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Credito IVA: onere della prova spetta al contribuente

La Corte di Cassazione ha stabilito che un contribuente non può limitarsi a indicare un credito IVA nella dichiarazione per averne diritto. In caso di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, spetta al contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza di tale credito. La Corte ha annullato la decisione di merito che aveva convalidato il credito basandosi unicamente sulla sua precedente dichiarazione, ritenendo tale motivazione apparente e non sufficiente a dimostrare il diritto alla detrazione.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Credito IVA: l’onere della prova spetta sempre al contribuente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia fiscale: la semplice indicazione di un credito IVA nella dichiarazione dei redditi non è sufficiente a garantirne l’utilizzo se l’Amministrazione Finanziaria ne contesta l’esistenza. Spetta al contribuente, e non al Fisco, l’onere di dimostrare con prove concrete l’origine e la legittimità di tale credito. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una società cooperativa in liquidazione si è vista recapitare una cartella di pagamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2010. La cartella era il risultato di un controllo automatizzato sulla dichiarazione dei redditi, in cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’utilizzo di un credito IVA proveniente dall’anno precedente (2009).

La società ha impugnato l’atto, sostenendo la piena legittimità del credito. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno dato ragione al contribuente. Secondo i giudici di merito, il credito era legittimo perché risultava dalla dichiarazione del 2009 e non era mai stato precedentemente utilizzato. Questa impostazione, tuttavia, non ha convinto l’Agenzia delle Entrate, che ha deciso di ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Cassazione e l’onere probatorio sul credito IVA

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, ribaltando completamente le decisioni dei gradi precedenti. Il punto cruciale della sentenza risiede nella critica alla motivazione dei giudici di merito, definita “apparente” e basata su un’applicazione “stereotipata” della legge.

I giudici di secondo grado, infatti, si erano limitati a constatare che il credito era stato indicato nella dichiarazione dell’anno precedente, senza però entrare nel merito della questione sollevata dall’Agenzia: l’effettiva esistenza di quel credito. La Cassazione ha chiarito che la dichiarazione fiscale è una mera dichiarazione di scienza, ovvero un’affermazione del contribuente, ma non costituisce di per sé prova legale dei fatti che vi sono esposti.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri argomentativi interconnessi:
1. Motivazione Apparente (Violazione di norme processuali): La sentenza d’appello è stata censurata perché non ha fornito una vera motivazione. Non ha spiegato perché ha ritenuto provata l’esistenza del credito, limitandosi a un rinvio formale alla precedente dichiarazione. Questo, secondo la Corte, equivale a una mancata risposta alla specifica contestazione dell’Agenzia, che metteva in dubbio proprio la sussistenza del credito.
2. Violazione di Legge (Violazione di norme tributarie): La Corte ha ribadito il principio, già consolidato a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n. 17757/2016, secondo cui nel contenzioso tributario l’onere della prova dei fatti costitutivi di un diritto (come un credito d’imposta o una deduzione) spetta sempre al contribuente. Pertanto, di fronte alla contestazione del Fisco, la società avrebbe dovuto produrre la documentazione contabile e fiscale (fatture, registri IVA, ecc.) necessaria a dimostrare l’origine e la correttezza del credito IVA vantato.

In sostanza, la Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, affinché questa volta si valuti nel merito se il contribuente abbia fornito o meno la prova dell’esistenza del credito.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

Questa ordinanza è un monito importante per tutte le imprese e i professionisti. Non è sufficiente compilare correttamente la dichiarazione dei redditi per essere al riparo da contestazioni. È essenziale mantenere una documentazione contabile impeccabile e essere pronti a esibirla per provare la legittimità di ogni singola posta, in particolare per i crediti d’imposta.

La decisione chiarisce che il Fisco ha il diritto di mettere in discussione i dati dichiarati e, quando lo fa, la palla passa al contribuente. La dichiarazione è un punto di partenza, non un punto di arrivo. La vera prova del diritto risiede nei documenti che lo hanno generato. Pertanto, un’accurata conservazione della documentazione non è solo un obbligo formale, ma una necessità strategica per difendere le proprie ragioni in caso di contenzioso.

È sufficiente indicare un credito IVA nella dichiarazione dei redditi per aver diritto alla sua detrazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la semplice indicazione del credito in dichiarazione non è sufficiente se l’Agenzia delle Entrate ne contesta l’esistenza. Il contribuente ha l’onere di provare l’effettiva esistenza del credito con idonea documentazione.

Su chi ricade l’onere della prova in caso di contestazione di un credito IVA?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente. È quest’ultimo a dover dimostrare, attraverso prove documentali, i fatti che hanno generato il credito che intende utilizzare.

Cosa significa che la motivazione di una sentenza è “apparente”?
Significa che il ragionamento del giudice, pur essendo presente formalmente, non analizza in modo specifico e concreto il punto cruciale della controversia, ma si basa su formule generiche o stereotipate. In questo caso, affermare che il credito esisteva solo perché dichiarato in precedenza è stata considerata una motivazione apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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