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Culpa in vigilando: responsabilità del contribuente

Una società è stata ritenuta responsabile per un ingente debito fiscale derivante da omessi versamenti, nonostante avesse affidato la contabilità a un professionista esterno risultato poi infedele. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, sottolineando il principio della ‘culpa in vigilando’, ovvero il dovere del contribuente di sorvegliare l’operato del professionista incaricato. La semplice denuncia penale contro quest’ultimo non è sufficiente a escludere la responsabilità e le relative sanzioni.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Affidarsi a un commercialista non basta: la responsabilità del contribuente e la ‘culpa in vigilando’

Delegare la gestione fiscale e contabile a un professionista è una prassi comune per imprese e privati. Ma cosa succede se il consulente commette errori o, peggio, agisce in modo fraudolento? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un principio fondamentale: la responsabilità finale ricade sul contribuente, a causa della cosiddetta culpa in vigilando. Affidare un incarico non significa potersi disinteressare completamente; al contrario, impone un preciso dovere di controllo e supervisione.

I Fatti del Caso: Un Incarico Finito Male

Una società di servizi si è vista recapitare una cartella di pagamento da quasi due milioni di euro per Ires e Iva non versate. La causa? L’indebito utilizzo di un credito d’imposta in compensazione e l’omissione di alcuni versamenti. La società si è difesa sostenendo di aver affidato tutta la gestione contabile a una società terza e che ogni responsabilità fosse da attribuire a quest’ultima, la quale aveva agito in modo infedele, arrivando a falsificare i modelli di pagamento F24. A riprova della propria buona fede, la società contribuente aveva anche sporto una denuncia-querela nei confronti del rappresentante legale della società incaricata.

Il Percorso Giudiziario: Dal Primo Grado alla Cassazione

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato torto alla società. Secondo i giudici di merito, l’aver delegato la contabilità non esime l’imprenditore dalla responsabilità. Su di esso grava non solo l’onere di scegliere con oculatezza il professionista, ma anche quello di controllarne l’operato.
La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo principalmente su due filoni: la presunta carenza di motivazione degli atti e la mancata responsabilità per colpa del terzo. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato i motivi inammissibili e infondati, confermando le decisioni precedenti.

L’Importanza della “Culpa in Vigilando” nel Diritto Tributario

Il cuore della decisione ruota attorno al concetto di culpa in vigilando. Questo principio stabilisce che chi affida un compito a un terzo mantiene un dovere di sorveglianza sul suo operato. In materia fiscale, questo significa che il contribuente non può semplicemente ‘delegare e dimenticare’.
La Cassazione ha chiarito che, per essere esentati dalle sanzioni a causa del fatto illecito di un terzo (come previsto dall’art. 6, comma 3, del D.Lgs. 472/1997), non basta presentare una denuncia penale. È necessario dimostrare di aver attivamente vigilato sul corretto adempimento del mandato conferito all’intermediario. Questa prova, nel caso di specie, non è stata fornita.

Come si Esercita la Vigilanza?

La Corte ha specificato che il contribuente deve fornire la prova concreta dell’attività di vigilanza e controllo. Ad esempio, avrebbe dovuto farsi consegnare le ricevute telematiche della presentazione delle dichiarazioni e verificare l’effettivo pagamento delle imposte, non accontentandosi di documenti che potevano essere falsificati.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso per diverse ragioni. In primo luogo, ha ritenuto inammissibili alcune censure perché sollevate per la prima volta in appello, violando le regole processuali. Nel merito, ha ribadito la consolidata giurisprudenza in materia. La colpa dell’imprenditore è ravvisabile anche quando si affida a soggetti esterni, poiché su di lui grava un onere di scelta oculata e, soprattutto, di controllo. L’esimente prevista dalla legge per il fatto del terzo si applica solo se il contribuente dimostra di non aver tenuto alcuna condotta colpevole, nemmeno a titolo di culpa in vigilando. Nel caso specifico, la società contribuente non ha provato di aver messo in atto le necessarie misure di controllo per prevenire o scoprire l’inadempimento del professionista, rendendola di fatto corresponsabile dell’omesso versamento delle imposte e destinataria delle relative sanzioni.

Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutti i contribuenti, in particolare per le imprese. La scelta di un consulente fiscale o di una società di servizi contabili è un passo delicato che non esaurisce gli obblighi del contribuente. È fondamentale instaurare un rapporto basato non solo sulla fiducia, ma anche su un controllo periodico e documentato. Chiedere e conservare le prove dei pagamenti e delle dichiarazioni trasmesse è una pratica essenziale per tutelarsi e per poter dimostrare, in caso di problemi, di aver fatto tutto il possibile per rispettare gli obblighi fiscali, adempiendo così al proprio dovere di vigilanza.

Il contribuente è sempre responsabile per gli errori del professionista a cui affida la contabilità?
Sì, la responsabilità permane a meno che il contribuente non dimostri di aver adempiuto al proprio obbligo di vigilanza (culpa in vigilando) sull’operato del professionista e di non aver tenuto una condotta negligente.

È sufficiente denunciare penalmente il commercialista infedele per evitare le sanzioni fiscali?
No, la sola denuncia non è sufficiente. Secondo la Corte, per ottenere l’esenzione dalle sanzioni, il contribuente deve anche fornire la prova di aver esercitato un’attenta e concreta attività di controllo e vigilanza sul puntuale e corretto adempimento del mandato da parte dell’intermediario.

Si possono presentare nuovi motivi di contestazione per la prima volta in appello in un processo tributario?
No, di regola non è possibile. L’art. 57 del D.Lgs. n. 546/92 stabilisce che in appello non possono essere proposte nuove domande o eccezioni che non siano state sollevate nel ricorso di primo grado. Tali nuove doglianze vengono dichiarate inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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