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Dazio antidumping: la prova spetta all’importatore

Una società importatrice di lampade si è opposta al pagamento di un maggior dazio antidumping, sostenendo la validità dei certificati di origine e la propria buona fede. La Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che l’onere di provare i presupposti per l’esenzione dal dazio spetta interamente all’importatore, specialmente in presenza di indagini OLAF che accertano una diversa provenienza della merce.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dazio Antidumping e Onere della Prova: La Cassazione Chiarisce le Responsabilità dell’Importatore

Nel commercio internazionale, la corretta classificazione dell’origine delle merci è cruciale per determinare i dazi doganali. Un errore può portare all’applicazione di un dazio antidumping, un’imposta aggiuntiva volta a contrastare la vendita di prodotti a prezzi sleali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di una società importatrice di lampade, chiarendo in modo definitivo su chi ricada l’onere della prova in caso di contestazione sull’origine della merce e quali siano i limiti dell’esenzione dal pagamento.

I Fatti: Dai Certificati di Origine alla Contestazione Doganale

Una società specializzata nell’importazione di lampade fluorescenti si è vista recapitare un avviso di rettifica dall’Agenzia delle Dogane per importazioni effettuate tra il 2007 e il 2008. A seguito di indagini dell’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (OLAF), era emerso che la merce, dichiarata come proveniente da un paese con un dazio agevolato, era in realtà di origine cinese e quindi soggetta a un maggiore dazio antidumping.

La società ha impugnato l’atto, sostenendo la validità dei certificati di origine in suo possesso e la propria buona fede. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno respinto le sue argomentazioni. I giudici di merito hanno ritenuto che i certificati avessero un ‘limitato valore probatorio’ e che l’onere di dimostrare i requisiti per non pagare il dazio a posteriori (la cosiddetta ‘esimente’) spettasse interamente all’importatore. La questione è così approdata in Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte sul dazio antidumping

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso presentati dalla società, confermando la decisione dei giudici di merito. L’ordinanza offre spunti fondamentali sull’onere della prova e sulla valutazione dei certificati di origine nel contesto doganale.

Valore Probatorio dei Certificati e Motivazione della Sentenza

La Corte ha stabilito che la motivazione della sentenza d’appello non era affatto ‘apparente’. I giudici avevano chiaramente spiegato perché i certificati di origine non fossero sufficienti a superare le prove raccolte dall’OLAF. Un certificato, secondo la Corte, può attestare ‘semplicemente che il sigillo o la firma in calce alla dichiarazione’ appartengono a un determinato soggetto, ma non impedisce all’Agenzia delle Dogane di svolgere ulteriori accertamenti per verificare la reale provenienza della merce. Di fronte a una contestazione fondata, il valore del certificato viene meno e spetta all’importatore fornire prove più solide.

L’Esimente Doganale: Quando l’Importatore è Esentato dal Pagamento?

Il punto centrale della difesa della società era l’applicazione dell’esimente prevista dall’art. 220 del Codice Doganale Comunitario. Questa norma consente di non procedere alla riscossione a posteriori dei dazi in presenza di tre condizioni cumulative:

1. Un errore commesso dalle stesse autorità doganali.
2. L’errore non era ragionevolmente rilevabile da un operatore diligente e in buona fede.
3. L’operatore ha rispettato tutte le normative vigenti per la sua dichiarazione.

La Cassazione ha ribadito che la buona fede da sola non è sufficiente. È necessario che vi sia un ‘comportamento attivo’ delle autorità doganali che ha indotto in errore l’importatore. Un semplice comportamento passivo, come la mancata contestazione immediata della dichiarazione, non costituisce un errore imputabile all’autorità doganale.

le motivazioni

La Suprema Corte ha fornito motivazioni chiare e rigorose per la sua decisione. In primo luogo, ha sottolineato che il rischio commerciale derivante da dichiarazioni inesatte fornite dai fornitori esteri ricade interamente sull’importatore. Gli operatori economici devono premunirsi contro tali rischi attraverso i loro rapporti negoziali, non potendo scaricare le conseguenze sull’amministrazione doganale.

In secondo luogo, l’onere della prova per ottenere l’esenzione dal pagamento del dazio antidumping è a totale carico dell’importatore. Quest’ultimo deve dimostrare la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla normativa, compreso l’errore attivo dell’autorità doganale. L’Agenzia, dal canto suo, ha solo l’onere di allegare e dimostrare l’irregolarità delle certificazioni presentate. Una volta provata l’inesattezza del certificato, scatta il recupero dell’imposta, salvo prova contraria da parte del contribuente.

Infine, la Corte ha ritenuto inammissibili i motivi con cui la società cercava di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, ricordando che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito.

le conclusioni

L’ordinanza rappresenta un importante monito per tutte le imprese che operano nel settore dell’import-export. La diligenza richiesta non si ferma all’acquisizione di un certificato di origine, ma impone una verifica approfondita e costante della filiera. La buona fede, pur essendo un presupposto necessario, non è una scusante sufficiente di fronte a dichiarazioni errate. In caso di contestazione sul dazio antidumping, sarà l’azienda a dover provare, senza ombra di dubbio, di aver diritto all’esenzione, dimostrando un errore concreto e attivo da parte delle autorità doganali, un compito spesso arduo.

Chi deve provare la corretta origine della merce per evitare un dazio antidumping?
L’onere della prova spetta interamente all’importatore. Di fronte a una contestazione da parte dell’autorità doganale, basata ad esempio su indagini OLAF, è l’importatore che deve dimostrare in modo inequivocabile la correttezza della provenienza dichiarata e la sussistenza di tutte le condizioni per un’eventuale esenzione.

La buona fede dell’importatore è sufficiente per essere esentati dal pagamento a posteriori dei dazi?
No, la buona fede da sola non è sufficiente. Per ottenere l’esenzione dal pagamento, l’importatore deve dimostrare che il mancato pagamento era dovuto a un errore attivo delle autorità doganali, che tale errore non era ragionevolmente rilevabile e di aver rispettato tutte le normative.

Un certificato di origine è una prova incontestabile della provenienza di un prodotto?
No. Secondo la Corte, un certificato di origine ha un valore probatorio limitato e non impedisce all’autorità doganale di effettuare ulteriori accertamenti. Se emergono prove che contraddicono quanto dichiarato nel certificato (come un rapporto OLAF), il suo valore viene meno e l’onere di provare l’origine ricade sull’importatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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