Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 609 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 609 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
Tributi – contraddittorio – delega – data certa eccezione in senso lato rilevabilità di ufficio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8965/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso il suo indirizzo PEC
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 6876/23/21 depositata in data 28 settembre 2021. Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 22 novembre 2023.
RILEVATO CHE
Il contribuente NOMECOGNOME esercente (come risulta dalla sentenza impugnata) l’attività di consulenza fiscale, ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2013, con il quale veniva accertato maggior reddito da lavoro autonomo e recupero di IRPEF, IRAP e IVA, addizionali, oltre sanzioni e accessori. L’accertamento faceva seguito all’invio di un questionario con cui si chiedeva l’invio di documentazione contabile.
Il ricorso veniva parzialmente accolto dalla CTP di Napoli, con rideterminazione dei compensi e del giro di affari.
La CTR della Campania, con sentenza in data 28 settembre 2021, ha accolto l’appello principale dell’Ufficio e ha rigettato l’appello incidentale del contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello inconferente, per alcuni dei clienti del ricorrente, la stipula di contratti di conferimento dell’incarico con compensi inferiori a quelli tariffari -valorizzati dal giudice di primo grado -in quanto documenti privi di data certa, ritenendo per l’effetto non provata la pattuizione di compensi inferiori al minimo tariffario. Parimenti, il giudice di appello ha ritenuto inconferenti le dichiarazioni dei clienti, ove si dichiarava la ricezione di compensi inferiori a quelli pattuiti, considerati quali atti notori privi di efficacia probatoria, non supportati da ulteriori elementi di prova. In relazione ad altri rapporti di consulenza, il giudice di appello ha, inoltre, ritenuto non probante una fattura in considerazione della genericità della relativa descrizione. Quanto all’appello incidentale, il giudice di appello ha ritenuto che non è stato violato il termine dilatorio per il contraddittorio endoprocedimentale, non essendovi stato accesso
nei locali dell’impresa e ritenendo espletato il contraddittorio quanto all’IVA , nonché stante il mancato assolvimento della prova di resistenza. Ha, poi, ritenuto corretta la metodologia analitico-induttiva e congruamente motivato l’atto impositivo, basato sulle tariffe professionali, oltre che debitamente sottoscritto.
Propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l’Ufficio.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 7, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) , oltre che vizio di insufficiente motivazione, nella parte in cui la sentenza di appello ha ritenuto non violato il contraddittorio endoprocedimentale per non essere stato l’accertamento preceduto da accesso nei locali dell’impresa , ritenendo necessario anche in questo caso un contraddittorio endoprocedimentale anche ai fini IVA.
Il motivo è infondato quanto al difetto di motivazione della sentenza impugnata, essendo questo predicabile solo in caso di assoluta assenza del percorso logico seguito dal giudice di appello (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053), percorso logico chiaramente evincibile in relazione all’enunciazione del principio secondo cui non vi è obbligo di contraddittorio endoprocedimentale ove non vi sia stato accesso nei locali dell’impresa e che , ai fini IVA, quanto al difetto di contraddittorio non è stata offerta la prova di resistenza.
Il motivo è, parimenti, infondato in relazione alla dedotta violazione di legge, posto che il rispetto del contraddittorio endoprocedimentale e del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000, n. 212 in caso di tributi non armonizzati opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e
non anche alla diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti «a tavolino», come nella specie, atteso che la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (Cass., Sez. V, 14 marzo 2022, n. 8223; Cass., Sez. V, 7 dicembre 2021, n. 38949; Cass., Sez. VI, 5 novembre 2020, n. 24793; Cass., Sez. VI, 19 ottobre 2017; n. 24636; Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823). Quanto, invece, ai tributi armonizzati l’invalidità dell’atto per omesso contraddittorio en doprocedimentale consegue all’assolvimento da parte del contribuente all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823). Nella specie, la sentenza impugnata ha accertato che non vi è stato alcun accesso, per cui non era necessario alcun invio di PVC, così come non si rendeva conseguentemente necessaria la concessione di un termine dilatorio. Quanto all’IVA, la sentenza impugnata ha ritenuto che il ricorrente non avesse esposto quali sarebbero state le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede amministrativa. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
Con il secondo motivo si deduce omessa e insufficiente motivazione, oltre che , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione agli artt. 2 e 7, comma 2, l. n. 212/2000 e all’art. 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto l’avviso di accertamento debitamente sottoscritto con delega del Direttore Provinciale. Osserva parte ricorrente che la delega di cui all’atto impugnato si sarebbe dovuta
sottoscrivere da due differenti responsabili. Deduce come non vi sia prova della sottoscrizione di un impiegato della carriera direttiva. Osserva, inoltre, che la delega debba essere nominativa e attribuita a soggetto con rappresentanza esterna e, infine, deduce che la delega dovesse risultare allegata all’atto impositivo.
Il motivo -in disparte l’inammissibilità come per il superiore motivo quanto al difetto di motivazione – è inammissibile nella parte in cui deduce che l’avviso si sarebbe dovuto sottoscrivere da due diversi responsabili, sia per carenza di argomentazioni a supporto, sia -per quanto più qui rileva -per novità della questione, in quanto questione non affrontata nella sentenza impugnata e, quindi, costituente questione nuova inammissibile in sede di legittimità.
Infondato è, invece, il motivo nella parte in cui deduce la necessità che l’atto si sarebbe dovuto sottoscrivere da funzionario della carriera direttiva, posto che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’atto impositivo deve essere sottoscritto da funzionario, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l., del comparto delle agenzie fiscali di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente ( ex multis , Cass., Sez. V, 15 marzo 2023, n. 7479; Cass., Sez. VI, 10 dicembre 2019, n. 32172; Cass., Sez. V, 9 novembre 2015, n. 22800), essendo sufficiente la mera delega da parte del dirigente dell’Ufficio (Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24271).
Quanto alle ulteriori censure -in disparte l’inammissibilità per omessa trascrizione della delega al fine di verificare le circostanze dedotte dal ricorrente -il motivo è infondato, in quanto non è necessario che la delega sia allegata all’atto impositivo, essendo la delega oggetto di produzione in giudizio in caso di contestazione da parte del contribuente, anche in grado di appello (Cass., Sez. V, 17 luglio 2019, n. 19190). In ogni caso la delega può essere provata anche attraverso ordini di servizio (Cass., sez. V, 19 aprile 2019, n. 11013),
la cui completezza e indicazione nominativa (« su delega n. 31/2017 del Direttore Provinciale ») è stata accertata dal giudice del merito con apprezzamento in fatto qui incensurabile.
Con il terzo motivo si deduce omessa e/o insufficiente motivazione in ordine all’art. 2704 cod. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ. oltre che extrapetizione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che le prove fornite dal contribuente non fossero idonee per mancanza della data certa. Parte ricorrente osserva come l’Ufficio non avrebbe mai dedotto la mancanza di data certa nel corso del giudizio di merito, per cui le deduzioni del giudice di appello si porrebbero in violazione del principio dispositivo, osservando inoltre come la mancanza di data certa non è eccezione rilevabile di ufficio.
Il terzo motivo -in disparte l’inammissibilità del motivo, in quanto volto a censurare il giudizio di attendibilità delle prove operato dal giudice del merito ai fini dell’assolvimento della prova contraria è infondato. Il giudice di appello ha ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente a dimostrazione della pattuizione di compensi inferiori a quelli previsti per i compensi professionali non sarebbe idonea a provare la circostanza, in quanto i contratti sono risultati privi di data certa. Il giudice di appello ha dato rilievo, ai fini dell’assolvimento della prova contraria, a lla circostanza in fatto che non vi fosse prova opponibile all’Erario che le scritture fossero state sottoscritte in epoca precedente l’avviso di accertamento .
Questa Corte -in epoca più recente rispetto ai risalenti precedenti citati dal ricorrente -ha enunciato il principio, al quale si intende dare continuità, secondo cui l’art. 2704 cod. civ. regola l’efficacia dell’atto, ossia l’opponibilità ai terzi e non la sua validità, per cui non integra un fatto costitutivo del diritto fatto valere, dovendosi piuttosto ritenere che la sua mancanza configuri un fatto impeditivo del riconoscimento del diritto stesso, oggetto di eccezione in senso lato e
qualora il dato risulti dagli atti, rilevabile anche d’ufficio dal giudice e, al più, per la quale si dovrebbe disporre la previa comunicazione alle parti ai fini del rispetto del contraddittorio (Cass., Sez. U., 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass., Sez. V, 20 febbraio 2015, n. 3404; Cass., Sez. VI, 21 giugno 2018, n. 16404; Cass., Sez. I, 20 novembre 2017, n. 27504). La data certa di un documento ai fini della opponibilità a un terzo (ovvero la sua mancanza) costituisce, pertanto, questione rientrante nel giudizio di valutazione della fondatezza delle asserzioni del contribuente che il giudice può anche rilevare di ufficio, previa contestazione alla parte , aspetto quest’ultimo non oggetto di censura . La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente, che liquida in complessivi € 4.300,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 22 novembre 2023