Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7810 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7810 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26929/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 1074/2019 depositata il 07/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
L ‘Ufficio doganale di Firenze , previo processo verbale di constatazione del 24.2.2010 n. 4007, aveva proceduto con atto di
rettifica n. 17692 del 22.9.2010 alla revisione di dichiarazioni doganali, relative a importazioni di lampade fluorescenti effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE tra il 2007 e 2008, avendo accertato, a seguito di investigazioni dell’OLAF, che si trattava di merce di provenienza cinese per la quale era dovuto un maggior dazio antidumping .
Proposta impugnazione da parte della società importatrice, il relativo giudizio veniva definito con sentenza della Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Toscana che accoglieva l’eccezione di incompetenza dell’ufficio emittente e annullava l’atto .
Successivamente, l’Ufficio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Napoli emetteva atto di rettifica n. NUMERO_DOCUMENTO in relazione alle dichiarazioni d’importazione presentate presso la Dogana di Napoli tra quelle precedentemente rettificate.
RAGIONE_SOCIALE impugnava quest’atto e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli rigettava il ricorso, osservando che l’atto era stato correttamente motivato con indicazione dei presupposti di fatto e RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridiche a suo fondamento, traendo origine dal pvc redatto dai funzionari di Firenze, regolarmente notificato alla società, che ne aveva avuto quindi conoscenza, ed era fondato nel merito, essendo stata prodotta l’intera documentazione da cui risultava che la merce , a cui era stato attribuito il codice doganale della RAGIONE_SOCIALE (beneficiaria di un dazio del 20,2%), proveniva dalla RAGIONE_SOCIALE (che scontava un dazio del 66,1%).
Avverso questa sentenza proponeva appello la società che eccepiva la violazione dell’art. 7 legge n. 212/2000 in ordine alla motivazione dell’atto e l’omessa allegazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni doganali; deduceva, inoltre, che i certificati di origine, vidimati dall’autorità cinese e muniti di dich iarazione giurata di autenticità, la cui genuinità non era stata contestata dall’autorità doganale italiana, attestavano la provenienza della merce dalla RAGIONE_SOCIALE;
invocava, infine, l’esimente di cui all’art. 220 par.2 lett. b) del reg. CE n. 2913/1992 (Codice Doganale Comunitario, CDC).
La CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’appello, osservando che la mancata allegazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni doganali non determinava alcun vizio perché gli atti erano già conosciuti dalla parte; che i certificati d’origine avevano un « limitato valore probatorio » e attestavano « semplicemente che il sigillo o la firma in calce alla dichiarazione » era quella della RAGIONE_SOCIALE; che erano legittimi gli accertamenti svolti dall’Ufficio e incombeva sull’importatore l’onere di provare i presupposti dell’esimente di cui all’art. 220 CDC.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza affidato a cinque motivi.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso la società deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronunzia con riferimento all’eccezione di nullità per difetto di motivazione dell’avviso di rettifica n. NUMERO_DOCUMENTORU, essendo stata contestata anche l’omessa allegazione dell a « diramazione della INF AM 18/2008 » dell’OLAF che non era stata neppure posta a corredo del precedente NUMERO_DOCUMENTO n. NUMERO_DOCUMENTO del 24.2.2010.
1.1. Il motivo è infondato perché ricorre un rigetto implicito della questione dal momento in cui la CTR ha, comunque, rigettato il primo motivo, correttamente indicato come « Violazione dell’art. 7 della l. n. 212/2000 riguardante la motivazione degli atti impositivi », pur argomentando solo con riguardo alla questione della mancata allegazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni doganali. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla
soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020). Il Giudice, invero, non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione RAGIONE_SOCIALE parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. n. 12652 del 2020); ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. n. 12131 del 2023).
Con il secondo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., deduce nullità della sentenza perché fornita di motivazione meramente apparente, in violazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 e 61 d.lgs. n. 546/1992, 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con ‘art. 1 comma 2
d.lgs. n. 546/1992 e dei principi generali di cui agli artt. 111 commi 6 e 7 cost., evidenziando il « salto logico » della sentenza che, da un lato, aveva affermato il valore probatorio sia pure limitato dei certificati d’origine, attestanti che il sigillo e la firma erano quelli della RAGIONE_SOCIALE, e, dall’altro, aveva osservato che una volta accertata la loro « falsità », in ordine alla quale non aveva reso alcuna motivazione, le autorità doganali devono procedere alla contabilizzazione a posteriori.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016).
2.3. In questo caso la sentenza presenta una motivazione intelligibile che raggiunge il ‘minimo costituzionale’ , consentendo il controllo sul percorso logico giuridico che ha condotto al rigetto dei motivi d’appello proposti. Affrontando il secondo motivo, relativo all’efficacia dei certificati prodotti, la CTR ha osservato che quegli atti attestavano « semplicemente che il sigillo o la firma in calce alla dichiarazione è quella della RAGIONE_SOCIALE » e non impedivano all’RAGIONE_SOCIALE di « procedere agli accertamenti su cui controverte », accogliendo in sostanza le contestazioni dell’RAGIONE_SOCIALE che aveva negato che ci si trovasse di fronte ad un vero e proprio certificato d’origine « redatto secondo i criteri dell’art. 47 » del Reg. CE n. 2454/1993 (DAC) (v. par. 4 della sentenza impugnata che riporta diffusamente le deduzioni dell’RAGIONE_SOCIALE ), cosicché vi era prova solo della provenienza della dichiarazione dalla RAGIONE_SOCIALE, ma non della spettanza del dazio preferenziale in luogo di quello applicabile alla RAGIONE_SOCIALE, indicata in quei documenti come « speditore ». Esaminando il terzo motivo, con cui si invoca l’esimente di cui all’art. 220 CDC, la CTR cita giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 12719 n. 2018), secondo cui una volta « accertata la falsità dei certificati di origine della merce » incombe sull’importatore l’onere di provare le condizioni di cui all’art. 220 cit. par. 2 lett. b), cit. Non vi è alcun salto logico tra i due passaggi motivazionali perché, una volta inficiato il valore probatorio dei documenti che scortavano la dichiarazione di importazione della merce, restava a carico dell’importatore l’onere di dimostrare la ricorrenza dell’esimente .
Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116, dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 9 par. 2 reg. CE n. 1073/1999, 6 del d.lgs. n. 8/2016, lamentando la violazione della regola del ‘prudente apprezzamento’ nella valutazione degli elementi di prova in particolare, in ordine alla falsità dei certificati e alle risultanze del rapporto OLAF.
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. In disparte la genericità della censura, che non rispetta i principi di specificità e autosufficienza e attacca l ‘apprezzamento svolto dal giudice di merito quanto ai certificati e alle relazioni OLAF senza riportare puntualmente il contenuto di questi atti, la doglianza tende a rimettere in discussione l’accertamento in fatto. La critica si svolge sul piano della valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie ed è inammissibile, perché sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito che è incensurabile nel giudizio di legittimità se correttamente motivato (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019).
3.3. Va rammentato, inoltre, che in tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di valutazione dei fatti, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (per tutte, Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 3572 del 2021).
Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza perché fornita di motivazione apparente, in violazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 e 61 d.lgs. n. 546/1992, 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 1 comma 2 d.lgs. n. 546/1992 e dei principi generali di cui agli artt. 111 commi 6 e 7 cost., con riguardo all’esimente di cui all’art. 220 CDC, essendosi la CTR
limitata a riportare il principio di diritto in materia ma senza confrontarsi con gli elementi di prova addotti dalla contribuente e comprovanti, da un lato, la sua buona fede e, dall’altro, l’errore o i ‘comportamenti passivi’ dell’Autorità doganale; in particolare, con sentenza 22.1.2013 di non luogo a procedere del GUP di Livorno si era riconosciuta la buona fede dell’amministratore della società , NOME COGNOME, e, d’altro canto, l’Autorità doganale non aveva mosso « alcuna obiezione in ordine alla classificazione tariffaria RAGIONE_SOCIALE merci ».
4.1. Il motivo è infondato poiché, anche in questo caso, il percorso motivazionale è chiaramente ricostruibile.
4.2. Va premesso che non si procede alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione, ai sensi dell’art. 220 comma 2, lett. b) CDC, nel momento in cui si verifichino cumulativamente i seguenti tre presupposti: a) che i dazi in questione non siano stati riscossi a causa di un errore RAGIONE_SOCIALE autorità competenti medesime; b) che l’errore di cui si tratta sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore che versi in buona fede; c) che il dichiarante abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana (Corte di Giustizia 18 ottobre 2007, Agrover, C-173/06, punto 30 e giurisprudenza ivi citata, punto 35, Corte di Giustizia 15 dicembre 2011, RAGIONE_SOCIALE, C-409/10, punto 47).
4.3. Se ne deve necessariamente inferire – come anche questa Corte ha più volte avuto modo di affermare – che lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art 220, comma 2, lett. b) CDC, ai fini dell’esenzione dalla contabilizzazione a posteriori, non ha valenza esimente in re ipsa , ma solo in quanto sia riconducibile ad una RAGIONE_SOCIALE situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato anche l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza (Cass. n. 33314 del 2019;
Cass. n. 7674 del 2012); tale errore, tuttavia, per assumere rilievo esimente, deve essere in ogni caso imputabile a un comportamento attivo RAGIONE_SOCIALE autorità doganali non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore o di altri soggetti (Corte di Giustizia, 27 giugno 1991, Mecanarte, C-348/89, punti 19, 23; Corte di Giustizia 18 ottobre 2007, Agrover, cit., punto 31; Corte di Giustizia 10 dicembre 2015, RAGIONE_SOCIALE, C-427/14 punto 46; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2011, RAGIONE_SOCIALE, cit., punto 54; Corte di giustizia, 14 maggio 1996, RAGIONE_SOCIALE, cause riunite C-153/94 e C-204/94, punti 91 e 92), in quanto l’Unione Europea non è tenuta a sopportare le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori rientranti nel rischio dell’attività commerciale, contro cui gli operatori economici possono premunirsi solo nell’ambito dei loro rapporti negoziali (Cass. n. 18187 del 2023; Cass. n. 33314 del 2019; Cass. n. 15758 del 2012; Cass. n. 5199 del 2013). Spetta, in ogni caso, all’importatore che voglia fruire di detta esenzione, dimostrare l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dall’art. 220 CDC ai fini della prova della fattispecie esimente in oggetto, mentre sull’autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di allegare e dimostrare l ‘i rregolarità RAGIONE_SOCIALE certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero dell’imposta a posteriori (Corte di Giustizia, 15 dicembre 2011, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, cit., punto 44 e altra giurisprudenza ivi citata).
4.4. Nell’esposizione dei fatti, l a CTR ha riportato il motivo di gravame relativo all’esimente, incentrato sulla buona fede dell’importatore e sui ‘comportamenti passivi’ dell’Autorità doganale (v. par. 3.3. della sentenza impugnata); in motivazione, poi, ha deciso la questione citando Cass. n. 12719 del 2018, secondo cui incombe sull’importatore l’onere di dimostrare le condizioni dell’esimente di cui all’art. 220 par. 2 lett. d) del CDC, e lasciando così intendere l’insufficienza della prova fornita, in linea
con la cornice sopra riportata secondo cui la buona fede non rileva in re ipsa , ma solo in quanto ricorrano tutte le condizioni esimenti, e deve ricorrere l”errore a ttivo’ dell’Autorità doganale.
Con il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, deducendo le medesime circostanze evidenziate nel precedente motivo che, secondo la ricorrente, denotano, da un lato, la buona fede della società importatrice e, dall’altro, l’errore dell’Amministrazione doganale italiana , rilevanti ai fini dell’esimente di cui all’art. 220 CDC.
5.1. Pur ricorrendo una c.d. ‘doppia conforme’ non opera la preclusione ai sensi dell’art. 348 ter , commi 4 e 5, c.p.c.., poiché le questioni in ordine all’esimente non risultano affrontate dal giudice di primo grado, cosicché le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado sono tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5947 del 2023).
5.2. Il motivo è comunque inammissibile. La censura prevista dal novellato art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 14802 del 2017); non possono considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal
giudice di merito sulla base RAGIONE_SOCIALE prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022).
5.3. In questo caso difetta il preciso fatto storico decisivo, il cui esame sarebbe stato omesso, perché gli elementi di cui si lamenta la mancata considerazione rilevano sul piano della valutazione del materiale probatorio, che resta estraneo al paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. n. 20553 del 2021), e le circostanze evidenziate non sono comunque idonee « ad orientare in senso diverso la decisione » (Cass. n. 37382 del 2022) alla luce di quanto sopra osservato sul contenuto dell’esiment e; si noti, invero, che nella sentenza resa in sede penale del 22.1.2023 si è affermata soltanto la mancanza di prova in ordine al « coinvolgimento soggettivo del COGNOME nell’ipotizzato sistema internazionale di aggiramento del tasso antidumping.. » (v. pag. 33 del ricorso) e che la mancanza di « alcuna obiezione in ordine alla classificazione tariffaria RAGIONE_SOCIALE merci » da parte dell’Autorità doganale può rilevare nel caso in cui il « raffronto tra la voce doganale dichiarata e la designazione espressa dalle merci secondo quanto disposto dalla nomenclatura consentiva di scoprire l’errata classificazione doganale »(Corte giust. 1 aprile 1993, RAGIONE_SOCIALE, C-250/91).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.655,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 18/10/2023.