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Danno da svalutazione: come ottenere il risarcimento

Una società ottiene l’annullamento di un avviso di liquidazione e chiede il rimborso delle somme versate, oltre al risarcimento per il danno da svalutazione monetaria. Di fronte al silenzio-rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria, la questione arriva in Cassazione. La Suprema Corte conferma il diritto della società al risarcimento, stabilendo che la prova del danno può essere fornita tramite bilanci e documentazione bancaria che attestino la necessità di ricorrere al credito o la contrazione dei guadagni a causa dell’indisponibilità delle somme.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Danno da Svalutazione: Come Ottenere il Giusto Risarcimento dal Fisco

Quando un contribuente, in particolare un’impresa, si vede restituire in ritardo una somma indebitamente versata al Fisco, subisce un doppio pregiudizio: la mancata disponibilità del capitale e la perdita del suo potere d’acquisto. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha recentemente ribadito i principi per ottenere il risarcimento del cosiddetto danno da svalutazione, chiarendo quali prove siano necessarie per veder riconosciuto il proprio diritto.

Il Caso: Un Rimborso Fiscale Conteso

La vicenda ha origine da una richiesta di rimborso avanzata da una società immobiliare nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. L’azienda era stata costretta a versare una considerevole somma a seguito di un avviso di liquidazione che, solo dopo un lungo iter giudiziario, era stato definitivamente annullato dalla stessa Corte di Cassazione.

Ottenuto il diritto alla restituzione della somma capitale, la società aveva chiesto anche il risarcimento del maggior danno subito a causa della svalutazione monetaria e dell’indisponibilità dei fondi per un lungo periodo. L’Amministrazione Finanziaria, tuttavia, non aveva risposto all’istanza, facendo scattare il meccanismo del silenzio-rifiuto. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado aveva dato ragione alla società, riconoscendole il diritto al risarcimento sulla base della documentazione prodotta, che includeva i bilanci dal 2005 al 2013 e le prove degli oneri bancari sostenuti.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sentenza d’appello fosse priva di una motivazione adeguata e che i presupposti per il riconoscimento del danno in materia tributaria fossero più rigorosi rispetto al diritto privato.

La Prova del Danno da Svalutazione e la Decisione della Corte

Il cuore della questione ruota attorno alla prova del maggior danno previsto dall’art. 1224, secondo comma, del codice civile. La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso dell’Agenzia, ha confermato il proprio orientamento consolidato. I giudici hanno spiegato che, nel caso di ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria, il danno da svalutazione può essere riconosciuto in via presuntiva.

Questa presunzione si basa sulla differenza tra il tasso di rendimento medio dei titoli di Stato e il saggio degli interessi legali nel periodo di mora. Tuttavia, se il creditore, specialmente se è un imprenditore, chiede una somma superiore a quella calcolata con questo criterio, ha l’onere di fornire una prova concreta del pregiudizio subito. Nel caso specifico, la società contribuente aveva adempiuto a questo onere in modo impeccabile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le censure dell’Amministrazione Finanziaria. In primo luogo, ha stabilito che la sentenza di secondo grado non era affatto priva di motivazione. Al contrario, i giudici di merito avevano esplicitato chiaramente la ratio decidendi, indicando come la documentazione prodotta (bilanci e oneri bancari) dimostrasse adeguatamente il danno. Nello specifico, la società aveva provato di aver dovuto far ricorso al credito bancario e di aver subito una contrazione dei guadagni a causa dell’indisponibilità della somma illegittimamente trattenuta dal Fisco.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che i principi stabiliti dalla giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, si applicano pienamente. L’imprenditore che dimostra, attraverso i bilanci, la produttività della propria impresa o, tramite estratti conto, di aver sostenuto costi per interessi passivi, fornisce la prova rigorosa richiesta per il risarcimento del maggior danno. La sentenza impugnata aveva correttamente applicato questi principi, rendendo la sua decisione immune da vizi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

Questa ordinanza offre importanti indicazioni pratiche per tutti i contribuenti, e in particolare per le imprese. Il principio fondamentale è che il ritardo dello Stato nel restituire somme non dovute deve essere integralmente risarcito, includendo non solo gli interessi legali ma anche il danno da svalutazione. Per ottenerlo, è cruciale conservare e produrre in giudizio una documentazione contabile e bancaria accurata. Bilanci, contratti di finanziamento e estratti conto diventano prove decisive per dimostrare come l’indisponibilità di quel capitale abbia inciso negativamente sull’attività d’impresa, costringendola a sostenere costi finanziari che altrimenti non avrebbe affrontato.

Quando un contribuente ha diritto al risarcimento per danno da svalutazione in caso di rimborso fiscale tardivo?
Un contribuente ha diritto a tale risarcimento quando il ritardo nel pagamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria gli causa un pregiudizio economico, come la perdita del potere d’acquisto della somma. Tale danno può essere riconosciuto in via presuntiva, ma per ottenere un importo superiore è necessario provarlo.

Quali prove deve fornire un’impresa per dimostrare il danno da svalutazione?
Secondo la sentenza, un’impresa deve fornire prove concrete del danno subito, ad esempio producendo i bilanci societari che mostrano una ridotta redditività o la documentazione bancaria che attesta la necessità di ricorrere a prestiti onerosi a causa dell’indisponibilità della somma.

È sufficiente che un giudice affermi l’esistenza del danno senza spiegare come è stato provato?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che la sentenza deve esplicitare in modo sufficiente la ratio decidendi, ovvero il percorso logico-giuridico che ha portato a riconoscere il danno, basandosi sulle prove fornite. Questo è necessario per consentire il controllo sulla correttezza della decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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