Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24969 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24969 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15739/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
CONSORZIO REGIONALE PER LO SVILUPPO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE CORAP in liquidazione coatta amministrativa, elettivamente domiciliato in ROMA presso lo studio dell’avvocato
COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CALABRIA n. 100/2024 depositata il 10/01/2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria ( hinc: CGT2), con la sentenza n. 100/2024 depositata in data 10/01/2024, ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 3094/2017, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE ( hinc: il contribuente o CORAP) contro l’atto di recupero dei crediti relativi agli anni 2013, 2014 e 2015.
La CGT2 ha ritenuto che nella specie non si verteva in tema di crediti inesistenti, con la conseguenza che non poteva trovare applicazione il raddoppio dei termini previsto dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008.
2.1. In relazione alla questione relativa alla detraibilità dell’IVA da parte di CORAP, la CGT2 ha condiviso la soluzione del giudice di prime cure, ritenendo che il consorzio avesse natura di ente pubblico economico, precisando che, ai fini della natura commerciale dell’attività svolta, è sufficiente che questa sia esercitata secondo intenti di economicità, cioè che sia diretta all’equilibrio gestionale (a nulla rilevando che non si persegua un profitto o comunque un fine
di lucro, in sé non essenziali per l’esercizio di un’attività commerciale).
Contro la sentenza della CGT2 l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata denunciata , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, 118 disp. att. cod. proc. civ. e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., 111, comma 6, Cost.
1.1. La parte ricorrente, con tale motivo, censura la sentenza impugnata sotto il profilo della motivazione apparente considerato che il rigetto dell’appello dell’ufficio è stato basato sull’argomento che il Consorzio regionale rispetta una economia di gestione. La CGT2 ha affermato, infatti, che: « la Commissione di primo grado ha reputato esistente la natura, da parte del consorzio, di ente pubblico economico, precisando che, ai fini della commercialità dell’attività, è sufficiente che questa sia svolta secondo intenti di economicità, cioè che sia diretta all’equilibrio gestionale (a nulla rilevando che non si persegua un profitto o comunque un fine di lucro, in sé non essenziali per l’esercizio di un’attività commerciale) ». Tuttavia, il punto essenziale della causa, ad avviso di parte ricorrente, non era se RAGIONE_SOCIALE potesse esercitare oltre all’attività istituzionale anche una attività collaterale di natura commerciale (il cui requisito minimo può anche consistere nel criterio della c.d. ‘economia di gestione’), bensì quello di appurare se i lavori appaltati per la realizzazione del progetto di potenziamento dell’impianto di depurazione dell’agglomerato industriale di Gioia Tauro-Rosarno e San Ferdinando, per i quali il Consorzio ha pagato il corrispettivo oltre
l’ IVA poi detratta , rientrassero nell’ambito delle competenze della attività istituzionale. La CGT2 non affronta tale punto essenziale della causa, non esprimendo alcun apprezzamento sulla inerenza o meno dei lavori in questione alla attività istituzionale. Non è dato, quindi, comprendere quale sia stato il ragionamento seguito dai giudici per giungere alla conclusione della esistenza del credito di imposta e per non ritenere applicabile il raddoppio dei termini di decadenza. La decisione appare emessa, quindi, in violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 19 92, dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., che disciplinano il contenuto essenziale delle sentenze.
1.2. Il motivo è infondato, dal momento che la motivazione non è apparente, ma meramente non condivisa. L’iter logico -giuridico della sentenza impugnata è chiaramente individuabile sia nella parte in cui ha ritenuto che l’attività svolta da RAGIONE_SOCIALE fosse ric onducibile al paradigma della commercialità (con la conseguente assunzione della qualifica di soggetto passivo), sia nella parte in cui ha escluso l’applicazione del termine lungo ex art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, ritenendo che nel caso di specie non si trattasse di crediti inesistenti.
Con il secondo motivo è stata denunciata, in via subordinata, la violazione dell’art. 27 , comma 16, d.l. n. 185 del 2008 concernente la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 del cod. proc. civ.
2.1. La parte ricorrente rileva che la sentenza impugnata contrasta con la normativa che disciplina l’applicabilità del raddoppio dei termini di decadenza in caso di recupero di crediti IVA inesistenti, nonché con l’ orientamento interpretativo di questa Corte. I giudici di secondo grado hanno così motivato: « Il termine crediti inesistenti
allude alla mancanza del credito nei suoi componenti oggettivi o soggettivi o per falsità materiale dei presupposti o per carenza totale dei presupposti. Il termine inesistenza è unitario e univoco: l’IVA è inesistente sia per i crediti che per le fatturaz ioni quando l’operazione economica è inesistente; nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti è l’operatore economico, cioè il fornitore inesistente. Sulla base di queste considerazioni si deve affermare che non ricorre nel caso in esame la presenza di crediti inesistenti, mai contestata; ne deriva che l’ufficio non poteva avvalersi del raddoppio dei termini .» Secondo la ricorrente, tuttavia, l’inquadramento della fattispecie operata dalla CGT2 è errato, dato che confonde i concetti di crediti inesistenti e di operazioni inesistenti. Nel caso in esame, come si evince dalla motivazione dell’atto, l’inesistenza del credito è ancorata all’assenza del presupposto soggettivo oltre che oggettivo, poiché l’ ente pubblico economico non è un soggetto IVA quando opera per i suoi fini istituzionali pubblicistici, come è avvenuto nella fattispecie. La CGT2 non ha fatto buon governo del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, poiché nel caso di specie ricorre anche il secondo presupposto costituito dalla impossibilità di disconoscere il credito mediante le procedure di controllo automatizzato della dichiarazione. Difatti, le dichiarazioni fiscali dal 1999 in poi sono passate indenni al controllo automatizzato poiché con tale procedura non si indaga la natura del dichiarante e la presenza dei presupposti soggettivi e oggettivi per esercitare la detrazione.
Con il terzo motivo è stata denunciata, in via subordinata, la violazione degli articoli 1, 4 e 19 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. Con tale motivo la ricorrente evidenzia che la questione principale della causa riguarda la soggettività passiva dei consorzi ai
fini IVA e la detraibilità dell’imposta pagata dall’ente sugli acquisti: il quadro normativo di riferimento è dunque composto dagli artt. 1, 4 e 19 d.P.R. n. 633 del 1972.
Il consorzio, svolgendo funzioni pubblicistiche di interesse generale prevalenti rispetto alle eventuali attività di tipo imprenditoriale, rientra tra i soggetti di cui al comma 4 dell’art. 4 d.P.R. n. 633 del 1972. Di conseguenza, non può essere considerato come una vera impresa assimilabile alle società di capitali e, dunque, con attività assoggettata ad IVA. Nella specie si tratta di prestazioni ricevute in seno alla propria attività istituzionale e non connesse a operazioni attive di carattere commerciale. Difatti, i ricavi della gestione caratteristica attengono ad attività istituzionali e non a cessioni di beni o prestazioni di servizi verso corrispettivi di natura privatistica. Ne consegue che l’IVA pagata dal consorzio alle imprese appaltatrici deve essere considerata indetraibile, ponendo, di fatto, il consorzio alla stregua del consumatore finale, ovvero tenuto a pagare l’ IVA sugli acquisti, ma privo del diritto di portarla in detrazione. La CGT2 non si è attenuta a tale principio di diritto applicabile alla fattispecie concreta e la sentenza merita di essere cassata per error in iudicando .
Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, dal momento che la qualificazione dell’attività svolta in termini di imprenditorialità (o meno) costituisce requisito di esistenza del credito, nella misura in cui incide sul requisito soggettivo necessario per poter qualificare RAGIONE_SOCIALE come soggetto passivo ai fini IVA. Dalla soluzione data alla questione appena richiamata dipende l’applicabilità (o meno) dell’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 alla luce delle Sezioni Unite di questa Corte.
4.1. Sotto il profilo dell’applicazione del termine lungo ex art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 è stato, infatti, precisato che, in
tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 -allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento (Cass., Sez. U, 11/12/2023, n. 34419).
Alla luce di quanto precisato dalle Sezioni Unite l’alternativa tra esistenza o inesistenza del credito si gioca (anche) sui presupposti costitutivi previsti per legge, tra i quali rientra la qualifica di soggetto passivo, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto , in capo a chi invoca la detrazione.
4.2. A tal proposito, occorre precisare che, secondo l’art. 4, secondo comma, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 si considerano effettuate in ogni caso nell’esercizio delle imprese: « le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole. »
Secondo l’art. 4, comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972: « Per gli enti indicati al n. 2) del secondo comma, che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole. Si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. »
4.3. Sul punto questa Corte ha, inoltre, precisato che, ai fini della detraibilità dell’IVA pagata sugli acquisti da un consorzio per le aree di sviluppo industriale, occorre accertare se l’ente abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, potendosi in tal caso applicare la presunzione di cui all’art. 4, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per cui le cessioni di beni e la prestazione di servizi si considerano in ogni caso effettuate nel regime di impresa, onde la relativa IVA può essere portata in detrazione a norma dell’art. 19 dello stesso d.P.R., mentre, se tale accertamento dimostri che il consorzio non ha per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, è necessario accertare in concreto quali siano le cessioni di beni e di servizi effettuate nell’esercizio di attività commerciali e solo per queste si può riconoscere, nella concorrenza delle altre condizioni di legge, il diritto alla detrazione dell’IVA (Cass., 14/04/2010, n. 8842).
4.4. Occorre, poi, evidenziare che con riferimento all’art. 4, comma 4, cit. , l’art. 19 ter, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che: « Per gli enti indicati nel quarto comma dell’art. 4 è ammessa in detrazione, a norma degli articoli precedenti e con le limitazioni, riduzioni e rettifiche ivi previste, soltanto l’imposta
relativa agli acquisti e alle importazioni fatti nell’esercizio di attività commerciali o agricole. »
Secondo questa Corte, in tema di detrazioni IVA ex art. 19 ter d.P.R. n. 633 del 1972, in caso di attività svolte da enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica, la valutazione sulla esclusività o prevalenza dell’esercizio di attività commerciale o agricola va operata in concreto e non in astratto in base alle sole risultanze statutarie e formali, dovendosi valutare se e in quale misura le operazioni realizzate dall’ente: a) siano riconducibili alle attività economiche di cui dall’art. 4, par. 2, della direttiva n. 77/388/CEE (e, poi, all’art. 9 della direttiva n. 2006/112/CE); b) siano effettuate a titolo oneroso e c) comportino lo sfruttamento di un bene al fine di conseguirne introiti. Ai fini di tale verifica non rilevano né lo scopo perseguito dall’attività, né il conseguimento di risultati, mentre è necessario che: 1) sussista un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo, ossia un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni; 2) l’attività sia diretta al conseguimento stabile di introiti, tenuto conto, a tale scopo, delle condizioni in cui è effettuata la prestazione in raffronto a quelle in cui essa viene di solito realizzata, dell’entità della clientela, dell’importo degli introiti, dei criteri di determinazione delle tariffe, dei compensi e/o dei prezzi praticati, nonché degli altri elementi pertinenti, sì da verificare se le somme percepite, ancorché di importo ridotto rispetto ai costi sostenuti, costituiscano un effettivo corrispettivo dotato di stabilità o siano assimilabili ad un canone, inidoneo a conferire carattere di economicità alla prestazione (Cass., 23/12/2022, n. 37731).
4.4. Alla luce della giurisprudenza di questa Corte devono ritenersi fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso.
O ccorre evidenziare come il requisito dell’inesistenza del credito deve essere ricollegato non già all’operazione in sé, bensì alla sua riconducibilità all’attività commerciale o istituzionale svolta dall’ente, potendo riscontrarsi solo nella prima ipotesi (e non nella seconda) l’assunzione della qualifica di soggetto passivo ai fini IVA.
Nella sentenza impugnata si legge che: « Per quanto riguarda l’ultima questione, riguardante la detraibilità dell’IVA da parte del Consorzio, la Commissione di primo grado ha reputato esistente la natura, da parte del consorzio, di ente pubblico economico, precisando che, ai fini della commercial ità dell’attività, è sufficiente che questa sia svolta secondo intenti di economicità, cioè che sia diretta all’equilibrio gestionale (a nulla rilevando che non si persegua un profitto o comunque un fine di lucro, in sé non essenziali per l’esercizio di un’attività commerciale). »
Tale incedere argomentativo presenta un’evidente distonia con le disposizioni contenute nell’art. 4, comma 2, n. 2 , e comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972, dovendosi dare rilievo, ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, in primo luogo al carattere di esclusività o meno dell’attività imprenditoriale svolta dal consorzio (art. 4, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972), distinguendo, in caso di non esclusività, gli acquisti fatti nell’esercizio di attività commerciale (per i quali è ammessa la detrazione) dalle altre ipotesi di svolgimento di attività istituzionale non imprenditoriale. Tale accertamento, in concreto, non risulta essere stato eseguito dalla sentenza impugnata, nonostante la contestazione fatta nell’avviso di accertamento della non detra ibilità dell’IVA, in quanto afferente all’espletamento non di attività imprenditoriale, ma bensì di attività istituzionale del consorzio stesso. È evidente come solo nella prima
ipotesi e non nella seconda il consorzio assuma la qualifica di soggetto passivo e che, in assenza di tale requisito, il credito portato in detrazione non possa ritenersi esistente al fine di escludere l’applicazione dell’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, difettando uno degli elementi costitutivi della detraibilità.
4.5. Deve, poi, rilevarsi che l’inesistenza del credito -comportando un accertamento in ordine alla natura dell’attività svolta da RAGIONE_SOCIALE – non era riscontrabile in sede di controllo automatizzato ex art. 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972, non integrando né un errore materiale o di calcolo, né un’ipotesi di mancato versamento delle somme dichiarate.
4.6. Di conseguenza, in assenza della prova della qualifica di soggetto passivo IVA del consorzio -così come della riconducibilità di tale ipotesi alle ipotesi di controllo automatizzato indicate nell’art. 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972 – deve trovare applicazione il termine lungo ex art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008. Spetterà, quindi, al giudice del rinvio eseguire una nuova rivalutazione degli atti, alla luce di quanto precisato nell’esame del secondo e del terzo motivo.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato devono trovare accoglimento il secondo e il terzo motivo nei termini di cui in motivazione, mentre deve essere rigettato il primo motivo.
5.1. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo e il terzo motivo nei termini di cui in motivazione e rigetta il primo motivo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 10/07/2025.