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Dazi antidumping: quando la buona fede non basta

Una società importatrice ha contestato il recupero di dazi antidumping non versati per merci la cui origine era stata falsamente dichiarata come malese anziché cinese. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la presunta buona fede dell’importatore non è sufficiente a esonerarlo dal pagamento. La Corte ha chiarito che non sussiste un ‘errore dell’autorità doganale’, poiché sull’importatore grava l’onere di verificare con diligenza professionale l’origine della merce. L’abrogazione successiva dei dazi non ha effetto retroattivo per il rimborso.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dazi Antidumping e Buona Fede: La Cassazione Chiarisce le Responsabilità dell’Importatore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per le aziende che operano nel commercio internazionale: la responsabilità per il pagamento dei dazi antidumping in caso di false dichiarazioni di origine. La decisione chiarisce che la sola buona fede dell’importatore non è sufficiente a salvarlo dal recupero dei tributi evasi se non dimostra di aver agito con la massima diligenza professionale. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti del Caso: Importazioni Sospette e l’Indagine dell’OLAF

Una società italiana importava elementi di fissaggio (viti e bulloni) dichiarando che provenissero dalla Malesia, ottenendo così un trattamento daziario preferenziale. Tuttavia, un’indagine dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha svelato una realtà diversa: la merce era prodotta in Cina, soggetta a pesanti dazi antidumping, e veniva semplicemente trasbordata in una zona franca della Malesia per occultarne la vera origine prima di essere spedita in Europa.

A seguito di questa scoperta, l’Agenzia delle Dogane ha emesso avvisi di rettifica per recuperare i maggiori diritti evasi. La società ha impugnato tali atti, dando il via a un contenzioso tributario che è giunto fino in Cassazione.

L’Appello e le Argomentazioni della Società

Davanti ai giudici, la società importatrice ha basato la sua difesa su tre argomentazioni principali:

1. Applicazione retroattiva di un nuovo regolamento: Sosteneva che un regolamento UE successivo, che abrogava i dazi in questione, dovesse applicarsi anche al suo caso, consentendo il rimborso.
2. Errore dell’autorità doganale: Affermava che la mancata riscossione iniziale dei dazi fosse dovuta a un errore delle autorità doganali e che essa avesse agito in buona fede, basandosi sui certificati forniti dall’esportatore.
3. Errata applicazione normativa: Contestava l’applicazione di specifici regolamenti europei da parte dell’Agenzia delle Dogane.

La Decisione della Cassazione sui dazi antidumping

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso della società, confermando la legittimità del recupero dei dazi antidumping. I giudici hanno smontato una per una le argomentazioni difensive.

L’Irretroattività dell’Abrogazione dei Dazi

In primo luogo, la Corte ha definito ‘eccentrica’ l’interpretazione del nuovo regolamento UE. Il testo normativo specificava chiaramente che l’abrogazione dei dazi non consentiva il rimborso di quelli riscossi prima della sua entrata in vigore. Pertanto, non poteva esserci alcuna applicazione retroattiva a favore della società.

L’Insussistenza dell’Errore Doganale e la Diligenza dell’Importatore

Questo è il punto centrale della decisione. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: per evitare la cosiddetta ‘contabilizzazione a posteriori’ dei dazi in base all’articolo 220 del Codice Doganale Comunitario, non basta invocare la propria buona fede. L’importatore deve dimostrare tre condizioni:

1. Un errore attivo commesso dalle autorità doganali.
2. La natura dell’errore era tale da non poter essere ragionevolmente scoperto da un operatore diligente.
3. L’importatore ha agito in buona fede e rispettato tutte le normative.

Nel caso specifico, la Corte ha chiarito che la semplice accettazione di una dichiarazione doganale (poi rivelatasi falsa) non costituisce un ‘errore attivo’ dell’autorità. La responsabilità della correttezza delle informazioni ricade sul dichiarante. Inoltre, la buona fede non si presume, ma va provata dimostrando di aver agito con la ‘diligenza qualificata’ richiesta a un operatore professionale (ex art. 1176 c.c.), che include un controllo esigibile sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di tutelare il sistema doganale e di non far ricadere sulla collettività le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori esteri. L’affidamento dell’importatore è protetto solo quando sono le stesse autorità doganali a indurlo in errore con un comportamento attivo, non con una mera omissione di controllo. L’importatore, in quanto professionista del settore, ha il dovere di adottare tutte le cautele necessarie per verificare l’origine della merce, specialmente quando ciò comporta l’applicazione di un regime daziario di favore. La presentazione di un certificato di origine, anche se inizialmente accettato, non preclude successivi controlli ‘a posteriori’ per verificarne la veridicità.

le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale nel diritto doganale: la responsabilità primaria dell’importatore. Le aziende non possono limitarsi ad accettare passivamente i documenti forniti dai loro partner commerciali esteri, ma devono implementare procedure di verifica e due diligence per assicurarsi della correttezza delle dichiarazioni. La ‘buona fede’ non è uno scudo automatico, ma una condizione che va costruita e provata attraverso un comportamento attivo e diligente. In assenza di ciò, il rischio di recupero di dazi antidumping e sanzioni rimane interamente a carico dell’impresa.

L’abrogazione di un dazio antidumping consente di chiedere il rimborso dei dazi già pagati?
No, la Corte ha stabilito che la norma di abrogazione non è retroattiva e non permette il rimborso dei dazi riscossi prima della sua entrata in vigore, se non espressamente previsto.

Se un importatore riceve certificati di origine falsi dall’esportatore, può evitare di pagare i dazi sostenendo di aver agito in buona fede?
No, la sola buona fede non è sufficiente. L’importatore ha l’onere di dimostrare di aver agito con la diligenza professionale qualificata, che include l’adozione di misure concrete per verificare l’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore.

L’accettazione di una dichiarazione doganale poi rivelatasi errata costituisce un ‘errore dell’autorità doganale’ che impedisce il recupero dei dazi?
No. Secondo la giurisprudenza costante, per configurare un errore dell’autorità doganale che esoneri l’importatore è necessario un comportamento attivo da parte delle autorità, non la semplice accettazione passiva di dichiarazioni inesatte, la cui responsabilità ricade sul dichiarante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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