Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21137 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21137 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5708 -20 19 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, domicilia;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso lo studio legale del predetto ultimo difensore;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4449/09/2018 della RAGIONE_SOCIALE tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 22 ottobre 2018;
Oggetto: Dogane-Dazi antidumping-
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/03/2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
1. L’Amministrazione doganale:
-sulla scorta della segnalazione degli organi esecutivi della RAGIONE_SOCIALE per la lotta antifrode (OLAF) di cui al Reg. (CEE), 23 maggio 1999, n. 1073, non ancora culminata in un rapporto finale, da cui emergeva che la RAGIONE_SOCIALE ne ll’ anno 2011 aveva importato prodotti (di viteria) realizzati a Taiwan e non nelle Filippine, come invece dichiarato negli atti di importazione, con conseguente inapplicabilità del dazio preferenziale applicato alle merci provenienti dalle Filippine;
rilevata , pertanto, la violazione da parte della RAGIONE_SOCIALE del Reg. (CE) n. 771/2005, istitutivo del dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di taluni elementi di acciaio inossidabile e di loro parti originari di alcuni paesi asiatici, tra i quali Taiwan, ed il Reg. (CE) n. 1890/2005 (come modificato dal reg. n. 768/2009), istitutivo del dazio antidumping definitivo;
provvedeva alla revisione su base documentale RAGIONE_SOCIALE bollette doganali relative ai beni importati ne ll’ anno 2011, e, quindi, ad emettere nei confronti dell’importat RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dello spedizioniere doganale RAGIONE_SOCIALE gli avvisi di rettifica dell’accertamento n. 8234 e n. 8243 e gli atti di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni n. 8250 e n. 8253, nonché nei confronti della predetta società importatRAGIONE_SOCIALE l’ avviso di rettifica dell’accertamento n. 3214, e l’ atto di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni n. 3231.
A seguito impugnazione di detti atti da parte della RAGIONE_SOCIALE la CTP di Milano con sentenza n. 2402/23/2016 dichiarava inammissibile il ricorso avverso l’avviso di rettifica n. 3214 del 2014 ed il corrispondente atto di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni (n. 3231 del 2014), ed accoglieva il ricorso avverso gli avvisi di rettifica n. 8234
e n. 8243 del 2014 ritenendo applicabile al caso di specie il dazio ‘calmierato’ del 16,1 per cento.
La CTR della Lombardia, con la sentenza n. 4409/09/2018, riuniti i separati appelli proposti dall ‘Ufficio e dalla società , rigettava parzialmente l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE e accoglieva parzialmente quello incidentale della società e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava ammissibili i ricorsi proposti contro tutti gli atti impugnati, che annullava compensando le spese e rigettando la richiesta della società di condanna dell’Ufficio al risarcimento del danno da responsabilità a ggravata.
I giudici di appello sostenevano:
che era in fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso della società contribuente per acquiescenza a seguito del pagamento RAGIONE_SOCIALE sanzioni in quanto «la proposizione del ricorso in via giurisdizionale nonostante il pagamento, dà la misura del fatto che il contribuente ritiene non dovuto il pagamento» (sentenza, pag. 3);
che l’amministrazione doganale, sul la quale incombeva il relativo onere probatorio, si era limitata a richiamare gli esiti degli accertamenti compiuti dall’OLAF in merito alla provenienza originaria RAGIONE_SOCIALE merci non dalle Filippine, ma dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, aventi sede a Taiwan; a richiamare il ritiro da parte RAGIONE_SOCIALE autorità filippine dei certificati di origine in precedenza rilasciati alle esportatrici RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE;
che l’amministrazione doganale non aveva però specificato i riscontri individuati dalle autorità filippine a sostegno dell’asserita falsità;
che comunque non era stata provato che l a società importatRAGIONE_SOCIALE fosse partecipe o, comunque, in qualche modo a conoscenza della frode;
che la documentazione prodotta dalla società all’atto dello sdoganamento RAGIONE_SOCIALE merci era stata redatta dai soggetti residenti nelle Filippine, attestava la diversità dei codici della merce in entrata nelle Filippine (beni semilavorati) rispetto a quelli dell’esportazione verso l’Europa, riportanti l’apposizione della sigla ‘W’ (worked – lavorati) nel campo 8 del certificato Form A;
che detta documentazione era idonea ad ingenerare un legittimo affidamento degli importatori europei in ordine alla veridicità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni, che, pertanto, erano da considerarsi in buona fede attesa l’impossibilità di avvedersi di errori commessi dalle Autorità filippine nel rilascio dei certificati di origine RAGIONE_SOCIALE merci, anche ponendo in essere la massima diligenza, in mancanza, peraltro, di prova che i ricorrenti fossero partecipi o, comunque, in qualche modo a conoscenza della frode.
Avverso tale statuizione l’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui l’ intimata replica con controricorso, chiedendo altresì la riunione del presente giudizio a quello iscritto al n. 2446/2016 R.G. di questa Corte.
La società controricorrente con atto del 3 marzo 2023 avanzava istanza di sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge n. 197 del 2023 contestualmente manifestando l’intenzione di avvalersi della definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie di cui alla predetta legge.
Questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 20343 del 2023, adottata a seguito di altra ordinanza interlocutoria, n. 7389 del 2023, emessa ai sensi dell’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ., disponeva la sospensione del processo.
Con istanza del 10 ottobre 2023 la ricorrente, dando atto di non aver aderito alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie di cui alla legge n. 197 del 2022, ha chiesto fissarsi l’udienza di discussione della causa.
Considerato che:
Va preliminarmente rigettata la richiesta di riunione al giudizio iscritto al n. 2446/2016 R.G. di questa Corte, in quanto definito con ordinanza n. 12385 del 2021.
Venendo, quindi, al merito del ricorso, con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la difesa erariale censura la sentenza impugnata per aver omesso di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi proposti dall a società controricorrente avverso gli atti di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni per intervenuta definizione agevolata ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, ovvero con il pagamento nella misura ridotta di un terzo della sanzione applicata.
2.1. Il motivo è fondato e va accolto.
2.2. Dalla sentenza di primo grado, riprodotta in nota a pagina 4 del ricorso, risulta che la società contribuente aveva effettuato il pagamento « RAGIONE_SOCIALE somme portate dall’avviso di accertamento » n. 3214, aderendo, altresì, alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE sanzioni ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 che prevede che, in caso di irrogazione di sanzioni, il contribuente può «definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata».
2.3. E’ rimasta, invece, priva di riscontro probatorio la tesi sostenuta dalla controricorrente secondo cui alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE sanzioni irrogate con gli atti impositivi impugnati avrebbe aderito il RAGIONE_SOCIALE doganale, quale coobbligato dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e non, invece, quest’ultimo il quale, pertanto, poteva non avvalersi degli effetti di quella definizione agevolata per non esporsi all’eventuale esercizio, da parte del coobbligato, del diritto di regresso espressamente pr evisto dall’art. 9 del d.lgs. citato (secondo cui «il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso»), sicché
alla controricorrente RAGIONE_SOCIALE non era preclusa la possibilità di impugnare autonomamente l’atto irrogativo RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
2.4. Peraltro, la controricorrente neppure spiega la ragione per la quale il CAD avrebbe dovuto provvedere al pagamento anche RAGIONE_SOCIALE somme richieste con l’atto impositivo.
2.5. Pertanto, la CTR ha correttamente accolto l’appello incidentale proposto dalla società contribuente avverso la statuizione di primo grado di inammissibilità del ricorso proposto nei confronti dell’avviso di rettifica n. 3214, non costituendo, il pagamento dell’imposta, acquiescenza all’atto impositivo, ma ha errato nel ritenere estensibile tale principio (affermato da Cass. n. 2231 del 2018, citata dai giudici di appello) anche alle sanzioni per le quali la società, per come risultante dalla sentenza di primo grado, aveva aderito alla definizione agevolata di cui all’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 che, come detto, comporta la definizione della controversia relativa alle sole sanzioni. E’ noto, infatti, il principio, cui dovranno conformarsi i giudici di appello in sede di rinvio, secondo cui «In materia di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’atto di contestazione ed irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, disciplinato dall’art. 16 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è autonomo rispetto al procedimento di accertamento del tributo cui le sanzioni si riferiscono, con la conseguenza che la scelta del trasgressore di addivenire alla definizione agevolata, prevista dal comma terzo della norma, non comporta alcun effetto di acquiescenza o di riconoscimento della fondatezza della pretesa relativa al tributo, la cui possibilità di contestazione resta, quindi, impregiudicata» (Cass. n. 10778 del 2015; conf. a Cass. n. 17529 del 2012).
Con il secondo motivo di ricorso, dedotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 cod.
civ., 12 e 45 del Reg. CEE n. 515/1997 del 13/03/1997, 9 del Reg. CEE n. 1073/199 del 25/05/1999 e 11 del Reg. 883/13, sostenendo che la CTR aveva nella sostanza ritenuto di negare valenza probatoria ai rapporti OLAF così ponendosi in contrasto con il principio in materia di riparto dell’onere della prova, come invece sancito dalla giurisprudenza di legittimità in materia, per il quale spetta al contribuente che contesti il fondamento probatorio degli accertamenti doganali fondati sui predetti atti ispettivi, fornire la prova contraria.
3.1. Il motivo è fondato e va accolto.
3.2. Invero, in tema di tributi doganali, come chiarito da questa Corte (Cass. n. 12385 del 2021, in motivazione), gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’OLAF ai sensi del Regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio n 1073 del 1999, per la loro formazione ed il valore di atti pubblici ad essi attribuibile, hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria ( ex plurimis , Cass. sez. 5, 11/05/2018, n. 11441, Rv. 648020-01; Cass. sez. 5, 21/04/2017, n. 10118/, Rv. 644042-02, oltre che le precedenti Cass. sez. 5, 06/07/2016, n. 13770, Rv. 640616-01, Cass. sez. 5, 08/03/2013, n. 5892, Rv. 625397-01). Peraltro, in ragione della rilevanza nella fattispecie, occorre precisare che ai fini della verifica della provenienza RAGIONE_SOCIALE merci, l’art. 9, comma 2, del citato Reg. CE n. 1073/1999, considera equipollenti la relazione redatta dall’OLAF al termine RAGIONE_SOCIALE indagini e le relazioni redatte dagli ispettori amministrativi dello RAGIONE_SOCIALE membro, tanto ai fini RAGIONE_SOCIALE «regole di valutazione» applicabili quanto ai fini del «valore» riconoscibile secondo la disciplina legislativa dello RAGIONE_SOCIALE membro. Ne deriva l’assenza di alcuna limitazione in ordine alla utilizzabilità nei procedimenti amministrativi e giudiziari dello RAGIONE_SOCIALE membro anche di altre fonti
di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF, come è dato evincere dall’art. 9, comma 3, e dall’art. 10, comma 1, del medesimo regolamento, i quali prevedono la trasmissione alle autorità degli Stati membri interessati, rispettivamente, di «ogni documento utile» acquisito e la comunicazione di «qualsiasi informazione» ottenuta nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini (Cass. sez. 5, 03/08/2012, n. 14036, Rv. 623913-01, oltre che la successiva conforme Cass. sez. 5, 30/01/2020, n. 2139, Rv. 656818-01). Ne consegue quindi l’utilizzabilità quali fonti di prova emergenti dalle indagini svolte dall’OLAF anche dei documenti acquisiti e della comunicazione di qualsiasi informazione ottenuta nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini espletate, compresi, peraltro, i verbali RAGIONE_SOCIALE operazioni di missione ( ex plurimis , Cass. sez. 5, 08/03/2013, n. 5892, Rv. 625397-01) non rilevando esclusivamente il rapporto finale che potrebbe anche mancare.
3.3. Nella specie, il Giudice di secondo grado non ha fatto corretta applicazione dei principi di cui innanzi, violando il detto riparto dell’onere probatorio, là dove ha affermato che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE «si è limitata a richiamare gli accertamenti compiuti dall’OLAF in merito alla provenienza originaria RAGIONE_SOCIALE merci non dalle Filippine, ma dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, aventi sede a Taiwan; a richiamare il ritiro da parte RAGIONE_SOCIALE autorità filippine dei certificati di origine in precedenza rilasciati alle esportatrici RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE», senza però specificare «i riscontri individuati dalle autorità filippine a sostegno dell’asserita falsità», in tal modo sostanzialmente disconoscendo valore probatorio agli accertamenti compiuti dall’OLAF, da cui invece emergeva che le merci importante dalla RAGIONE_SOCIALE erano state interamente prodotte a Taiwan dalle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ed erano state introdotte nelle Filippine dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ed erroneamente ponendo a
carico dell’amministrazione doganale di indicare gli specifici riscontri individuati dalle autorità filippine a sostegno della asserita falsità dei predetti certificati di origine, nonostante gli accertamenti dell’OLAF attestassero la produzione e la provenienza RAGIONE_SOCIALE merci da Taiwan.
3.4. In buona sostanza, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, l’amministrazione doganale ai fini dell’emissione degli atti impositivi ben poteva limitarsi a riportarsi agli accertamenti compiuti dall’OLAF, stante il valore probatorio ad essi attribuito, ferma restando, in ogni caso, la sottoposizione dei rapporti redatti dall’OLAF alle regole di valutazione probatoria proprie del giudizio di merito, quindi anche di confronto con eventuali prove contrarie che avrebbe dovuto offrire la parte contribuente; valutazione che nella specie la CTR ha del tutto omesso di effettuare.
4. Con il terzo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la difesa erariale deduce la violazione dell’art. 220 C.D.C. di cui al Reg. CEE n. 2913/1992 censurando la sentenza d’appello per avere ritenuto nella specie sussistente la buona fede RAGIONE_SOCIALE società appellanti sul presupposto che la documentazione prodotta dalle società all’atto dello sdoganamento RAGIONE_SOCIALE merci era idonea ad ingenerare un legittimo affidamento di queste ultime in ordine alla veridicità RAGIONE_SOCIALE stesse, che, pertanto, erano da considerarsi in buona fede attesa l’impossibilità di avvedersi di errori commessi dalle autorità filippine nel rilascio dei certificati di origine RAGIONE_SOCIALE merci, anche ponendo in essere la massima diligenza, in mancanza, peraltro, di prova che i ricorrenti fossero partecipi o, comunque, in qualche modo a conoscenza della frode.
4.1. Il motivo è fondato e va accolto.
4.2. In materia doganale e, più specificamente, in tema di imposizione fiscale RAGIONE_SOCIALE importazioni, l’art. 220, comma 2, lett. b), del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (cosiddetto Codice doganale comunitario), prevede un’ esenzione là dove preclude la contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale in presenza di un errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore.
4.3. Assume la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 15297 del 2008, richiamata da Cass. n. 26004 del 2013 e da Cass. n. 22647 del 2019), che l’esenzione in esame, che è diretta a tutelare il legittimo affidamento del debitore circa la fondatezza degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi, richiede per la sua applicazione un compiuto esame da parte del giudice sulla ricorrenza della buona fede che deve essere dimostrata dal soggetto che intende avvalersi dell’agevolazione, attraverso la prova della sussistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla norma perché resti impedito il recupero daziario, ed in particolare: a) un errore imputabile alle autorità competenti; b) un errore di natura tale da non poter essere riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, ed in ogni caso determinato da un comportamento attivo RAGIONE_SOCIALE autorità medesime, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dell’operatore; c) l’osservanza da parte del debitore di tutte le disposizioni previste per la sua dichiarazione in dogana dalla normativa vigente. Pertanto, le Autorità doganali devono procedere alla contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali, a meno che sussistano contemporaneamente tutte le condizioni poste dall’art. 220, n. 2, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913/1992 del Consiglio del 12 ottobre 1992, come sopra richiamate; in particolare, detto errore non può consistere nella mera RAGIONE_SOCIALEzione di dichiarazioni
inesatte dell’esportatore, dato che l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne la veridicità, ma richiede un comportamento attivo, perché il legittimo affidamento del debitore è protetto solo se le autorità competenti hanno determinato i presupposti su cui si basa la sua fiducia, mentre la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori (Cass. civ., n. 4022/2012). Inoltre, l’esenzione prevista dall’art. 220, comma 2, lett. b), del Codice doganale comunitario, che preclude la contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale in presenza di un errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’operatore, presuppone la genuinità del certificato di origine, cioè la sua regolarità formale e sostanziale. Di conseguenza spetta all’RAGIONE_SOCIALE che intende usufruire dell’esenzione dimostrare l’origine della merce che importa e, in ogni caso, il suo stato soggettivo di buona fede, mediante la prova della sussistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dalla citata norma, mentre all’Autorità doganale incombe esclusivamente l’onere di dare dimostrazione RAGIONE_SOCIALE irregolarità RAGIONE_SOCIALE certificazioni presentate, atteso che qualsiasi certificato che risulti inesatto autorizza il recupero a posteriori, senza necessità di alcun procedimento intermedio che convalidi la non autenticità, provvedendo gli stessi organi dell’esecutivo comunitario a fornire tramite le disposte commissioni di inchiesta le conclusioni cui debbono attenersi le Autorità nazionali (Cass. civ., n. 13680/2009). Va, inoltre, osservato che, ai fini della configurazione dell’errore attivo dell’autorità doganale del paese di esportazione, la non rilevanza della falsa informazione fornita dall’esportatore può essere presa in considerazione solo ove risulti, con evidenza, che la stessa era informata o doveva esserlo della non operatività dell’esenzione (così in Cass. n. 22647 del 2019).
4.4. Si è quindi affermato (Cass. n. 12719 del 2018) che «In tema di dazi doganali, ove venga accertata la falsità dei certificati di origine della merce, le autorità devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi, salvo che l’RAGIONE_SOCIALE fornisca la prova RAGIONE_SOCIALE condizioni richieste dall’art. 220, par. 2, lett. b), del cd. Codice doganale comunitario, senza che, rispetto allo stato soggettivo di buona fede, assuma rilevanza l’effettiva consapevolezza da parte dello stesso circa la veridicità RAGIONE_SOCIALE informazioni fornite dall’esportatore alle autorità del proprio RAGIONE_SOCIALE, essendo, piuttosto, il debitore tenuto a dimostrare che, per tutta la durata RAGIONE_SOCIALE operazioni commerciali in questione, ha agito con la diligenza qualificata richiesta, in ragione dell’attività professionale di RAGIONE_SOCIALE svolta, ex art. 1176, comma 2, c.c., per verificare la ricorrenza RAGIONE_SOCIALE condizioni per il trattamento preferenziale, mediante un esigibile controllo sull’esattezza RAGIONE_SOCIALE informazioni rese dall’esportatore».
4.5. Cass. n. 33314 del 2019 ha, quindi, ribadito che «In tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’RAGIONE_SOCIALE, richiesto dall’art. 220, paragrafo 2, lett. b), del regolamento CEE n. 2913 del 1992 a fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori”, non ha valenza “in re ipsa”, ma solo in quanto sia riconducibile a situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, e che, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile al comportamento attivo RAGIONE_SOCIALE autorità doganali, non rientrandovi quello indotto dalle dichiarazioni inesatte dello stesso operatore».
4.6. Tali principi si ispirano a quelli unionali secondo cui:
l’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del codice doganale dev’essere interpretato nel senso che un RAGIONE_SOCIALE può invocare
il legittimo affidamento, ai sensi di tale disposizione, al fine di opporsi ad una contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione, eccependo la propria buona fede, solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative. Occorre, anzitutto, che tali dazi non siano stati riscossi a causa di un errore RAGIONE_SOCIALE autorità competenti medesime, quindi, che l’errore di cui trattasi sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede e, infine, che quest’ultimo abbia rispetta to tutte le disposizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana. Tale legittimo affidamento non sussiste, in particolare, qualora un RAGIONE_SOCIALE, sebbene abbia evidenti ragioni per dubitare dell’esattezza di un certificato di o rigine «modulo A», si sia astenuto dall’informarsi, nella massima misura possibile, RAGIONE_SOCIALE circostanze del rilascio di tale certificato per verificare se tali dubbi fossero giustificati. Un siffatto obbligo non significa tuttavia che un RAGIONE_SOCIALE sia tenuto, in generale, a verificare sistematicamente le circostanze del rilascio da parte RAGIONE_SOCIALE autorità doganali dello RAGIONE_SOCIALE di esportazione di un certificato di origine «modulo A». Spetta al giudice del rinvio valutare, tenendo conto de ll’insieme degli elementi concreti della controversia principale, se tali tre condizioni siano soddisfatte nel caso di specie (Corte di giustizia, sentenza 16 marzo 2017 nella causa C-47/16, COGNOME ieņēmumu dienests; Corte di giustizia, sentenza 15 dicembre 2011 in causa C-409/10, INDIRIZZO).
4.7. Orbene, nel caso di specie, i giudici di appello non si sono attenuti ai predetti principi e, pur dando atto che la falsificazione dei dati indicati nelle dichiarazioni di importazione atteneva all’entrata RAGIONE_SOCIALE merci nelle Filippine da Taiwan ad opera RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, hanno ritenuto sussistente la buona fede RAGIONE_SOCIALE società senza aver evidenziato l’esistenza di un errore imputabile alle competenti Autorità filippine
e, quindi, in assenza di tale presupposto, peraltro ponendo erroneamente a carico dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare la partecipazione RAGIONE_SOCIALE società alla frode o la conoscenza della stessa, e senza adeguatamente accertare, sulla base anche RAGIONE_SOCIALE risultanze RAGIONE_SOCIALE indagini OLAF che muovevano i primi passi fin dal febbraio 2011 (come da Report citato in ricorso), se la società importatRAGIONE_SOCIALE, anche per la protrazione ed intensificazione dei rapporti con le società esportatrici e l’indubbio vantaggio fiscale che avrebbero conseguito, si sia limitata a recepire passivamente dichiarazioni doganali inveridiche.
In estrema sintesi, vanno accolti il secondo e terzo motivo di ricorso e va rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà a riesaminare la vicenda processuale alla stregua dei suindicati principi nonché a regolamentare le spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 27 marzo 2024