Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31442 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31442 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3112-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al controricorso e
con domicilio digitale eletto presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 2995/2023 della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA PUGLIA, depositata il 27.10.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/11/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Puglia aveva accolto l’appello di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 3233/2016 della Commissione tributaria provinciale di Bari, in rigetto del ricorso proposto avverso il silenzio-rifiuto formatosi in ordine all’istanza di rimborso presentata dalla Società al fine di ottenere anche gli interessi ed il danno da svalutazione monetaria sulla somma versata all’Erario a seguito dell’avviso di accertamento, definitivamente annullato in sede giurisdizionale in data 18/03/2005.
La società contribuente resiste con controricorso.
È stata formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., per essere stati ravvisati profili di inammissibilità per manifesta infondatezza dello stesso.
La ricorrente ha proposto istanza di decisione ai sensi del medesimo art. 380 bis c.p.c.
È stata, quindi, disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.
Entrambe le parti hanno da ultimo depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., «nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. – motivazione omessa o meramente apparente» per
non avere «…il giudice di appello … spiegato perché ha ritenuto sussistente la specifica prova dell’esistenza del danno ulteriore, limitandosi a riconoscerne il risarcimento alla stregua di un automatismo».
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ violazione degli artt. 1224, co. 2, 1284, 1218 e 2697 cod. civ. per avere la Corte di giustizia tributaria di secondo grado erroneamente omesso di valutare «che i presupposti per il riconoscimento del danno ulteriore nelle obbligazioni pecuniarie nascenti da rapporti tributari sono più rigorosi che nei rapporti tra privati».
2.1. Il primo motivo è infondato.
2.3. Per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. n. 13248 del 2020; Cass. n. 15883 del 2017; Cass. Sez. Unite n. 22232 del 2016), ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorché il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica o giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
2.4. Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata esplicita in maniera sufficiente la ratio decidendi , consentendo il controllo del percorso logico -giuridico che ha portato alla decisione, tant’è che, con i restanti motivi, l’Erario ha potuto censurare compiutamente gli errori di diritto che, secondo l’ente impositore, giustificano comunque la richiesta cassazione dell’impugnata sentenza.
3.1. Il secondo motivo va parimenti disatteso.
3.2. È opportuno riportare quanto affermato dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado: «Espone la società appellante che, in data 15/03/2005, era stata costretta a versare all’Agenzia delle Entrate la somma di € 145.746,94 in esecuzione dell’avviso di liquidazione n. NUMERO_DOCUMENTO, successivamente annullato per illegittimità dalla Corte di Cassazione con Ordinanza n. 19120/2012. Osserva il Collegio che l’azione di rimborso proposta dalla società contribuente relativamente al danno da
svalutazione monetaria, derivante dalla ritardata restituzione della somma indebitamente percetta dall’Agenzia delle Entrate, è stata adeguatamente documentata dalla società contribuente mediante il deposito dei bilanci dal 2005 al 2013 nonché della documentazione contabile e bancaria relativa agli interessi passivi riferiti al c/c bancario n. 88/20/010 – “INT: PASSRAGIONE_SOCIALE” nonché agli interessi sui mutui riferiti al conto n. 88/20/015 – “INT. PASS. SU MUTUI”. Risulta dalla prodotta documentazione bancaria che gli oneri per interessi bancari che per il periodo 01/01/200631/12/2014 ammontano ad € 80.028,42, oltre a quelli corrisposti per le rate di mutuo in scadenza tra il 03/08/2005 e il 31/12/2014 pari ad € 536.034,62. Orbene, in conseguenza di tale danno da svalutazione concernente la somma di € 145.746,94, ne deriva l’importo di € 25.359,97 esattamente calcolato dalla società contribuente … l’appello proposto dalla contribuente RAGIONE_SOCIALE è fondato con la consequenziale riforma della sentenza di prime cure e con la declaratoria del diritto della società contribuente al rimborso della somma di € 25.359,97, dovuta alla medesima a titolo di danno da rivalutazione monetaria calcolato sino alla data dell’avvenuto rimborso della sorte capitale di € 145.746,97, nell’importo di € 25.359,97».
3.3. Ciò posto, questa Corte ha già evidenziato che in tema di rimborso di tributi non dovuti, la particolarità dell’obbligazione tributaria implica che il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, cod. civ., causato dal ritardo nel pagamento di crediti d’imposta, sia riconoscibile in via presuntiva, anche per il creditore che ne domandi il risarcimento, nell’eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973 (cfr. Cass. n. 18922 del 2023).
3.4. È stato, inoltre, in generale stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte che nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora,
il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali, e, ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva. in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi. ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite. il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale. (cfr. Cass. SU n. 19499 del 2008).
3.5. Nel caso in esame, i Giudici di appello hanno rilevato come la società contribuente avesse ritualmente provato di aver subìto un maggior danno costituito dalla necessità di accesso al credito bancario e dalla contrazione dei guadagni determinata dall’indisponibilità della somma dovuta.
Alla luce di quanto precede, deve quindi escludersi che la sentenza impugnata abbia violato le norme invocate dalla ricorrente, con conseguente rigetto del ricorso.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c., la parte soccombente va condannata a pagare: la somma di Euro 1.800,00 ex art. 91 c.p.c.; la somma di Euro 1.800,00 equitativamente determinata, a favore della controparte, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.; la somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende, ex art. 96, quarto comma, c.p.c.
Risultando soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere Amministrazione Pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in misura pari ad Euro 1.800,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore di parte controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., dell’ulteriore somma di Euro 1.800,00, pari a quella dianzi liquidata per compensi; condanna parte ricorrente al pagamento in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., dell’ulteriore somma di Euro 2.000,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità