Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18767 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18767 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25860 -20 19 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, domicilia;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME;
– intimata –
nonché
sul ricorso iscritto al n. 26353 -20 19 R.G. proposto da:
Oggetto: Dogane-Dazi antidumping-
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso lo studio legale del predetto ultimo difensore;
– ricorrente (incidentale) –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, domicilia;
– intimata –
entrambi avverso la sentenza n. 162/06/2019 della RAGIONE_SOCIALE tributaria regionale della LIGURIA, depositata in data 04/02/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/04/2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
L’Amministrazione doganale:
sulla scorta della segnalazione degli organi esecutivi della RAGIONE_SOCIALE per la lotta antifrode (OLAF) di cui al Reg. (CEE), 23 maggio 1999, n. 1073, non ancora culminata in un rapporto finale, da cui emergeva che la RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2011 aveva importato prodotti (viti e bulloni) realizzati a Taiwan e non nelle Filippine, come invece dichiarato negli atti di importazione, con conseguente inapplicabilità del dazio preferenziale applicato alle merci provenienti dalle Filippine;
rilevata la violazione da parte della RAGIONE_SOCIALE del Reg. (CE) n. 771/2005, istitutivo del dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di taluni elementi di acciaio inossidabile e di loro parti originari di alcuni paesi asiatici, tra i quali Taiwan, ed il Reg. (CE)
1890/2005 (come modificato dal reg. n. 768/2009), istitutivo del
dazio antidumping definitivo;
provvedeva alla revisione su base documentale RAGIONE_SOCIALE bollette doganali relative ai beni importati presso il porto di Genova ne ll’ anno 2011, e, quindi, ad emettere nei confronti dell’importat rice RAGIONE_SOCIALE e dello spedizioniere doganale RAGIONE_SOCIALE, quale condebitore solidale in quanto rappresentante indiretto dell’importatrice, gli avvisi di rettifica dell’accertamento n. 2594 e n. 6483 nonché nei confronti della sola società importatrice gli atti di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni n. 2597 e n. 6484.
A seguito dell’ impugnazione di detti atti da parte della sola RAGIONE_SOCIALE, la CTP di Genova con sentenza n. 2625/05/2014, in parziale accoglimento del ricorso , riduceva l’aliquota del dazio antidumping dal 23,6 al 16,1 per cento.
La CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della RAGIONE_SOCIALE con la sentenza in epigrafe indicata rigettava l’appello principale della società contribuente e quello incidentale dell’Ufficio confermando la statuizione di primo grado.
3.1. I giudici di appello ritenevano di condividere le considerazioni espresse dai giudici di primo grado, attribuendo rilevanza probatoria agli accertamenti compiuti dall’OLAF da cui risultava la corrispondenza dei codici indicati nelle polizze di carico RAGIONE_SOCIALE merci relative alla tratta Taiwan – Filippine con quelli riportati nella fattura allegata alle dichiarazioni di importazione nelle Filippine e in Italia e che l’analisi complessiva della documentazione – copie RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni doganali di importaz ione ed esportazione, polizze di carico, packing list e fatture – aveva permesso di accertare la perfetta coincidenza dei carichi provenienti da Taiwan. Ritenevano, inoltre, corretto applicare l’ultimo dazio antidumping nella misura del 16,1 per cento riferibile al prodotto finito in Italia.
Avverso tale statuizione l’RAGIONE_SOCIALE propone va ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replicava l’intimata.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE proponeva a sua volta separato e successivo ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui non replicava l’intimata.
La società contribuente depositava memoria e con atto del 3 marzo 2023 avanzava istanza di sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge n. 197 del 2023, contestualmente manifestando l’intenzione di avvalersi della definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie di cui alla predetta legge.
Questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 20367 del 2023, adottata a seguito di altra ordinanza interlocutoria, n. 7373 del 2023, emessa ai sensi dell’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ., lette le conclusioni rassegnate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, con memoria del 29/03/2023, disponeva la sospensione del processo previa riunione dei due giudizi.
Con istanza del 10 ottobre 2023 la società contribuente, dando atto di non aver aderito alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie di cui alla legge n. 197 del 2022, ha chiesto fissarsi l’udienza di discussione della causa.
Considerato che:
Va preliminarmente ribadita la riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, già disposta con ordinanza interlocutoria n. 7373 del 2023, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza della CTR RAGIONE_SOCIALE (n. 162/06/2019) con la conseguenza che, pur essendo stati notificati nella stessa data (03/09/2019), quello della società contribuente risulta essere stato depositato successivamente a quello de ll’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , sicché
quest’ultimo va qualificato come ricorso principale (cfr. Cass. n. 25662 del 2014)
Venendo, quindi al merito del ricorso principale (quello dell’RAGIONE_SOCIALE) , con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la difesa erariale censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione del ‘considerando 930’ del Reg (CE) n. 1890/2005 e dell’art. 2697 cod. civ.
2.1. Sostiene la ricorrente che la CTR nel ritenere applicabile il dazio antidumping ridotto (del 16,1 per cento anziché del 23,6 per cento) aveva violato il Reg (CE) n. 1890/2005 che nel ‘considerando 930’ consentiva la riduzione del dazio soltanto alle importazioni di prodotti fabbricati da alcune società nominativamente individuate e menzionate nel regolamento, tra cui anche la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ma la società contribuente non aveva dimostrato che queste fossero le produttrici RAGIONE_SOCIALE merci importate.
Il motivo va esaminato congiuntamente al terzo motivo del ricorso incidentale con cui la società contribuente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 mancando la stessa di una coerente esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di rigetto dell’appello sia principale dell’RAGIONE_SOCIALE che incidentale di essa società in relazione all’applicazione del dazio antidumping nella misura del 16,1 per cento.
I motivi sono fondati.
4.1. Invero, la CTR si è limitata ad affermare che era corretto applicare « l’ultimo dazio antidumping » nella misura del 16,1 per cento, in quanto « riferibile al prodotto finito in Italia », con ciò però fornendo una non adeguata giustificazione RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte a sostegno della decisione assunta al riguardo, pure violando le disposizioni censurate dalla ricorrente principale che consentono
l’applicazione del dazio calmierato alle condizioni indicate dalla stessa ricorrente, in quanto previste dal citato regolamento CE, restando a carico della società contribuente, che di quel dazio agevolato chiede l’applicazione, la prova della lavorazione RAGIONE_SOCIALE merci importate in Italia dalle società indicate nel regolamento, nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, società che, peraltro, la stessa controricorrente sostiene, a pag. 2 del ricorso incidentale, non aver prodotto le merci oggetto di importazione.
Con il secondo motivo del ricorso principale, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la difesa erariale deduce l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sul motivo di appello con cui aveva eccepito l’irripetibilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni a seguito della definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE stesse, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, cui aveva aderito la società contribuente.
Il motivo, che è autosufficiente, avendo la ricorrente riprodotto il contenuto della domanda proposta in appello, è fondato e va accolto in quanto la CTR ha omesso di pronunciare sulla questione dell’adesione della società contribuente alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE sanzioni ai sensi della sopra citata disposizione e RAGIONE_SOCIALE relative conseguenze giudiziali.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la società controricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione del l’art. 115 cod. proc. civ. , sostenendo che la CTR era incorsa in errore nella percezione del contenuto dei documenti prodotti in giudizio ed allegati agli avvisi di accertamento impugnati, in particolare, sostenendo che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, i codici doganali e la denominazione commerciale RAGIONE_SOCIALE merci indicate nei documenti in import dalle Filippine erano diversi da quelli in export verso l’Italia, mentre i codici indicati nella polizza di carico corrispondenti al purchase
order (PO), ovvero il codice identificativo dell’ordine, erano gli stessi di quelli indicati sulla fattura all’importazione in Italia «in quanto gli ordini di semilavorati corrispondono a quelli per i prodotti finiti, ma ciò non implica la corrispondenza del prodotto» (ricorso, pag. 9).
Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
8.1. Innanzitutto, perché «il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una RAGIONE_SOCIALE parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass., Sez. U, n. 5792 del 05/03/2024). Nella specie, trattandosi di fatto sostanziale, la doglianza doveva essere veicolata attraverso la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. e non, invece, quale error in iudicando , come ha fatto la ricorrente incidentale.
8.2. In secondo luogo, per difetto di decisività del dedotto travisamento della prova relativa alle polizze di carico ed ai codici in esse indicati. Invero, la CTR ha ritenuto provata la pretesa dell’amministrazione doganale non solo sulla base di detti documenti ma a seguito della «analisi complessiva della documentazione», ovvero RAGIONE_SOCIALE «copie RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni doganali di importazione ed esportazione, polizze di carico, packing list e fatture», sicché era onere della ricorrente incidentale, nella specie non assolto, provare che in assenza del dedotto travisamento, la
decisione sarebbe stata diversa, in termini non di mera probabilità ma di assoluta certezza (Cass. n. 13918 del 2022).
Con il secondo motivo del ricorso incidentale viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto Reg. 1073/99 sulla efficacia probatoria del report finale NOME e art. 2697 c.c. sulla ripartizione dell’onere probatorio».
9.1. Si sostiene che nel caso di specie la Dogana non aveva prodotto in giudizio il report finale dell’NOME, avendovi invece provveduto essa parte privata e che lo stesso non aveva «il carattere e dunque il valore di una ‘Relazione conclusiva’ ai sensi del reg. CE 1073/99» , in particolare dell’art. 9 in base al quale le relazioni NOME sono paragonabili ai verbali RAGIONE_SOCIALE Autorità nazionali se ne abbiano tutti i requisiti; che le due relazioni NOME del 2013 e del 2015, cui l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE faceva riferim ento, erano successive all’instaurazione dei contenziosi e non presentavano alcuna caratteristica riconducibile ai processi verbali degli organi verificatori italiani, mancando dei requisiti di specificità e di diretta valutazione RAGIONE_SOCIALE prove raccolte nell ‘istruttoria; che il Report del 2013 riportava soltanto ‘serious doubts’ sulla legittimità del trattamento preferenziale della merce importata dalle Filippine, mentre la Relazione finale del 2015 «pare riferire che, cessate le attività di Canu e Tapu dal 2012, non era più possibile acquisire ulteriori informazioni sull’attività ivi svolta» (ricorso, pag. 13); che le indagini NOME non avevano consentito di rintracciare il produttore della merce, né il Paese di origine (ma soltanto un viaggio di provenienza anteriore a quello nelle Filippine); che non era stata offerta nessuna prova effettiva di transhipment ma anzi dai documenti di importazione prodotti dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE emergeva l’identità dei codici della polizza di carico che indicavano, correttamente e logicamente, la coincidenza di peso e di colli tra le
merci semilavorate, in entrata, e quelle poi finite, in uscita, mentre erano diversi i codici doganali relativi alle importazioni a Taiwan di semilavorati e quelli relativi alla successiva esportazione.
10. Orbene, nella specie, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente incidentale, la CTR non è incorsa nelle dedotte violazioni di legge (violazione o falsa applicazione del Reg. 1073/99 sull’efficacia probatoria del report finale NOME e dell’art. 2697 c.c. sulla ripartizione dell’onere probatorio) essendosi attenuta al principio giurisprudenziale secondo cui «in tema di tributi doganali, come chiarito da questa Corte (Cass. n. 12385 del 2021, in motivazione), gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF ai sensi del Regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio n 1073 del 1999, per la loro formazione ed il valore di atti pubblici ad essi attribuibile, hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria ( ex plurimis , Cass. sez. 5, 11/05/2018, n. 11441, Rv. 648020-01; Cass. sez. 5, 21/04/2017, n. 10118/, Rv. 644042-02, oltre che le precedenti Cass. sez. 5, 06/07/2016, n. 13770, Rv. 640616-01, Cass. sez. 5, 08/03/2013, n. 5892, Rv. 625397-01). Peraltro, in ragione della rilevanza che ha nella fattispecie, va ricordato che ai fini della verifica della provenienza RAGIONE_SOCIALE merci, l’art. 9, comma 2, del citato Reg. CE n. 1073/1999, considera equipollenti la relazione redatta dall’OLAF al termine RAGIONE_SOCIALE indagini e le relazioni redatte dagli ispettori amministrativi dello RAGIONE_SOCIALE membro, tanto ai fini RAGIONE_SOCIALE «regole di valutazione» applicabili quanto ai fini del «valore» riconoscibile secondo la disciplina legislativa dello RAGIONE_SOCIALE membro. Ne deriva l’assenza di alcuna limitazione in ordine all ‘ utilizzabilità nei procedimenti amministrativi e giudiziari dello RAGIONE_SOCIALE membro anche di altre fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF, come è dato evincere dall’art. 9, comma 3, e dall’art. 10,
comma 1, del medesimo regolamento, i quali prevedono la trasmissione alle autorità degli Stati membri interessati, rispettivamente, di «ogni documento utile» acquisito e la comunicazione di «qualsiasi informazione» ottenuta nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini (Cass. sez. 5, 03/08/2012, n. 14036, Rv. 623913-01, oltre che la successiva conforme Cass. sez. 5, 30/01/2020, n. 2139, Rv. 656818-01). Ne consegue quindi l’utilizzabilità quali fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF anche dei documenti acquisiti e della comunicazione di qualsiasi informazione ottenuta nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini espletate, compresi, peraltro, i verbali RAGIONE_SOCIALE operazioni di missione ( ex plurimis , Cass. sez. 5, 08/03/2013, n. 5892, Rv. 625397-01), mentre deve escludersi che abbia rilevanza esclusiva il rapporto finale, che potrebbe anche mancare.
11. Piuttosto va osservato che il motivo, per le argomentazioni in esso svolte, è inammissibile in quanto, in realtà, disvela un vizio motivazionale ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., con cui la difesa della società contribuente sollecita la Corte ad una rivalutazione del materiale istruttorio in atti, diversa da quella svolta dai giudici di appello e , com’è noto, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità RAGIONE_SOCIALE fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass., Sez. 3, 1.6.2021, n. 15276, Rv. 661628-01).
11.1. Ed in effetti è questo che la ricorrente incidentale richiede a questa Corte con il mezzo di impugnazione in esame che, seppur dedotto come violazione di legge, in realtà è diretto a censurare la valutazione effettuata dai giudici di merito del materiale probatorio,
richiedendo a questa Corte una non consentita rivalutazione degli stessi.
12. Con il quarto motivo del ricorso incidentale viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto del reg. 1890/2005 e 771/2005 sul prezzo all’importazione in presenza di presunta elusione e dell’art. 13 , Reg. 384/1996 sulla presunta elusione».
12.1. Si sostiene che la sentenza impugnata è errata là dove applica il dazio antidumping sul prezzo di fattura e di importazione dei beni nella Comunità e non invece sul prezzo di esportazione da Taiwan. Si sostiene, altresì, che, in ogni caso, sarebbe legittimo applicare tale dazio sul prezzo di fattura di merci che escono dalla fabbrica taiwanese ma «NON certamente sui beni oggetto di almeno due vendite e di più di due viaggi, i cui costi sono evidentemente inclusi nel prezzo indicato all’importazione» ( ricorso, pag. 19); che «non è corretto dunque applicare la misura di antidumping, studiata dalla RAGIONE_SOCIALE su un prezzo medio statistico dei prodotti applicato all’esportazione da Taiwan, ritenuto in dumping rispetto al mercato comunitario, ad un valore che ovviamente e logicamente non corrisponderà mai al prezzo di esportazione RAGIONE_SOCIALE fabbriche taiwanesi, immancabilmente e sensibilmente più basso» (ricorso, pag. 20); che aveva errato la CTR nel ritenere applicabile, in violazione dell’art. 13 del Reg. 384 /1996, il dazio antidumping cosiddetto ‘elusivo’ in assenza di contestazione e della prova dell’elusione, ossia della volontà dell’importatore di voler eludere specificamente i dazi all’importazione.
Il motivo è infondato in quanto sia il Reg. CE n. 771/2005 del 20/05/2005, istitutivo di un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni in oggetto, sia il successivo Reg. CE n. 1890 del 14/11/2005 prevedono espressamente che l ‘aliquota del dazio
antidumping definitivo si applica «al prezzo netto franco frontiera comunitaria» (rispettivamente art. 2 nonché art. 3 dei Regolamenti citati).
13.1. Peraltro, la ricorrente incidentale incentra la questione sull’esistenza di maggiorazioni dei prezzi conseguenti alle vicende commerciali RAGIONE_SOCIALE merci importate (come, ad es. maggiori «costi di trasporto assicurazione e margine») semplicemente ipotizzati come normali in ipotesi di più passaggi commerciali, di cui però non offre alcuna dimostrazione, il motivo rilevandosi sotto tale profilo anche inammissibile in quanto privo di specificità ed autosufficienza.
13.2. Difficile, poi, escludere l’intento elusivo della società contribuente atteso che i regolamenti comunitari istitutivi di dazi antidumping sulle importazioni provenienti da Taiwan e riferibili ai produttori/esportatori Min RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, coinvolti nella presente vicenda, sono stati emanati nel 2005 e, quindi, in epoca di molto antecedente alle importazioni oggetto di verifica (anno 2011).
Con il quinto motivo del ricorso incidentale viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «illegittima applicazione implicita ed indiretta del Reg. 205/2013», per fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.
Il motivo è inammissibile in quanto in nessun passaggio motivazionale della sentenza impugnata emerge l’applicazione alla società contribuente di tale regolamento comunitario e, come ammesso dalla stessa ricorrente incidentale, anche «l’Ufficio non invoca espressamente il reg. CE 205/2013» (controricorso, pag. 22).
Con il sesto motivo del ricorso incidentale viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia della CTR sulla domanda avanzata in via subordinata da essa società contribuente in relazione all’applicazione dell’art. 220
CDC, ovvero di sgravio del maggior dazio dovuto per errore riconducibile all’autorità doganale estera e la buona fede di essa società importatrice. Deduce, con lo stesso motivo, anche la violazione e falsa applicazione della citata disposizione.
Le censure sono infondate.
17.1. La prima, perché la domanda, anche se non espressamente esaminata, risulta comunque incompatibile con la statuizione di merito, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto della stessa (Cass. n. 24953 del 2020).
17.2. Quanto alla seconda censura osserva il Collegio che in materia doganale e, più specificamente, in tema di imposizione fiscale RAGIONE_SOCIALE importazioni, l’art. 220, comma 2, lett. b), del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cosiddetto Codice doganale comunitario), prevede un’ esenzione là dove preclude la contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale in presenza di un errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore.
17.3. Assume la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15297 del 2008, richiamata da Cass. n. 26004 del 2013 e da Cass. n. 22647 del 2019; v. anche per una ampia ricostruzione Cass. n. 28359 del 2019), che l’esenzione in esame, che è diretta a tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi, richiede per la sua applicazione un compiuto esame da parte del giudice sulla ricorrenza della buona fede che deve essere dimostrata dal soggetto che intende avvalersi dell’agevolazione, attraverso la prova della sussistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla norma perché resti impedito il recupero daziario, ed in particolare: a) un errore imputabile alle autorità competenti; b) un errore di natura tale da non poter essere riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, ed in ogni caso determinato da un
comportamento attivo RAGIONE_SOCIALE autorità medesime, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dell’operatore; c) l’osservanza da parte del debitore di tutte le disposizioni previste per la sua dichiarazione in dogana dalla normativa vigente. Pertanto, le Autorità doganali devono procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali, a meno che sussistano contemporaneamente tutte le condizioni poste dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913/1992 del Consiglio del 12 ottobre 1992, come sopra richiamate; in particolare, detto errore non può consistere nella mera ricezione di dichiarazioni inesatte dell’esportatore, dato che l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne la veridicità, ma richiede un comportamento attivo, perché il legittimo affidamento del debitore è protetto solo se le autorità competenti hanno determinato i presupposti su cui si basa la sua fiducia, mentre la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (Cass. civ., n. 4022/2012). Inoltre, l’esenzione prevista dall’art. 220, comma 2, lett. b), del Codice doganale comunitario, che preclude la contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale in presenza di un errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore, presuppone la genuinità del certificato di origine, cioè la sua regolarità formale e sostanziale. Di conseguenza spetta all’importatore che intende usufruire dell’esenzione dimostrare l’origine della merce che importa e, in ogni caso, il suo stato soggettivo di buona fede, mediante la prova della sussistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla citata norma, mentre all’Autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di dare dimostrazione RAGIONE_SOCIALE irregolarità RAGIONE_SOCIALE certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza necessità di alcun procedimento intermedio che convalidi la non autenticità,
provvedendo gli stessi organi dell’esecutivo comunitario a fornire tramite le disposte commissioni di inchiesta le conclusioni cui debbono attenersi le Autorità nazionali (Cass. civ., n. 13680/2009). Va, inoltre, osservato che, ai fini della configurazione dell’errore attivo dell’autorità doganale del paese di esportazione, la non rilevanza della falsa informazione fornita dall’esportatore può essere presa in considerazione solo ove risulti, con evidenza, che la stessa era informata o doveva esserlo della non operatività dell’esenzione (così in Cass. n. 22647 del 2019).
17.4. Si è quindi affermato (Cass. n. 12719 del 2018) che «In tema di dazi doganali, ove venga accertata la falsità dei certificati di origine della merce, le autorità devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi, salvo che l’importatore fornisca la prova RAGIONE_SOCIALE condizioni richieste dall’art. 220, par. 2, lett. b), del cd. Codice doganale comunitario, senza che, rispetto allo stato soggettivo di buona fede, assuma rilevanza l’effettiva consapevolezza da parte dello stesso circa la veridicità RAGIONE_SOCIALE informazioni fornite dall’esportatore alle autorità del proprio RAGIONE_SOCIALE, essendo, piuttosto, il debitore tenuto a dimostrare che, per tutta la durata RAGIONE_SOCIALE operazioni commerciali in questione, ha agito con la diligenza qualificata richiesta, in ragione dell’attività professionale di importatore svolta, ex art. 1176, comma 2, c.c., per verificare la ricorrenza RAGIONE_SOCIALE condizioni per il trattamento preferenziale, mediante un esigibile controllo sull’esattezza RAGIONE_SOCIALE informazioni rese dall’esportatore».
17.5. Cass. n. 33314 del 2019 ha, quindi, ribadito che «In tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220, paragrafo 2, lett. b), del regolamento CEE n. 2913 del 1992 a fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori”, non ha valenza “in re ipsa”, ma solo in quanto sia riconducibile a situazioni fattuali individuate dalla
normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, e che, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile al comportamento attivo RAGIONE_SOCIALE autorità doganali, non rientrandovi quello indotto dalle dichiarazioni inesatte dello stesso operatore».
17.6. Tali principi si ispirano a quelli unionali secondo cui:
l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale dev’essere interpretato nel senso che un importatore può invocare il legittimo affidamento, ai sensi di tale disposizione, al fine di opporsi ad una contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione, eccependo la propria buona fede, solo qu alora ricorrano tre condizioni cumulative. Occorre, anzitutto, che tali dazi non siano stati riscossi a causa di un errore RAGIONE_SOCIALE autorità competenti medesime, quindi, che l’errore di cui trattasi sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede e, infine, che quest’ultimo abbia rispettato tutte le disposizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana. Tale legittimo affidamento non sussiste, in particolare, qualora un importatore, sebbene abbia evidenti ragioni per dubitare dell’esattezza di un certificato di origine «modulo A», si sia astenuto dall’informarsi, nella massima misura possibile, RAGIONE_SOCIALE circostanze del rilascio di tale certificato per verificare se tali dubbi fossero giustificati (Corte di giustizia, sentenza 16 marzo 2017 nella causa C-47/16, Valsts ieņēmumu dienests; Corte di giustizia, sentenza 15 dicembre 2011 in causa C-409/10, INDIRIZZO).
17.7. Orbene, nel caso in esame, quelle svolte dalla ricorrente incidentale in ordine ad errori imputabili alle Autorità filippine sono mere argomentazioni prive di qualsivoglia riscontro anche documentale, così come nessuna prova risulta essere stata fornita
dalla predetta società circa la propria buona fede che, in ogni caso, andrebbe esclusa già per il fatto che i regolamenti comunitari istitutivi di dazi antidumping sulle importazioni provenienti da Taiwan e riferibili ai produttori/esportatori COGNOME e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, coinvolti nella presente vicenda, sono stati emanati nel 2005 e, quindi, in epoca di molto antecedente alle importazioni oggetto di verifica (anno 2011). Il che avrebbe dovuto indurre la società contribuente ad usare la diligenza massima per un operatore accorto.
La ricorrente incidentale, infine, dichiara (a pag. 29 del proprio ricorso) di riproporre «tutti i motivi di impugnazione ritenuti implicitamente assorbiti dalla pronuncia impugnata» con i quali aveva dedotto.
la «violazione art. 12, Statuto del contribuente. Diritto al contraddittorio. Violazione art. 11 d.lgs. 374 del 1990 e art. 78 c.d.c.>;
la «violazione del diritto di difesa. Mancata attivazione della cooperazione amministrativa»;
-«Sulla presunta elusione daziaria a carico dell’esponente e sulla buona fede dello stesso»;
-«Sulle sanzioni. Buona fede dell’esponente. Violazione dell’art. 5 d.lgs. d.lgs. n. 472 del 1997 del 1997»;
« Inapplicabilità dell’art. 303 t.u.l.d. all’erronea indicazione d’origine»;
« Violazione e dell’art. 17 d.lgs. d.lgs. n. 472 del 1997 del 1997»;
-«Contrasto con l’art. 21, reg CEE 450/08 e rimessione alla Corte di Giustizia della questione di compatibilità dell’art. 303 tuld con il principio comunitario della proporzionalità»;
-«Sull’illegittima applicazione del concorso RAGIONE_SOCIALE sanzioni».
18.1. Al riguardo precisa (a pag. 41) che «fermo restando quanto sopra, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. ed occorrendo anche ex art. 371 c.p.c., richiama e si riserva di riproporre tutti i motivi d’impugnazione dedotti nel ricorso in appello, che non sono stati esaminati dal Giudice a quo , in quanto espressamente ritenuti assorbiti dalla pronuncia sull’infondatezza dell’accertamento».
18.2. Tale ultima affermazione lascia fondatamente presumere che la ricorrente incidentale si sia limitata ad elencare i motivi d’impugnazione non esaminati dai giudici di appello e rimasti, quindi, assorbiti, manifestando l’intenzione di ripropor li nell’eventuale giudizio di rinvio , giacché, diversamente, ove si volesse ritenere, nella non del tutto chiara intenzione perseguita dalla parte, che quelli sopra elencati costituiscano ulteriori motivi di ricorso incidentale, allora gli stessi sarebbero inammissibili.
18.3. Innanzitutto, per difetto di specificità e chiarezza RAGIONE_SOCIALE censure, non essendo neppure indicato in relazione a quali dei diversi parametri di cui all’art. 360 cod. proc. civ. vengono dedotte .
18.4. Inoltre, perché la parte introduce argomentazioni e questioni giuridiche del tutto nuove, di cui non v’è cenno nella decisione impugnata e che non sono state localizzate se, come e quando proposte nei precedenti gradi di merito. Non specifica, infatti, in quale parte dei giudizi di merito aveva dedotto la «Inapplicabilità dell’art. 303 t.u.l.d. all’erronea indicazione d’origine» e le censure relative alle sanzioni applicate, non rinvenendosene alcuna menzione nella sentenza impugnata, in cui si fa esp licito riferimento, oltre all’«errato riconoscimento del trasbordo di merce» ed «errata liquidazione del dazio antidumping», soltanto alla violazione dell’art. 12 dello Statuto del contribuente, dell’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 e dell’art. 78 del CDC, nonché a censure di carenza di prove e di legittimazione passiva, nonché di violazione del diritto di difesa.
18.5. A quanto detto aggiungasi l’ulteriore rilievo che la parte avrebbe dovuto censurare la statuizione di assorbimento in quanto adottata in assenza di motivazione e non, invece, riproporre i motivi di appello rimasti assorbiti, sicché le relative censure sono inammissibili.
18.6. Al riguardo deve ricordarsi il principio giurisprudenziale in base al quale «La figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa» (Cass. n. 28995 del 2018).
19. In estrema sintesi, vanno accolti il primo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo di quello incidentale, con rigetto di tutti gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese processuali del presente giudizio di legittimità.
accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale nonché il terzo motivo del ricorso incidentale e rigetta tutti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 30 aprile 2024