Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18459 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Crotone, in persona del legale rappresentante p.t., con gli avv.ti NOME e NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
, ;
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato – controricorrente –
Avverso la sentenza n. 3321/20 resa dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria e depositata in data 4 dicembre 2020. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
1.La RAGIONE_SOCIALE chiedeva il rimborso IRAP versata in eccedenza per gli anni 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011 tenendo conto delle deduzioni assunte come spettanti in virtù della disciplina sul c.d. ‘cuneo fiscale ‘ (art. 11, comma 1 lett. a, d.lgs. n. 446/1997).
CUNEO FISCALE
La CTP di Crotone accoglieva il ricorso, osservando che la società non rientrava tra le publics utilities, operanti su concessione a tariffa ed escluse dal beneficio.
La CTR della Calabria riteneva fondato il gravame proposto dall’Agenzia, rilevando che la citata società aveva operato in regime di concessione traslativa, come del resto qualsiasi soggetto che gestisca una funzione di pubblico interesse tramite un legame con la P.A.
In particolare, a parere della CTR, tutti i diritti e le potestà inerenti all’attività gestita (autotrasporto) erano stati trasferiti alla società consortile di cui fa parte la società contribuente quale consorziata.
Inoltre, il servizio di trasporto locale, essendo squisitamente pubblico, in ogni caso potrebbe essere svolto solo in regime di concessione e del resto il contratto intervenuto fra la società consortile e la Regione prevedeva che i servizi venissero esercitati con tariffe, e venivano stabiliti i corrispettivi che la Regione si impegnava a corrispondere all’impresa in base alle percorrenze chilometriche.
Ancora, si affermava che la società riceveva dalla Regione diversi contributi che avevano il fine di integrare gli oneri derivanti dal CCN del lavoro.
La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi ; l’Agenzia delle Entrate ha resistito a mezzo di controricorso.
La ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Col primo motivo si denuncia il vizio di apparenza della motivazione della sentenza impugnata, assumendosi che la stessa non sarebbe basata sugli atti e risulterebbe avulsa dal contratto d’appalto intervenuto fra società e Regione.
1.1. Il vizio, per come denunciato, è insussistente, dal momento che la CTR ha senz’altro chiarito il percorso argomentativo della
propria decisione, avendo spiegato come per essa, da un lato, i rapporti tra ente pubblico titolare di un servizio e soggetto privato non possano che inquadrarsi nello schema della concessione traslativa; e dall’altro ha tratto conferma del proprio convincimento e della non debenza del rimborso da una serie di indicatori quali l’esercizio a tariffa, la sussistenza di un corrispettivo chilometrico a carico della Regione e l’erogazione di contributi regionali.
Col secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 11 d.lgs n. 446/1997; 18 e 19 d.lgs. n. 442/1997; 1362 e segg. cod. civ., avendo proceduto la CTR a riqualificare il contratto d’appalto in concessione traslativa, in assenza dei relativi presupposti.
Col terzo motivo viene denunciata la violazione delle medesime norme, laddove la CTR ha ritenuto sussistere l’ipotesi di tariffa regolamentata.
I motivi – esaminabili congiuntamente , in quanto all’evidenza connessi -sono fondati per le ragioni che seguono.
4.1. Va premesso quanto in plurime occasioni affermato da questa Corte regolatrice a proposito delle condizioni per la spettanza del rimborso del c.d. ‘cuneo fiscale’ ad imprese esercenti pubblici servizi (da ultimo Cass. n. 4527/2025; tra le altre Cass. n. 32633/2019; Cass. n. 16889/2020; Cass. n. 29504/2021; Cass. n. 35633/2023).
Orbene la misura agevolativa in argomento non si applica alle imprese che svolgono attività «regolamentata» (cc.dd. «public utilities»), ossia che operano in situazione di ‘mercato protetto’. Il che si verifica allorché la gestione del servizio avviene sulla base di una concessione traslativa (con la quale l’ente pubblico conferisce ad un soggetto privato diritti o potestà inerenti un’attività economica in origine riservata alla pubblica amministrazione), ricevendone l’impresa (sotto il profilo economico) un corrispettivo costituito da una tariffa, ossia un prezzo fissato o regolamentato dalla stessa pubblica amministrazione, da intendersi in senso
proprio come corrisposto direttamente dall’utenza. Tariffa che però, per escludere il beneficio, deve assicurare l’equilibrio economico -finanziario dell’investimento e consenta in tale ambito di scontare il costo derivante dall’imposizione IRAP.
In effetti entro tali limiti la Commissione europea (dec. 12/09/2007 C(2007) 4133, def.) ha riconosciuto la legittimità dell’esclusione del beneficio fiscale, nei confronti delle public utilities , prendendo atto che: « le autorità italiane hanno giustificato l’esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovra-compensazione generata dalla misura in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell’onere Irap prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura ‘.
Da quanto precede emerge che, invece, nell’ipotesi in cui la tariffa non sia remunerativa, cioè non consenta di assicurare l’equilibrio economico-finanziario, il beneficio va riconosciuto. Così come, a maggior ragione, esso va riconosciuto laddove il rapporto non sia regolato dal regime concessorio, bensì da un mero appalto di servizi.
Infatti, se il servizio sia gestito in regime d’appalto ciò esclude di per sé il rischio di sovra-compensazione, poiché la remunerazione avviene sulla base di un corrispettivo concordato, e a quel punto l’esercizio corrisponde ad una logica meramente imprenditoriale.
In definitiva, come affermato anche da ultimo da questa Corte, ‘ la necessità d’intendere il criterio normativo della «tariffa» come «tariffa remuneratoria», ossia capace di generare un profitto, è coerente con la ratio giustificatrice del c.d. cuneo fiscale, mentre consentire indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi, di fruire delle deduzioni Irap darebbe luogo a un utile insperato, genererebbe cioè in talune situazioni quella sovra-compensazione (secondo la terminologia dell’Amministrazione finanziaria) capace di frustrare l’obiettivo
perseguito dall’autorità di regolamentazione con la fissazione delle tariffe ‘ (Cass. 25/02/2022, n. 6332). In particolare, la sovra -compensazione si avrebbe ove la tariffa fosse remunerativa, ossia capace di generare un profitto (in tal senso Cass. 12/12/2019, n. 32633).
In altri termini, ove la tariffa (fissata dalla pubblica amministrazione e non dipendente dal mercato) fosse remuneratoria e compensativa del servizio prestato, anche in punto di onere IRAP, aggiungere ad essa anche il beneficio della riduzione del cuneo fiscale darebbe luogo ad una sovra-compensazione.
Sempre sotto il profilo economico, ai fini del (mancato) riconoscimento del beneficio, non potrebbe neppure tenersi conto di ulteriori corrispettivi (di natura latamente tariffaria, in quanto fissati dalle pubbliche amministrazioni, e non posti a carico dell’utenza) determinati genericamente in misura tale da assicurare l’equilibrio economico -finanziario dell’investimento e della connessa gestione del pubblico servizio, posto che sul punto l’art. 11, d.lgs. n. 446/1997 esclude il beneficio solo per le imprese che operino sulla base di una tariffa remunerativa che tenga conto del costo fiscale derivante dall’IRAP.
Invero, una tale estensione del concetto di tariffa non appare in linea con l’interpretazione della norma che riferisce la predeterminazione tariffaria, tale da escludere il suddetto vantaggio fiscale, solo in relazione ai settori espressamente indicati, nei quali la tariffa sconta specificamente il costo fiscale IRAP. Ed i sistemi di determinazione del corrispettivo di natura tariffaria presi in esame dal citato art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2, 3, 4 sono solo quelli che si rivelino sensibili alle variazioni dell’IRAP, nel senso che al variare del costo fiscale IRAP si verifica in termini relativamente automatici una variazione della tariffa stessa. Dunque, solo accedendo all’interpretazione rigorosa della nozione qui rilevante di tariffa, può ritenersi che l’esclusione dal suddetto
vantaggio fiscale possa qualificarsi come neutrale e non selettiva, perché solo in tali casi lo scomputo del costo fiscale IRAP avviene già in sede di predeterminazione tariffaria.
Pertanto non ogni corrispettivo che abbia alla base una predeterminazione tariffaria «in misura tale da assicurare l’equilibrio economico -finanziario dell’investimento e della connessa gestione, nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione medesima» (Circ. Ag. Entrate 61/E del 2007) giustifica l’esclusione dal vantaggio fiscale, ma solo quella che tenga conto specificamente del costo fiscale IRAP e che alle variazioni di tale costo ingeneri un’automatica variazione tariffaria.
Traendo le fila dai principi sopra richiamati, può concludersi (v., ad es., Cass. 12000/2023) nel senso che nel caso di esercizio di servizi pubblici, il beneficio di cui alla l. 27 dicembre 2006, n. 296 (c.d. cuneo fiscale), può essere riconosciuto alle relative imprese o quando le stesse svolgono tale attività in virtù di un contratto di appalto, ovvero quando la stessa sia svolta in virtù di un rapporto concessorio da parte dell’ente pubblico, nella sola ipotesi in cui la remunerazione del servizio sia rappresentata da una tariffa da corrispondersi da parte dell’utenza e non prevista come tale da garantire l’equilibrio economico -finanziario, in particolare tale da tener conto del costo fiscale IRAP, e che alle variazioni di tale costo ingeneri un’automatica variazione tariffaria, senza che rilevino ulteriori corrispettivi (di natura latamente tariffaria, in quanto fissati dalle pubbliche amministrazioni, e non posti a carico dell’utenza).
4.2. Preliminarmente deve escludersi che non sia più possibile esaminare la qualificazione del rapporto come di concessione od appalto (del resto non operata dal giudice di merito sull’assunta assenza di prova sul punto), in quanto la qualificazione giuridica, con le relative conseguenze effettuali, rientra nello scrutinio di legittimità affidato a questa Corte, a differenza della mera
interpretazione della volontà dei contraenti (‘A differenza dell’attività di interpretazione del contratto, che è diretta alla ricerca della comune volontà dei contraenti e integra un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, l’attività di qualificazione giuridica è finalizzata a individuare la disciplina applicabile alla fattispecie e, affidandosi al metodo della sussunzione, è suscettibile di verifica in sede di legittimità non solo per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico di riferimento, ma anche per quanto riguarda la rilevanza qualificante attribuita agli elementi di fatto accertati e le implicazioni effettuali conseguenti’ (Cass. 4/06/2021, n. 15603).
Orbene, dal punto di vista formale non sempre risulta agevole la distinzione fra le concessioni traslative di pubblici servizi, che comportano il trasferimento ad un soggetto privato l’esercizio di pubbliche funzioni, fino al punto di costituire un organo indiretto della P.A. producendo, nei confronti dei terzi, gli stessi effetti che determinerebbe l’azione amministrativa diretta della P.A. medesima (Cass. 14/06/2016, n. 12260), riservandosi l’amministrazione titolare poteri di controllo tecnico ed economico e di un immanente potere sostitutivo; e l’affidamento di un servizio in appalto, in cui non solo il potere sostitutivo è azionabile soltanto in presenza di inadempienze da parte dell’appaltatore, ma soprattutto in tal caso il servizio appaltato resta interamente assoggettato all’amministrazione conferente, per cui l’appaltatore si limita a ricevere un corrispettivo pattuito.
Dal punto di vista negoziale, tali strutturali differenze si concretizzano nel primo caso attraverso la concessione, unitamente al servizio, anche dell’eventuale remunerazione tipica dello stesso da parte dell’utenza, tramite il trasferimento al concessionario anche della potestà tariffaria, incluso la riscossione e l’accertamento, pur sotto i poteri di controllo amministrativo (inclusa la relativa determinazione od approvazione della tariffa
gravante sull’utenza); nel secondo caso nella previsione negoziale di un corrispettivo d’appalto a carico dell’amministrazione ed in favore dell’appaltatore, laddove eventuali tariffe a carico dell’utenza restano in capo all’amministrazione conferente.
Effettuata tale ricostruzione complessiva, appare ben evidente come -nel caso di specie il giudice d’appello non si sia adeguato ai richiamati principi, avendo:
-da un lato osservato, fuor d’opera, che tutti i servizi che vengono affidati ad un privato dalla pubblica amministrazione seguano lo schema della concessione traslativa, il che, in base a quanto si è in precedenza esposto, non è;
d all’altro non ha indagato circa la remuneratività delle tariffe, né sulla loro efficacia unitamente ai contributi, di compensare il costo dell’IRAP.
Alla luce di ciò emerge come, in effetti, così operando, il giudice d’appello abbia violato i principi e con essi le norme che regolano il diritto al rimborso oggetto di giudizio, e tanto determina la cassazione della sentenza con rinvio al giudice d’appello medesimo, che provvederà a conformarsi ai principi qui ribaditi, oltre a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2025