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Dazi antidumping: onere della prova e OLAF report

Una società importatrice è stata accusata di aver eluso i dazi antidumping dichiarando che la merce proveniva dalle Filippine anziché da Taiwan. La Corte di Cassazione, basandosi sui report dell’OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode), ha stabilito che spetta all’importatore l’onere della prova per accedere a un’aliquota ridotta. La Corte ha confermato il pieno valore probatorio delle indagini OLAF e ha cassato la sentenza precedente per carenza di motivazione, rinviando il caso a un nuovo esame.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dazi Antidumping: La Cassazione detta le regole su onere della prova e valore dei report OLAF

L’applicazione dei dazi antidumping è una materia complessa e cruciale per le aziende che operano nel commercio internazionale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti fondamentali su due aspetti chiave: l’onere della prova a carico dell’importatore per ottenere un’aliquota agevolata e il valore probatorio delle indagini condotte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF). La vicenda riguarda una società accusata di aver eluso dazi più onerosi dichiarando un’origine della merce diversa da quella reale.

Il caso: l’origine controversa delle merci

Una società importava in Italia prodotti (viti e bulloni) dichiarando come paese d’origine le Filippine, beneficiando così di un regime daziario preferenziale. Tuttavia, l’Agenzia delle Dogane, sulla base di una segnalazione dell’OLAF, contestava tale provenienza. Secondo le indagini, la merce era in realtà prodotta a Taiwan e solo transitata per le Filippine, una pratica nota come transhipment, finalizzata a eludere i più alti dazi antidumping previsti per le importazioni da Taiwan. Di conseguenza, l’Amministrazione doganale emetteva avvisi di accertamento per il recupero dei maggiori dazi e l’applicazione di sanzioni.

Le decisioni dei giudici di merito

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari avevano parzialmente accolto le ragioni della società. In particolare, pur riconoscendo la provenienza da Taiwan, avevano applicato un’aliquota ridotta (16,1% anziché 23,6%), ritenendo che tale misura fosse corretta per il prodotto finito importato in Italia. Sia l’Agenzia delle Dogane sia la società importatrice proponevano ricorso in Cassazione contro questa decisione.

L’analisi della Corte di Cassazione sui dazi antidumping

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione di merito, accogliendo i motivi principali dell’Agenzia delle Dogane e chiarendo principi fondamentali in materia.

Onere della prova per i dazi ridotti

Il punto centrale della decisione riguarda l’onere della prova. La Corte ha stabilito che l’applicazione di un’aliquota antidumping ridotta è un beneficio condizionato. Spetta alla società contribuente, e non all’amministrazione, dimostrare di possedere tutti i requisiti per accedervi. Nel caso specifico, l’aliquota agevolata era prevista solo per le merci prodotte da specifiche società taiwanesi nominate nel regolamento comunitario. L’azienda importatrice non aveva fornito alcuna prova che le sue merci provenissero da tali produttori. La Corte d’Appello, limitandosi ad affermare che l’aliquota ridotta era “riferibile al prodotto finito in Italia”, aveva fornito una motivazione insufficiente e illogica.

Il valore probatorio delle indagini OLAF

La società aveva contestato l’efficacia probatoria dei report dell’OLAF. La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio consolidato: gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari. Essi sono equiparabili ad atti pubblici e spetta al contribuente che ne contesta il contenuto fornire una prova contraria rigorosa. L’assenza di un “rapporto finale” non inficia l’utilizzabilità di tutti i documenti e le informazioni raccolte durante le indagini.

La buona fede dell’importatore professionale

Infine, la Corte ha rigettato la tesi difensiva della società basata sulla buona fede e su un presunto errore delle autorità doganali estere. I giudici hanno sottolineato che un importatore è un operatore professionale tenuto a un elevato grado di diligenza. Le normative sui dazi antidumping per i prodotti da Taiwan erano in vigore dal 2005, ben prima delle importazioni contestate (avvenute nel 2011). Questo avrebbe dovuto indurre la società a verificare con la massima attenzione l’effettiva origine della merce, senza fare cieco affidamento sulle dichiarazioni del fornitore.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su pilastri giuridici solidi. In primo luogo, il principio generale secondo cui chi invoca un’eccezione o un beneficio fiscale deve provarne i presupposti (art. 2697 c.c.). I giudici di merito avevano erroneamente invertito questo onere. In secondo luogo, il valore legale degli atti ispettivi comunitari, come quelli dell’OLAF, che godono di una presunzione di legittimità e veridicità, superabile solo con prove concrete. Infine, la Corte ha sottolineato la responsabilità dell’operatore economico professionale, che non può invocare la propria buona fede in modo acritico, ma deve dimostrare di aver adottato tutte le cautele esigibili per verificare la correttezza delle operazioni commerciali, specialmente in settori a rischio frode come quello dei dazi antidumping.

Conclusioni: implicazioni per gli importatori

Questa ordinanza rappresenta un importante monito per tutte le aziende importatrici. La sentenza chiarisce che la responsabilità di verificare e certificare l’origine delle merci ricade primariamente su di loro. Non è sufficiente basarsi sui documenti forniti dai partner commerciali esteri, ma è necessario un controllo attivo e diligente. Le indagini dell’OLAF costituiscono uno strumento di accertamento potente e le loro conclusioni sono difficilmente contestabili in sede giudiziaria senza prove contrarie robuste. Pertanto, una gestione attenta e documentata della catena di fornitura è essenziale per evitare costose controversie doganali.

A chi spetta l’onere di provare l’origine delle merci per ottenere dazi antidumping ridotti?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta interamente alla società importatrice. È l’azienda che chiede di beneficiare di un’aliquota agevolata a dover dimostrare di possedere tutti i requisiti previsti dalla normativa, come la provenienza della merce da specifici produttori autorizzati.

Quale valore hanno i rapporti investigativi dell’OLAF in un processo tributario?
I rapporti e tutti i documenti raccolti dall’OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode) hanno piena valenza probatoria. Sono considerati equivalenti ad atti pubblici e le loro conclusioni sono valide a meno che il contribuente non fornisca una prova contraria specifica e convincente.

Un importatore può invocare la propria buona fede se ha dichiarato un’origine errata basandosi sui documenti del fornitore?
No. La Corte ha stabilito che un importatore, in quanto operatore professionale, ha un dovere di diligenza qualificata. Non può limitarsi a fidarsi dei documenti del fornitore, ma deve adottare tutte le cautele necessarie per verificare l’effettiva origine della merce, specialmente quando esistono normative antidumping note e di lunga data.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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