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Dazi Antidumping e buona fede: la Cassazione decide

La Cassazione ha stabilito che, in materia di dazi antidumping, i rapporti OLAF hanno piena valenza probatoria. Spetta all’importatore, e non all’Agenzia delle Dogane, dimostrare la propria buona fede e la sussistenza di un errore scusabile delle autorità estere per evitare il pagamento dei dazi evasi. La semplice presentazione di certificati d’origine, poi rivelatisi falsi, non è sufficiente a provare la buona fede dell’operatore.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dazi Antidumping: la buona fede dell’importatore non si presume, va provata

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 21137 del 29 luglio 2024 offre chiarimenti cruciali in materia di dazi antidumping, onere della prova e valutazione della buona fede dell’operatore commerciale. La Suprema Corte ha stabilito principi fondamentali sul valore probatorio delle indagini dell’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (OLAF) e sulle responsabilità dell’importatore in caso di certificati di origine falsi. Questa decisione rappresenta un monito per tutte le aziende che operano nel commercio internazionale, sottolineando la necessità di una diligenza qualificata.

Il Contesto: Importazioni Sospette e Dazi Antidumping

Il caso trae origine da un’indagine dell’OLAF che ha rivelato come un’azienda italiana avesse importato, nel corso del 2011, prodotti di viteria dichiarandone la provenienza dalle Filippine. In realtà, le merci erano state prodotte a Taiwan, un paese soggetto a specifici dazi antidumping per quel tipo di prodotto.

Sulla base di queste risultanze, l’Amministrazione Doganale aveva emesso avvisi di rettifica e atti di irrogazione delle sanzioni per recuperare i dazi evasi. La società importatrice aveva impugnato tali atti, sostenendo la propria buona fede, basata sui certificati di origine rilasciati dalle autorità filippine.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione alla società, ritenendo che l’onere di provare la frode o la consapevolezza della stessa da parte dell’importatore gravasse sull’Amministrazione Doganale. Secondo i giudici di merito, la documentazione presentata era sufficiente a generare un legittimo affidamento nell’importatore.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione di merito, accogliendo i motivi di ricorso presentati dall’Agenzia delle Dogane e cassando la sentenza con rinvio. La Suprema Corte ha chiarito due aspetti giuridici di fondamentale importanza per la gestione dei dazi antidumping.

Valore Probatorio dei Rapporti OLAF e Dazi Antidumping

Il primo punto cardine riguarda il valore probatorio degli accertamenti compiuti dall’OLAF. La Cassazione ha affermato, in linea con la sua consolidata giurisprudenza, che i rapporti e gli atti ispettivi dell’OLAF hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari nazionali. Di conseguenza, quando l’accertamento doganale si fonda su tali rapporti, l’Amministrazione può legittimamente limitarsi a richiamarli.

L’onere della prova si inverte: non è più l’Amministrazione a dover dimostrare la fondatezza delle accuse, ma spetta al contribuente (l’importatore) fornire la prova contraria per contestare le risultanze dell’indagine europea. Il giudice di merito aveva errato nel disconoscere tale valore probatorio e nel porre a carico dell’Agenzia l’onere di indicare ulteriori riscontri.

La Buona Fede dell’Importatore: un Concetto da Dimostrare

Il secondo principio, altrettanto rilevante, concerne la nozione di buona fede dell’operatore. Ai sensi dell’art. 220 del Codice Doganale Comunitario (Reg. CEE n. 2913/1992), la contabilizzazione a posteriori dei dazi può essere esclusa in presenza di un errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore. Tuttavia, la Cassazione ha precisato che queste condizioni devono essere provate cumulativamente dall’importatore che intende avvalersene.

La buona fede non può consistere nella mera ricezione di dichiarazioni o certificati inesatti. L’importatore, in virtù della sua professionalità, è tenuto a un dovere di diligenza qualificata. Deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per verificare la correttezza delle informazioni fornite dall’esportatore e l’effettiva ricorrenza delle condizioni per il trattamento preferenziale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando come il giudice di secondo grado abbia violato le norme sulla ripartizione dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.) e sull’applicazione del concetto di buona fede in materia doganale. Affermare che l’Amministrazione Doganale dovesse provare la partecipazione dell’importatore alla frode è un errore di diritto. Le indagini OLAF, che indicavano chiaramente l’origine taiwanese della merce, costituivano una base probatoria solida e sufficiente per l’azione di recupero dei dazi antidumping.

Inoltre, la Corte ha ribadito che la tutela del legittimo affidamento richiede un comportamento attivo da parte delle autorità doganali che induce in errore l’operatore. Non può essere invocata quando l’errore deriva da false dichiarazioni dell’esportatore. L’importatore non può limitarsi a recepire passivamente documenti, specialmente in un contesto che avrebbe potuto generare dubbi, ma deve attivarsi per verificare la regolarità sostanziale dell’operazione. La CTR, invece, non ha adeguatamente accertato se la società importatrice avesse agito con la massima diligenza richiesta.

Conclusioni: Implicazioni per gli Operatori del Settore

Questa ordinanza della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche per tutte le aziende che importano merci nell’Unione Europea. In primo luogo, rafforza il valore delle indagini OLAF, ponendole come un elemento probatorio di prim’ordine che spetta al contribuente smentire. In secondo luogo, definisce in modo stringente i contorni della buona fede: non è uno stato psicologico, ma il risultato di un comportamento diligente e verificabile. Gli importatori devono implementare procedure di controllo e verifica sui propri fornitori e sulla documentazione doganale, non potendo fare cieco affidamento sui certificati di origine presentati. Ignorare questo dovere di diligenza espone al rischio concreto di recupero dei dazi, sanzioni e lunghi contenziosi.

Quale valore probatorio hanno le indagini dell’OLAF in un contenzioso sui dazi antidumping?
Secondo la Corte di Cassazione, gli accertamenti e i rapporti redatti dagli organi esecutivi dell’OLAF hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari. Spetta al contribuente che ne contesta il fondamento fornire la prova contraria.

Su chi ricade l’onere di dimostrare la buona fede per evitare il pagamento dei dazi a posteriori?
L’onere di dimostrare la propria buona fede ricade interamente sull’importatore. Per evitare la contabilizzazione a posteriori dei dazi, l’operatore deve provare la sussistenza cumulativa di tre condizioni: un errore imputabile alle autorità competenti, la natura non riconoscibile di tale errore nonostante la massima diligenza, e il rispetto di tutte le disposizioni normative per la dichiarazione in dogana.

È sufficiente presentare un certificato d’origine formalmente valido per essere considerati in buona fede?
No. La Corte ha chiarito che la buona fede non può consistere nella mera ricezione di dichiarazioni inesatte dell’esportatore. L’importatore ha un obbligo di diligenza qualificata e deve dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili per verificare l’esattezza delle informazioni e l’effettiva origine della merce, soprattutto in presenza di dubbi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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