura della successione dotati dei caratteri di determinatezza ed attualità, ciò non valendo per quelli di cui al comma 1, sicché laddove a quella data detti debiti non siano certi e liquidi, allora non si configurerebbe il depauperamento dell’attivo ereditario, con la conseguenza della loro indeducibilità.
Per comprendere la fondatezza dell’assunto è necessario ricostruire la disciplina della deducibilità dei debiti ereditari facendo riferimento a quanto disposto dall’art. 23, rubricato ‘Dimostrazione dei debiti’, il quale dispone al comma 1 che ‘La deduzione dei debiti è subordinata alla produzione, in originale o in copia autentica, del titolo o provvedimento di cui all’art. 21, comma 1, ovvero: a) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del defunto, per i debiti inerenti all’esercizio di imprese; b) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del trattario o del prenditore, per i debiti cambiari; c) di attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice, o di copia autentica della quietanza del pagamento avvenuto dopo l’apertura della successione, per i debiti verso pubbliche amministrazioni; d) di attestazione rilasciata dall’ispettorato provinciale del lavoro, per i debiti verso i lavoratori dipendenti’ ed al comma 4 che ‘L’esistenza di debiti deducibili, ancorché non indicati nella dichiarazione della successione, può essere dimostrata, nei modi stabiliti nei commi 1, 2 e 3, entro il termine di tre anni dalla data di apertura della successione, prorogato, per i debiti risultanti da provvedimenti giurisdizionali e per i debiti verso pubbliche amministrazioni, fino a sei mesi dalla data in cui il relativo provvedimento giurisdizionale o amministrativo e divenuto definitivo’.
La lettura di quest’ultima disposizione chiarisce che sono certamente deducibili anche debiti che alla data di apertura della successione non sono determinati nel loro ammontare tanto è vero che sia per i debiti che risultino da provvedimenti giurisdizionale, che per i debiti verso lo Stato e le pubbliche amministrazioni, che risultino, a loro volta, da provvedimento amministrativo o giurisdizionale, è previsto un termine connesso non con il termine triennale dall’apertura della successione,
valevole per i debiti di cui al comma 1, ma con quello della definitività del provvedimento che li accerta, fissato in sei mesi.
Si tratta, dunque, di debiti esistenti, non dichiarati, e privi alla data di apertura della successione dei requisiti di liquidità ed esigibilità, che tuttavia, alle condizioni di cui all’art. 23, comma 4, rientrano nelle passività di cui all’art. 20, che al secondo comma espressamente stabilisce che ‘La deduzione è ammessa alle condizioni e nei limiti di cui agli articoli da 21 a 24’.
E’ chiaro che, in questi casi, l’imposta indebitamente pagata, sull’originario ‘attivo ereditario’ comprendente anche i cespiti risultati, a seguito di provvedimento giurisdizionale o amministrativo definitivo, quali passività può essere oggetto di istanza di rimborso ai sensi dell’art. 42, comma 1 lett. a) d. lgs. 346 del 1990, purché la relativa istanza sia formulata, ‘a pena di decadenza entro tre anni dal pagamento o se posteriore da quello da cui è sorto il diritto alla restituzione, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 42. Ed è parimenti chiaro che il diritto alla restituzione sorge, nel caso di provvedimenti giurisdizionali o amministrativi, dalla data della loro definitività, purché la dimostrazione del debito intervenga, ai sensi dell’art. 23, comma 4 d. lgs. 346 del 1990, entro sei mesi dalla definitività della sentenza, con le modalità di cui alla medesima disposizione.
La complessiva ricostruzione della disciplina illumina, dunque, il significato da attribuire ai commi 1 e 5 dell’art. 21.
Ed invero, se, a mente del comma 2, dell’art. 20 ‘la deduzione è ammessa alle condizioni e nei limiti di cui agli articoli da 21 a 24’, allora la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 21, secondo la quale ‘I debiti del defunto devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo’ va letta attribuendo alla congiunzione ‘o’ il significato disgiuntivo
che le è proprio, che introduce un’alternativa rispetto alla locuzione precedente secondo cui i debiti del defunto ‘devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione’.
Una simile lettura, che autorizza la deducibilità non solo dei debiti risultanti da atto scritto di data anteriore alla successione, ma anche di quelli che non risultino alla data di apertura della successione, ma siano accertati con provvedimento giurisdizionale successivamente a quella data, è l’unica che permette di dare significato alla disposizione di cui all’art. 23, comma 4, che consente di comprendere fra le passività -e quindi fra i debiti deducibilianche quelli ‘risultanti da provvedimenti giurisdizionali’, alla condizione che sia rispettato il termine semestrale per la loro dimostrazione, a far data dalla loro definitività.
D’altro canto, diversamente da quanto ritenuto da parte ricorrente, si pone sulla stessa linea anche il disposto del comma 5 dell’art. 21, che legittima la deduzione dei debiti nei confronti dello Stato, di enti pubblici, previdenziali ed assistenziali e dei debiti tributari, anche se accertati in data posteriore all’apertura della successione, posto che la disciplina di cui all’art. 23, comma 4 li accomuna, stabilendo per entrambi l’obbligo di darne dimostrazione entro i sei mesi dalla loro definitività.
Non deve stupire, peraltro, che il legislatore abbia dedicato ai debiti verso lo Stato o verso altri enti ed ai debiti tributari una disciplina specifica, perché va ricordato che si tratta di debiti che possono implicare accertamenti amministrativi, con termini decadenziali che ben possono scadere dopo l’apertura della successione, ma, che, proprio per questa ragione, vengono accomunati dall’art. 23, comma 4 ai debiti che formano oggetto di accertamento giurisdizionale.
Si tratta, insomma, in entrambi i casi di debiti la cui determinazione può seguire l’apertura della successione, ma che sono comunque debiti esistenti al momento della morte del de cuius , benché non ancora certi nel loro ammontare (e quindi non liquidi, né esigibili).
A suffragare questa ricostruzione vale l’ulteriore considerazione che l’opposta tesi, cui sembra aderire l’Ufficio, secondo la quale potrebbero essere dedotti i debiti rinvenienti da provvedimenti giurisdizionali solo allorquando essi siano antecedenti all’apertura della successione, comporterebbe l’effetto di riflettere sulla sussistenza di una passività deducibile i tempi processuali per la definizione del giudizio sul debito del de cuius , sicché il medesimo potrebbe essere deducibile solo se la sentenza intervenga sino al giorno della sua morte e non se essa intervenga, per avventura, anche solo il giorno successivo. Il che non solo è palesemente irragionevole, ma si pone in aperto contrasto con la disposizione di cui all’art. 23, comma 4 cit..
Né può richiamarsi, come fa il Procuratore Generale, a smentita di quanto sin qui detto, la decisione di questa Sezione n. 6616 del 1^ marzo 2022. La pronuncia non riguardava, infatti, un debito del de cuius accertato con provvedimento giurisdizionale successivo alla data di apertura della successione, ma l’ipotesi, completamente diversa, di una passività rinveniente da un contratto di opzione di vendita, con il quale il de cuius aveva concesso ad una banca, a fronte del pagamento di un premio, l’opzione irrevocabile di vendere determinate azioni (c.d. put). In quel caso, l’opzione era stata esercitata dalla banca dopo l’apertura della successione, sicché gli effetti del contratto opzionato si erano prodotti al momento della dichiarazione unilaterale del venditore, dopo la morte dell’obbligato, ciò comportando che a quella data ‘non era quindi
possibile né individuare nel patrimonio del de cuius l’avvenuto perfezionamento dell’obbligo di acquisto delle opzioni optate, né quantificare la passività differenziale che ciò avrebbe prodotto (commisurabile al listino del giorno di esercizio, non della morte’ (così Sez. 5 n. 6616 del 1^ marzo 2022). E ciò, secondo detta pronuncia, perché nella fattispecie a formazione progressiva, concatenandosi opzione-accettazione-conclusione del contratto opzionato, gli effetti decorrono, in forza della saldatura delle volontà negoziali, ex nunc , ‘cioè dalla dichiarazione unilaterale finale di accettazione e non dal rilascio inziale, per quanto irrevocabile, dell’opzione’. Conclusione che, secondo la sentenza in esame non è ‘contraddetta dal fatto che la proposta irrevocabile (nel cui ambito viene ricondotta l’opzione) – possa in determinati casi sopravvivere alla morte del proponente ex art. 1329 co. 2^ cod. civ., posto che una cosa sono gli effetti vincolanti della proposta (che permangono) ed altra gli effetti del contratto concluso (che si generano con il suo perfezionamento’ ( ibidem ).
In realtà, come si desume dalla stessa decisione, nel caso esaminato ‘non si discute di posteriorità (rispetto all’apertura della successione) dell’accertamento, quanto della stessa venuta ad esistenza del debito’.
Del pari, non ostano affatto alla ricostruzione qui adottata le pronunce -richiamate dalla parte ricorrentesecondo le quali ‘In tema di imposta sulle successioni, l’art. 12, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (poi trasfuso nell’art. 20 del d.lgs. 31 ottobre 1990, 346), nel richiedere, affinché una passività sia deducibile, che il debito sia “esistente” alla data di apertura della successione, postula che esso abbia, in quel momento, i caratteri dell’attualità e della determinatezza dell’ammontare, perché solo in questo caso è configurabile un effettivo depauperamento dell’attivo ereditario’ (così Cass. Sez.
5, 14/03/2007, n. 5969, Cass. Sez. 5, 21/02/2008, n. 4419; in precedenza Cass. Sez. 5, 02/04/2003, n. 5047). Si tratta, invero, di pronunce relative a fidejussioni, che affermano tutte il principio secondo il quale ‘la fideiussione (anche “omnibus”) prestata dal dante causa intanto può costituire passività deducibile dall’asse ereditario in quanto al momento dell’apertura della successione sussista l’insolvibilità del debitore garantito oppure sussista in concreto l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso, non essendo deducibile dall’attivo ereditario, ai fini dell’imposta di successione, un debito che non sia certo e liquido’ (Cass. Sez. 5, 14/03/2007, n. 5969).
A ben vedere, tuttavia, affermare che la deducibilità del debito è legittimata solo nel caso in cui all’apertura della successione sia dimostrata l’insolvibilità del debitore principale o l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso -in quanto solo in simili casi il debito è certo e determinato- significa sostenere che il debito derivante da insolvibilità successiva o la successiva impossibilità di esercitare il regresso non integrano depauperamento del patrimonio ereditario, non tanto e non solo perché, al momento dell’apertura della successione, non sono certi e determinati, quanto perché non sono attuali, venendo in essere posteriormente alla morte del de cuius , ‘perché la vigenza di una garanzia non significa necessariamente attualità del debito’ (Cass. Sez. 2, 09/11/2021, n. 32804).
Al contrario il debito del de cuius esistente al momento dell’apertura della successione, ma successivamente determinato nel suo ammontare da provvedimento giurisdizionale (o amministrativo ex art. 21, comma 5 cit.) definitivo, è tale, cioè esiste ed è attuale prima della sua morte, e per ciò solo può essere dedotto, alle condizioni di cui all’art. 23, comma 4, ancorché solo successivamente quantificato.
Ancor meno appare risolutiva -ed anzi depone in senso contrario alla tesi propugnata dalla ricorrente, che la richiamala decisione di questa Corte secondo cui ‘La disciplina di ripartizione dei debiti e pesi ereditari tra i coeredi in proporzione delle loro quote, salvo che il testatore abbia diversamente disposto, ai sensi dell’art. 752 cod. civ., opera per i debiti e pesi presenti nel patrimonio del de cuius al momento della morte, nonché per quelli sorti in immediata conseguenza della successione ereditaria, e non anche per i debiti (quale, nella specie, l’obbligo risarcitorio per il mancato rilascio di un immobile concesso in comodato al de cuius e richiesto in restituzione dal comodante per la prima volta agli eredi) venuti occasionalmente ad esistenza dopo la morte di quello a causa della condotta degli eredi, i quali non adempiano ad obbligazioni che pur traggono i propri presupposti remoti da atti o fatti riconducibili alla sfera patrimoniale del defunto’ (Cass. Sez. 2, 11/04/2013, n. 8900). Essa, infatti, si riferisce esclusivamente a debiti di natura risarcitoria originati dalla condotta degli eredi e non a quelli rinvenienti dal de cuius .
Va, dunque, pronunciato il seguente principio di diritto:
‘ In tema di imposta di successione, è ammessa, ai sensi il combinato disposto degli artt. 20, commi 1 e 2 e 23, comma 4 del d. lgs. 346 del 1990, la deducibilità della passività non dichiarata, il cui fatto generativo sia antecedente la morte del de cuius, ancorché il suo accertamento con sentenza passata in giudicato sia successivo alla morte del medesimo, purché nei sei mesi successivi alla data di definitività del provvedimento giurisdizionale l’interessato provveda a dimostrarne l’esistenza, con le modalità previste dal medesimo art. 23, mentre il termine per la presentazione dell’istanza di rimborso della passività non dichiarata decorre, ai sensi
dell’art. 42 comma 2 del d.lgs. 346 del 1990, dalla definitività della sentenza’.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, non avendo l’Ufficio contestato che il contribuente non abbia dimostrato la sussistenza della passività, ai sensi dell’art. 23, comma 4 d. lgs. 346 del 1990, entro sei mesi dalla definitività del provvedimento giurisdizionale con cui si acclarava il debito di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME conseguente il mancato godimento di un immobile, di cui la medesima possedeva una quota, né che la richiesta di rimborso dell’imposta di successione dell’erede, per essere il passivo superiore all’attivo ereditario, sia stata formulata oltre il triennio dalla data di definitività della sentenza.
Le spese di lite possono essere compensate per la complessità della materia e l’assenza di precedenti specifici sulle questioni trattate.
Non si fa luogo alla pronuncia in ordine al pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, non sussistendone i presupposti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese di lite. Così deciso in Roma, il 9 aprile 2025.