Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2773 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2773 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30128/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del LAZIO-ROMA n. 1543/2018 depositata il 09/03/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. In esito a controllo formale della dichiarazione 2008 per l’anno di imposta 2007 di RAGIONE_SOCIALE , effettuato ai sensi degli artt. 39 bis DPR 600 del 1973 e 54 bis DPR 633 del 1972, emergeva il mancato versamento di RAGIONE_SOCIALE, Irap ed Iva, con conseguente iscrizione a ruolo delle maggiori imposte dovute, oltre soprattasse ed accessori, confluite nella cartella di pagamento n. 09720110161882426, per la complessiva somma di euro 262.339,88, avverso la quale la contribuente proponeva ricorso innanzi alla CTP di Roma, deducendo, segnatamente, riguardo all’Iva, che la somma pretesa in pagamento, pari ad euro 183.776, derivava dal mancato riconoscimento di un credito d’imposta invece legittimo. Esponeva, infatti, che, nella dichiarazione 2000 per l’anno di imposta 1999, aveva evidenziato un credito Iva di euro 244.876; per gli anni 2000 e 2001 aveva presentato istanza di condono; per gli anni successivi fino al 2006 era ‘stato omesso il credito Iva come si evince dalle copie dei quadri VL allegati ‘; ‘nella dichiarazione Iva dell’anno 2007 è stato inserito al rigo VL26 il credito di euro 183.776 relativo al credito del 1999 al netto degli utilizzi effettuati’. Indi contestava il recupero dell’Iva, giacché ‘la ricorrente non ha omesso nulla né tantomeno ha versato meno del previsto, siamo in presenza di un legittimo ‘credito Iva’ che deriva da una dichiarazione presentata – nell’anno 1999 – non esposto nelle dichiarazioni precedenti ‘ (p. 2 controric.).
La CTP di Roma accoglieva il ricorso con sentenza n. 37/11/13.
L’Ufficio proponeva appello, accolto dalla CTR del Lazio con sentenza n. 3705/01/14.
4. La contribuente proponeva ricorso per cassazione.
4.1. La Sez. VI -5 di questa Suprema Corte cassava con rinvio detta sentenza della CTR con ordinanza n. 4335 del 24/01/2017, osservando, in motivazione, quanto segue:
‘Il primo motivo di ricorso, incentrato sulla possibilità di riconoscimento del credito Iva non indicato nella dichiarazione relativa all’anno al quale si riferisce il credito stesso ingiustamente denegato dalla CTR, è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte -sent. n. 17757/2016, depositata 1’8.9.2016 -hanno di recente ritenuto che «La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta -risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto -sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto -ovvero non controverso -che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a Iva e finalizzati a operazioni imponibili».
Orbene, a detto principio non si è attenuto il giudice di appello che ha escluso la possibilità di fare valere nel giudizio promosso dalla parte contribuente per contrastare la cartella di pagamento emessa dall’Ufficio il diritto a detrazione del credito Iva non indicato nella dichiarazione Iva.
Sarà poi compito del giudice di merito verificare se la parte contribuente ha assolto l’onere di comprovare che l’eccedenza d’imposta sia stata comunque avanzata tempestivamente dal secondo i principi sopra esposti.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR del Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità’.
La contribuente riassumeva il giudizio.
La CTR del Lazio, giudicando in sede di rinvio, giusta la sentenza in epigrafe, ‘accoglie l’appello nei limiti di cui in motivazione’.
6.1. Alla stregua della motivazione, la CTR
-riteneva infondato ‘l’appello dell’Ufficio quanto alla pretesa Iva’ osservando:
–‘Al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza del credito Iva nell’anno 1999 la società ha prodotto documentazione (segnatamente: quadri VL delle pregresse dichiarazioni, registro Iva 2007) rispetto alla quale l’Ufficio nulla di specifico ha argomentato per contestarne la rilevanza probatoria; parimenti, nulla di specifico ha obiettato l’Ufficio quanto al fatto che il credito addotto dalla contribuente sia connesso ad acquisti fatti da un soggetto passivo di imposta, assoggettati a Iva e finalizzati a operazioni imponibili. Per contro, seppure indirettamente, depone per la piena attendibilità della documentazione prodotta dalla società la circostanza che il credito non sia stato inserito nell’intero importo risultante dalla dichiarazione Iva del 1999 (euro 244.876) ma nell’importo residuale di euro 183.776, al netto degli acconti utilizzati in
compensazione nei modelli F24 per gli anni 2000, 2005 e 2006. In definitiva, la Commissione ritiene effettivamente sussistente il credito Iva addotto dalla contribuente per cui, in applicazione del principio stabilito dal giudice di legittimità con la sentenza di annullamento, va dichiarata l’illegittimità della cartella per cui è controversia relativamente alla pretesa Iva’;
-quanto, poi, alle riprese in punto di RAGIONE_SOCIALE ed Irap,
–preliminarmente, ‘rileva l’infondatezza dell’eccezione di giudicato interno formulata dall’Ufficio’, ‘dato che l’atto tributario per cui è controversia è stato annullato integralmente dal primo giudice e, dunque, anche con riferimento a tali due tributi, tanto che nel gravame lo stesso Ufficio lamenta la carenza motivazionale della sentenza della CTP su questo punto’;
–nel merito, giudicava fondato, e perciò parzialmente meritevole di accoglimento, ‘l’appello dell’Ufficio nella parte in cui, con motivo da ritenersi autonomo, che il primo giudice abbia annullato totalmente la cartella nonostante la stessa contribuente avesse riconosciuto la debenza di parte dei tributi ivi esposti a titolo RAGIONE_SOCIALE e Irap. In effetti, nel ricorso introduttivo la ricorrente riconosceva dovuta, quanto all’Irap, ‘la somma di euro 269 a titolo di soprattassa al netto di euro 134,50 già versat’ e, quanto all’RAGIONE_SOCIALE, ‘la somma di euro 470,70 a titolo di soprattassa per gli omessi versamenti del primo e secondo acconto e dei relativi interessi di euro 29,99”.
Propone ricorso per cassazione l’Ufficio con tre motivi; resiste la contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ. e dell’ordinanza n. 4335 del 2017 della Corte di cassazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. La RAGIONE_SOCIALE non ha osservato il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza rescindente. Essa inoltre
-‘ha ignorato che la stessa società contribuente aveva – sin dalla proposizione del ricorso di primo grado – ammesso di aver presentato istanza di condono per gli anni 2000 e 2001, e di non aver mai esposto il credito Iva nelle dichiarazioni fiscali per gli anni successivi al 1999 e fino all’anno 2006’;
-‘ha mancato di considerare il disposto del primo comma dell’art. 19 del DPR n. 633/1972 (nella versione vigente ‘ratione temporis’)’, sicché, ‘proprio nel perimetro del compito demandatole dall’ordinanza n. 4335/2017’, non ha accertato la ‘tempestività nell’utilizzo in detrazione del credito d’imposta ‘de quo’, invece palesemente mancante’.
Con il secondo motivo si denuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 19 DPR n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ..
2.1. ‘Le medesime considerazioni sopra enunciate valgono a ravvisare nella decisione quivi impugnata anche un autonomo profilo di contrasto con il surrichiamato testo dell’art. 19 del DPR n. 633/1972’.
Con il terzo motivo si denuncia: nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
3.1. Il rigetto, da parte del giudice di rinvio, nella sentenza impugnata, dell’eccezione di giudicato relativamente ai recuperi di RAGIONE_SOCIALE ed Irap è illegittimo, atteso che la sentenza della CTR n.
3705/01/14 – la quale, in integrale accoglimento dell’appello erariale, aveva confermato la legittimità dell’intera cartella di pagamento – è stata impugnata con ricorso per cassazione soltanto in relazione al disconoscimento del credito Iva.
Preliminarmente deve rilevarsi che – a differenza di quanto eccepito in controricorso (p. 13) – il ricorso non è inammissibile, in quanto i motivi non deducono affatto questioni di merito sottratte al sindacato di legittimità, al contrario individuando con precisione le ‘rationes decidendi’ della sentenza impugnata ritenute erronee in diritto e consequenzialmente articolando specifiche censure entro il paradigma dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.
Fondati sono, anzitutto, il primo ed il secondo motivo di ricorso, congiuntamente scrutinabili, per evidente sovrapponibilità di censure.
5.1. L’ordinanza rescindente della Sez. VI -5 di questa Suprema Corte illustrava le ragioni dell’illegittimità della sentenza della CTR n. 3705/01/14, che aveva disconosciuto ‘tout court’ l’utilizzabilità del credito Iva siccome non indicato nella dichiarazione dell’anno di riferimento, rilevando la contrarietà di tale decisione della CTR rispetto al principio di diritto, citato alla lettera, di cui a Sez. U, Sentenza n. 17757 del 08/09/2016, Rv. 640943 -01: principio di diritto volto bensì ad affermare, nella seconda parte, che, ‘pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione’, ‘nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad Iva e finalizzati ad operazioni imponibili’, ciò, tuttavia, alle condizioni chiaramente espresse nella prima parte, laddove si precisa che ‘l’eccedenza d’imposta’ deve risultare ‘da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la
presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto’.
L’ordinanza rescindente, in definitiva, demandava al giudice di rinvio di fare applicazione dell’insegnamento delle Sezioni unite nella sua interezza, ovverosia, bensì, nella seconda parte, ferma, però, l’osservanza delle condizioni di cui alla prima. Il mandato al giudice di rinvio di verificare l’effettiva sussistenza di queste condizioni era finanche esplicito, scrivendo l’ordinanza rescindente che sarebbe stato poi ‘compito del giudice di merito verificare se la parte contribuente assolto l’onere di comprovare che l’eccedenza d’imposta stata comunque avanzata ‘tempestivamente’ dal secondo i principi sopra esposti’: donde il giudice di merito avrebbe dovuto accertare, alla luce delle allegazioni e produzioni delle parti, restituendone adeguata motivazione, che ‘l’eccedenza d’imposta’ risultasse ‘da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno’; che essa fosse stata ‘dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto sorto’ e che il contribuente rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione’.
5.2. La CTR, nella sentenza impugnata, non solo non ha dato seguito a tale compito, ma, anzi, in concreto, ha fatto obiettivo malgoverno del principio di diritto enunciato da Sez. U, n. 17757 del 2016, nella parte in cui impone la verifica della ‘tempestività’, come visto viepiù espressamente sottolineata dall’ordinanza rescindente, dell’utilizzo dell’eccedenza d’imposta.
Ed invero, alla stregua di quanto dalla medesima CTR accertato, circa l’insorgenza del credito Iva nel 1999 e l’utilizzo in compensazione di acconti per gli anni 2000, 2005 e 2006, emerge ‘per tabulas’ l’insussistenza del requisito della non ultrabiennalità della deduzione, siccome codificato in detto principio.
Fondato è, altresì, il terzo motivo di ricorso.
6.1. Dall’ordinanza rescindente non emerge che il ricorso per cassazione proposto dalla contribuente avverso la sentenza della CTR n. 3705/01/14 contenesse alcuna censura afferente le riprese in punto di RAGIONE_SOCIALE ed Irap: la circostanza che il ricorso avesse ad oggetto esclusivamente la ripresa in punto di Iva – in difetto, viepiù, di allegazioni contrarie della contribuente in controricorso (cfr. in part. pp. 20 e 21) – trova tra l’altro indiretta conferma nella constatazione che la Sez. VI -5 ha accolto il primo motivo, giust’appunto riguardante l’Iva, dichiarando assorbito il secondo, medesimamente, dunque, riguardante l’Iva: sicché sempre e solo di Iva si verteva.
6.2. Ne consegue che sulle riprese afferenti l’RAGIONE_SOCIALE e l’Irap è sceso il giudicato interno favorevole all’Ufficio, in conseguenza dell’integrale accoglimento dell’appello di questo ad opera della sentenza della CTR n. 3705/01/14.
In definitiva, la sentenza impugnata va cassata.
7.1. In ragione di quanto innanzi, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti affinché questa Suprema Corte decida la causa nel merito, rigettando integralmente il ricorso introduttivo del giudizio.
7.2. In punto di spese, ne consegue la compensazione tra le parti di quelle di entrambi i gradi di merito. La contribuente deve invece essere condannata a rifondere all’Agenzia quelle del presente grado di legittimità, liquidate, secondo tariffa, come da dispositivo.
P.Q.M.
In integrale accoglimento del ricorso, annulla la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio.
Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.
Condanna RAGIONE_SOCIALE a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 7.000, oltre esborsi per euro 200 e spese prenotate a debito.
Così deciso a Roma, lì 21 novembre 2023.