Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4187 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4187 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
Cartella di pagamento -sanzioni -tardivo versamento accontiinfedele dichiarazionecumulo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9263/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difeso dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente –
Contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA, n. 4299/2015, depositata il 06/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La RAGIONE_SOCIALE con rifermento ai redditi del 2008, presentava, in data 30 settembre 2010, dichiarazione integrativa a favore dell’Ufficio con la quale indicava un maggiore imponibile ai fini Ires rispetto a quello indicato nella dichiarazione originaria, presentata il 29 settembre 2009. In ragione di ciò, nella medesima data, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso, versava la differenza a saldo, gli interessi dovuti e la sanzione per infedele dichiarazione di cui all’art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997 nella misura ridotta di 1/10.
L’Ufficio, procedendo al controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi del 2009, riscontrava, tuttavia, il tardivo versamento degli acconti versati rispetto a quanto indicato con la dichiarazione in rettifica relativa all’anno 2008. Per l’effetto , notificava alla contribuente cartella con la quale intimava il versamento delle sanzioni previste dall’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 per tale ipotesi.
La società proponeva ricorso con il quale, per quanto ancora di rilievo, sosteneva l’illegittimità de lle sanzioni inflitte ed assumeva che, tramite il ravvedimento operoso per l’infedele dichiarazione del 2008, aveva già sanato la propria posizione. Osservava, infatti, che gli acconti Ires dovuti per il 2009 erano stati corrisposti nei termini e nella misura dovuta con il metodo storico in ragione della dichiarazione originaria di redditi presentata il 29 settembre 2009.
La C.t.p. rigettava il ricorso. Osservava che vi erano due diverse fattispecie sanzionatorie, di cui la prima per il tardivo versamento degli acconti Ires alle scadenze previste, e la seconda per l’infedele dichiarazione; che la società si era avvalsa del ravvedimento operoso (con conseguente riduzione della sanzione ad 1/10) solo per una delle due violazioni, ovvero quela relativa all’infedele dichiarazione dei redditi del 2008.
La C.t.r. rigettava l’appello della contribuente . Confermava che si trattava di due diverse violazioni, anche temporalmente distinte; che per la prima, relativa all’anno 2008, di infedele dichiarazione, la società si era avvalsa del ravvedimento operoso; che per la seconda, relativa all’omesso versamento degli acconti effett ivamente dovuti – che la contribuente aveva versato in ragione di quanto originariamente dichiarato e non di quanto oggetto di successiva rettifica – la società avrebbe dovuto e potuto ricalcolarli, evitando, così, di incorrere in nuova sanzione.
La società contribuente propone ricorso nei confront i dell’Agenzia delle entrate che resiste con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 1, comma 2, e 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver omesso del tutto la ricostruzione delle vicende sottese all’atto impugnato e delle eccezioni e controdeduzioni delle parti.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, dell’art. 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, dell’a rt. 12 preleggi.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile la sanzione di cui all’a rt. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 anche per il caso di versamento nel termine di legge delle imposte risultanti dalla dichiarazione originaria.
Assume che se la dichiarazione è infedele oppure omessa e si accede al ravvedimento operoso per sanare la violazione, con versamento delle maggiori imposte, non può essere applicata anche la
san zione prevista dall’art. 13 d.lgs. c it. per il solo caso di imposte dichiarate e non versate.
Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione falsa applicazione dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997 e del principio comunitario di proporzionalità delle sanzioni.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che non vi fosse assorbimento delle sanzioni trattandosi della violazione di due fattispecie differenti.
Il primo motivo è infondato.
4.1. In tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass.15/11/2019, n. 29721, Cass. 20/01/2015, n. 920).
La sentenza impugnata non incorre in tale violazione essendo chiaramente individ uato l’atto impugnato, il titolo della pretesa e le ragioni del contendere rilevanti nel giudizio di appello.
Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.
5.1. Questa Corte, pronunciandosi dapprima in materia di Iva, ha precisato che l’art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997 punisce la dichiarazione infedele, che si realizza quando il contribuente indica un importo inferiore a quello dovuto; mentre la diposizione di cui all’art. 13 d.lgs. cit. punisce il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella dichiarazione, senza che rilevi al
riguardo la loro indicazione nella contabilità. Ne deriva che, in caso di omessa indicazione, nella dichiarazione annuale Iva, dell’importo effettivamente dovuto, il mancato pagamento dell’imposta costituisce diretta conseguenza dell’omessa dichiarazione, integrandosi in tal modo la fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, che copre sia la violazione formale, sia il conseguente ed inevitabile mancato pagamento dell’imposta dovuta, con conseguente assorbimento della sanzione meno grave di cui all’art. 13 del d.lgs. citato.» (Cass. 15/03/2023, n. 7436, Cass. 07/12/2020, n. 27963).
5.2. Il principio è stato successivamente ripreso in tema di imposte dirette – con riferimento alle quali sono previste analoghe sanzioni precisando che si tratta di affermazione espressa a definizione di una controversia in tema di Iva, ma formulata con generale riferimento ad ogni ipotesi di violazione di disposizioni tributarie (Cass. 11/01/2022, n. 483 e Cass. 29/11/2022, n. 35066).
Si è osservato, infatti, che la disposizione in esame non sanziona il mero «omesso versamento» dell’imposta ma, piuttosto, la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione e presuppone, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo come imposta dovuta e che l’importo dichiarato non sia stato successivamente versato. Da ciò discende che, laddove il mancato versamento dell’imposta sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione più grave che copre, pertanto, non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte
contribuente provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione. Ciò comporta che la sanzione meno favorevole assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta (Cass. n. 27963 del 2020 cit.).
5.3. Gli stessi principi sono applicabili alla fattispecie in esame.
Non incide, infatti, su quanto già affermato da questa Corte il fatto che rispetto al primo illecito (derivante dall’infedele dichiarazione) il contribuente si sia avvalso dal ravvedimento operoso pagando, di conseguenza, la sanzione in misura ridotta. Resta fermo, infatti, che il mancato versamento dell’imposta -per il quale l’Agenzia pretende il pagamento della sanzione portata dalla cartella impugnata – sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, ovvero di un illecito per il quale il contribuente ha provveduto al pagamento di quanto dovuto.
Resta fermo, infatti, che non sono ravvisabili due distinte violazioni autonomamente sanzionabili, ma un unico comportamento, al quale non può che essere applicata un’unica sanzione.
In conclusione, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con l’accoglimento dell’originario ricorso del la contribuente.
Le spese delle fasi di merito restano compensate in ragione del consolidamento solo recente dei principi affermati. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente. Condanna la controricorrente al
pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 pe esborsi, euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, iva e cap come per legge
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2025.