Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29589 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29589 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.47/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, con socio unico in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio letto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
Oggetto: operazioni oggetti- vamente inesistenti
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimata – avverso la sentenza n. 4083/16/2019 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 14/5/2019.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 23 settembre 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 4083/16/2019 veniva rigettato l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE con socio unico avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 8698/40/2016 che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente, avente ad oggetto l’avviso di accertamento per II.DD. e IVA e altro relativamente al periodo di imposta 2006 notificatole dall’RAGIONE_SOCIALE delle entrate.
Nella sentenza impugnata si legge che l ‘accertamento traeva origine da una verifica conclusa con p.v.c. e venivano contestate operazioni oggettivamente inesistenti coinvolgenti le società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, considerate cartiere fatturanti alla contribuente prestazioni di servizi pur in assenza di dipendenti e sede sociale, costi poi portati in deduzione dalla base imponibile ai fini delle imposte dirette e in detrazione ai fini IVA.
Dalla lettura del ricorso e del controricorso si evince che il giudice di prime cure accoglieva in parte la preliminare doglianza della contribuente di decadenza dal potere accertativo limitatamente alla ripresa IRAP, confermando le restanti riprese. Il giudice d’appello confermava integralmente tale decisione.
La contribuente ha proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione, affidato a cinque motivi, che illustra con memoria ex art.380bis.1. cod. proc. civ., mentre l’RAGIONE_SOCIALE delle entrate è rimasta intimata.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, nn.3 e 4, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione da parte del giudice degli artt. 7 legge 212/2000, 19 d.P.R. n.633/72 e 4 L. n.2248/1865, All. E, e la violazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 4 L. n.2248/1865, All. E.. Il motivo, ulteriormente rielaborato in memoria, è incentrato sulla presunta illegittima integrazione della motivazione dell’avviso di accertamento, che richiama il p.v.c., da parte del giudice d’appello, con indebita sostituzione del giudice all’amministrazione.
Con il secondo motivo del ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, nn.4 e 5, cod. proc. civ., si deduce la violazione dell’art.36, comma 2, d.lgs. n. 546/92, con riferimento alla motivazione espressa dal giudice d’appello in relazione alle riprese ad imposizione per operazioni in parte ritenute oggettivamente inesistenti perché emesse da ‘cartiere’ e in parte no (5 fatture del 2006 emesse da RAGIONE_SOCIALE).
I motivi, connessi in quanto vertenti sulla medesima circostanza della oggettiva esistenza di determinate operazioni e non di altre poste in essere dalle medesime società, ritenute ‘cartiere’ , sono di trattazione congiunta e non possono trovare ingresso.
3.1. Si rammenta che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053 cui hanno fatto seguito numerose pronunce conformi delle Sezioni ordinarie, tra cui Cass. n. 7090/2022 nonché Cass. n. 6986/2023, in motivazione).
3.2. La ricorrente non si confronta pienamente con la decisione impugnata, dal momento che si legge alle pagg.14 e 15 del ricorso: «Secondo la CTR (…) dovrebbero prendersi in considerazione solo le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2006 perché tutte le fatture dalla RAGIONE_SOCIALE per la medesima annualità risultavano disconosciute e solo alcune delle fatture emesse in deduzione e detrazione». Inoltre, il ricorso cita un breve passaggio a pag.7 della sentenza d’appello , nella parte in cui conferma la sentenza di primo grado anche laddove, per 5 fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, ha ammesso i costi a deduzione e detrazione: «poiché trattasi di fatture attinenti alla fornitura di beni può ipotizzarsi che esse non siano state disconosciute dall’Ufficio perché giudicate afferenti a prestazioni effettivamente eseguite seppur da
parte di altro soggetto ( id est : fatture per operazioni solo soggettivamente inesistenti)». Per l’effetto, contesta l’asserita ‘ integrazione motivazionale ‘ sulla qualificazione delle operazioni ai fini del disconoscimento della detrazione e deduzione dei costi fatturati per una parte delle fatture e riconoscimento di deduzione e detrazione per un’altra parte di fatture.
La motivazione non è affatto perplessa, dal momento che, innanzitutto, il giudice di appello a p.6 della sentenza ha chiaramente qualificato tutte le operazioni per cui è causa come oggettivamente inesistenti: «a fronte di plurimi indizi dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, era onere del contribuente … ». Inoltre, con riferimento alle 5 fatture della RAGIONE_SOCIALE esaminate in fase amministrativa e per le quali l’accertamento impugnato ha ammesso i costi a deduzione e detrazione, non solo non vi è contraddizione alcuna con il disconoscimento di costi per altre fatture, dal momento che determinate operazioni possono essere ritenute soggettivamente inesistenti, ad es. il coinvolgimento di terzi soggetti oltre alle ‘cartiere’ e, dunque, essere realizzate nella loro materialità sia pure da terzi, e altre oggettivamente inesistenti, ossia mai realizzate nella loro materialità, con conseguente diverso regime ai fini del meccanismo di deduzione e detrazione.
Ma soprattutto, le censure in disamina non si confrontano pienamente con la ratio decidendi , dal momento che il giudice d’appello ha affermato, proprio a pag.6 della sentenza, che «di ciò può solo giovarsi la contribuente odierna appellante», ossia ogni contestazione a riguardo era inammissibile per difetto di interesse ex art.100 cod. proc. civ., statuizione poi ribadita anche a pag.7: «E comunque, deve ribadirsi che l’evidenziata incongruenza dell’accertamento in parte qua va a favore del contribuente». Tale ratio , di per sé idonea a dismettere la contestazione della contribuente, non è stata specificamente impugnata.
Per il resto, la motivazione del giudice, ampiamente ricostruttiva del fatto, del contenuto delle fasi processuali, delle contestazioni e difese delle parti, superate le questioni preliminari, esprime una ratio decidendi nel senso dell’oggettiva inesistenza delle operazioni controverse che certamente rispetta il minimo costituzionale.
Con il terzo motivo del ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, nn.4 e 5, cod. proc. civ., si deduce la violazione degli artt.111, comma 6, Cost., 36, d.lgs. n. 546/92 e 132 cod. proc. civ., con riferimento al capo della sentenza in cui il giudice afferma l’inadeguatezza della documentazione depositata dalla ricorrente a provare l’effettività delle prestazioni rese dalle presunte ‘cartiere’ in favore della RAGIONE_SOCIALE.
La censura è inammissibile in quanto meritale (cfr. Cass. n.20753 del 2021 e giurisprudenza ivi citata). La valutazione dei fatti di causa rientra nel sovrano apprezzamento del giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità, ed è la stessa ricorrente a riportare l’esteso e argomentato accertamento fattuale posto in essere dal giudice d’appello sulla questione. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata non solo non si colloca al di sotto del minimo costituzionale (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cit.), ma, sin dalla prospettazione della censura, ne emerge l’inammissibilità perché la Corte di cassazione, non è legittimata a compiere una rivalutazione degli atti processuali, dei fatti o delle prove, potendo solo controllare che la motivazione della sentenza oggetto di impugnazione sia lineare e scevra di vizi logico-giuridici, come nel caso.
Con il quarto motivo, ai fini dell’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., si deduce la violazione degli artt. 57 d.P.R. n.633/72, 43 d.P.R. n.600/73, 1, commi 130-132 l. n.208/2015 da parte del giudice che ha rigettato la doglianza preliminare di decadenza dell’Amministrazione dal potere impositivo.
Il motivo di ricorso sostanzialmente afferma che, per effetto della norma transitoria, il raddoppio dei termini scatta solo se la trasmissione della notizia di reato avviene entro i normali termini di accertamento. La legge di stabilità sarebbe stata totalmente sostitutiva della disciplina precedente. A ragionare diversamente, si configurerebbe una disparità di trattamento ai fini dell’art.3 Cost..
Il motivo è infondato.
7.1. L’avviso di accertamento impugnato è stato notificato in data 1.7.2015. A differenza di quanto ritiene la contribuente, fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 128/2015, ossia il 2 settembre 2015, i termini per l’accertamento della pretesa impositiva previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA erano raddoppiati esclusivamente sulla base dell’astratta sussistenza dei presupposti in presenza dei quali si configura in capo al pubblico ufficiale l’obbligo della denuncia penale, a mente dell’art. 331, c.p.p., secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011 (v. Cass. n.16728/2016; Cass. n.33793/2019).
Dunque, l’invocat a novella non trova applicazione né si configura la paventata generica deduzione di disparità di trattamento, in presenza di una specifica scelta del legislatore di non intervenire anteriormente al 2.9.2015 nel senso invocato dalla società, con pieno rispetto dell’art.3 Cost..
Con il quinto motivo del ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472/97 da parte del giudice nella parte in cui la sentenza impugnata nega l’applicabilità del cumulo giuridico previsto per il caso in cui violazioni della medesima indole siano commesse in diversi periodi di imposta.
9. Il motivo è fondato.
9.1. L’art.12, comma 5, d.lgs. n. 472/97, nel testo applicabile ratione temporis , dispone: «Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate».
9.2. Erra il giudice a ritenere decisivo, all’ultima pagina della sentenza, il fatto che « l’istituto non può trovare applicazione stante il sopravvenuto annullamento degli accertamenti relativi agli anni di imposta 2007 e 2008». Tenuto conto che tali sentenze sono state impugnate con ricorsi per Cassazione, decisi all’odierna udienza con cassazione con rinvio, trova applicazione il disposto di legge suddetto, come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9501/2017 e n. 5648/2020), dal momento che il giudice che prenderà cognizione dell’ultimo atto applicherà il cumulo.
La sentenza è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa
composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 settembre 2025
La Presidente NOME COGNOME