Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21538 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21538 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 7837/2018 R.G.) proposto da:
COGNOME nato a Roma il 4 agosto 1970 ed ivi residente, al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, difensore di sé stesso ex art. 86 c.p.c. in quanto abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori ed elettivamente domiciliato presso il proprio studio professionale sito in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-controricorrente – nonché
n. 7837/2018 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
IRPEF e IVA Cartella pagamento.
–
di
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Roma, alla INDIRIZZO
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 5872/14/2017, pubblicata l’11 ottobre 2017;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.;
FATTI DI CAUSA
1.La vicenda concerne la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA con cui si ingiungeva , a carico dell’avv. NOME COGNOME, il pagamento di €. 13.473,32 (euro tredicimilaquattrocentosettantatre/32) per omesso o carente versamento di IRPEF, oltre addizionali comunali e provinciali e di I.V.A. Tale cartella era stata emanata a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 ed ex art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972. Il contribuente aveva presentato tardivamente la dichiarazione di imposta relativa all’anno 2008 (Modello Unico 2009) e in quella relativa all’anno d’imposta 2009 (Modello Unico 2010) aveva compensato il proprio debito con un credito maturato nell’anno di imposta 2008 (e già esposto nel Modello Unico 2009) , ottenendo un credito residuo di €. 563,16 (euro cinquecentosessantatre/16).
Con la sentenza di primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale (d’ora innanzi CTP) di Roma accoglieva il ricorso del contribuente sulla base dell’orientamento secondo cui « La detrazione di un’eccedenza IVA maturata in un’annualità per la quale non sia stata presentata la dichiarazione annuale non integra un errore materiale, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria, nel contestare la pretesa del contribuente di esercitare il diritto alla detrazione e provvedere alla iscrizione della maggiore imposta, non può ricorrere alla procedura di cui all’art. 54 bis, lett. b), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che concerne esclusivamente la correzione di errori materiali o di calcolo, ma deve
emettere un motivato avviso di rettifica. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha confermato la decisione di merito, che aveva annullato una cartella esattoriale emessa a seguito di controllo effettuato dall’Ufficio, ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, nel quale risultava in detrazione un credito IVA non detraibile) » (Cass. civ., Sez. 6-5, sentenza n. 25521 del 2 dicembre 2014, Rv. 633528-01).
Sulla base di tale principio, la CTP affermava che la compensabilità di un credito d’imposta per ragioni diverse da meri errori materiali o di calcolo (nella specie, per tardività della dichiarazione) non poteva essere disconosciuta attraverso i procedimenti ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 ed ex art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972. La cartella di pagamento veniva perciò annullata.
2.La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, investita da ll’ appello proposto dal l’Agenzia delle Entrate , lo accoglieva affermando che: « Invero, dalla documentazione in atti è provato che il contribuente presentava la dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2008, in data 30 dicembre 2009, ovvero oltre il termine dei novanta giorni. L’art 2 comma 7 del Dpr 322/1998 considera valide le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine, salva restando l’applicazione delle sanzioni amministrative per il ritardo. Nel caso di specie il termine seppur per un solo giorno non veniva osservato dal COGNOME il quale quindi non era legittimato a portare in compensazione un credito maturato in merito ad una annualità non dichiarata. Il predetto avrebbe dovuto presentare una dichiarazione integrativa in ravvedimento o una richiesta di rimborso delle predette somme riportate in compensazione, contrariamente a quanto accaduto. Invero, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione all’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi deve essere equiparata quella della sua tardiva presentazione, come di fatto avvenuto nel caso di specie. (cfr. anche da ultimo Cass sente. n. 4785 del 24/2/2017). Da ciò ne discende che, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, la normativa consente all’ufficio di adottare qualsiasi elemento probatorio, a suo favore, ai fine di rideterminare il reddito, anche utilizzando presunzioni semplici non caratterizzate dai requisiti di gravità, precisione e
concordanza, richiesti dall’articolo 38, comma 3, del Dpr 600/1973. Ed ancora “in tema di iva, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 30 e 55 d.p.r. n. 633 del 1972 l’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale lo espone all’accertamento induttivo, ed esclude implicitamente la possibilità di recuperare il credito maturato in ordine al relativo periodo d’imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo d’imposta successivo, a tale riguardo al contribuente pertanto residuando solamente la possibilità di chiederne il rimborso” (cfr. Cass. civ., sez. trib., 22-02-2013, n. 4531). Ne discende, quindi, che non sussistendo alcuna incertezza in merito alla dichiarazione Mod. Unico Persone Fisiche 2010 – reddito 2009 – nessun avviso bonario andava trasmesso al contribuente prima dell’invio della cartella di pagamento (cfr. sul punto ordinanza Cass. Sez. VI Civ. n. 21020 depositata l’8/9/2017, secondo la quale l’obbligo del preventivo contraddittorio “sussiste soltanto qualora vi siano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”). Nè può accogliersi la tesi del difetto di motivazione della cartella di pagamento notificata al contribuente, poiché sempre secondo la Suprema Corte “in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n 600 del 1973, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata; tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima”. ( cfr. Cass Sez. 6 5, Ordinanza n. 14236 del 07/06/2017). Nella cartella impugnata è esplicito il riferimento a quanto dichiarato dal contribuente nel Modello Unico Persone oggetto di controllo. ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , il contribuente NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
4.L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, mentre l’Agenzia delle Entrate – Riscossione è rimasta intimata.
5.- Il ricorrente , all’esito della fissazione dell’adunanza camerale, ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la falsa applicazione degli artt. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972, poiché l’a mministrazione finanziaria ne avrebbe fatto applicazione al di fuori delle ipotesi consentite ex lege .
Sostiene, al riguardo, che, nella specie, alla stregua della stessa prospettazione dell’amministrazione finanziaria, condivisa dal giudice d’appello, l’iscrizione a ruolo avrebbe riguardato un’imposta diversa da quella risultante dai dati esposti in dichiarazione, cosicché non sussistevano i presupposti per l’iscrizione a ruolo immediata ai sensi degli artt. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972.
Evidenzia, ancora, come solo nel giudizio d’appello, l’Agenzia delle Entrate avrebbe spiegato che l’iscrizione a ruolo era scaturita dalla contestazione riguardante la tardività della dichiarazione relativa al periodo d’imposta precedente (anno d’imposta 2008) rispetto a quello oggetto di controllo (anno d’imposta 2009), in cui il contribuente aveva dichiarato il credito d’imposta poi riportato nella dichiarazione controllata.
Da tale tardività sarebbe derivata, dunque, la non utilizzabilità del credito d’imposta in compensazione, con conseguente iscrizione a ruolo del debito d’imposta non versato .
Nondimeno -sostiene il ricorrente -tale contestazione, non concernendo errori materiali o di calcolo commessi dal contribuente in dichiarazione, non rientrerebbe tra quelle suscettibili di essere fatte valere mediante le procedure di liquidazione di cui agli artt. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972 e che concernono questioni emergenti direttamente dal contenuto cartolare della dichiarazione controllata. Essa, al contrario, troverebbe fondamento nell’accertamento di un fatto esterno alla dichiarazione oggetto di controllo (cioè il ritardo nella presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta precedente) e nell’errata valutazione compiuta dall’amministrazione finanziaria con riguardo alle conseguenze giuridiche derivanti da tale fatto e che sono state individuate nell’impossibilità per il contribuente di
compensare il credito d’imposta esposto in una dichiarazione presentata con un solo giorno di ritardo, con il debito derivante da una dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo) .
In sostanza, chiarisce il ricorrente, « la cartella di pagamento impugnata si fonda sulla contestazione riguardante un credito d’imposta la cui spettanza è pacifica , ma di cui è discussa la modalità di utilizzo (compensazione o rimborso), a causa del ritardo nella presentazione della dichiarazione dell’anno prima. » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, a pag. 9).
2.- La censura risulta fondata, limitatamente ai profili che vengono di seguito precisati.
Deve, invero, osservarsi, in linea generale, che l’art. 36-bis, comma 2, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973, prevede che il controllo automatizzato sulle dichiarazioni presentate dal contribuente può riguardare anche la riduzione dei crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni. Nel periodo iniziale del suddetto comma 2, viene altresì precisato che, ai fini della regolarità della procedura, il controllo viene compiuto « sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria ». In termini generali, dunque, ai fini della legittimità dell’iscrizione a ruolo in conseguenza della previsione di cui all’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, di un credito di imposta indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, l’amministrazione finanziaria è legittimata a verificare la correttezza della suddetta indicazione anche facendo riferimento alle dichiarazioni presentate dal contribuente negli anni precedenti, senza che tale verifica comporti un accertamento sostanziale che presuppone valutazioni giuridiche o esame di atti non consentiti dalla procedura (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 29582 del 16 novembre 2018, Rv. 651286-01, in motivazione).
Nondimeno, fermo restando il potere dell’amministrazione finanziaria di controllare la correttezza delle dichiarazioni dei redditi presentate e di correggere eventuali errori materiali o di calcolo, si pone la questione di stabilire quando, a seguito del suddetto controllo, possa essere emessa una cartella di pagamento ai fini del recupero dell’imposta. A tale riguardo,
questa Corte regolatrice ha già avuto modo di precisare che l’emissione della cartella di pagamento è legittima solo laddove, a seguito della verifica compiuta in sede di controllo automatizzato, l’amministrazione finanziaria accerti che, a causa di errori materiali o di calcolo, il contribuente ha illegittimamente utilizzato un credito di imposta sicché tale illegittimo utilizzo si traduce in un debito del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria che legittima la pretesa al recupero dell’importo mediante la notifica della cartella di pagamento; diversamente, nel caso di mancato utilizzo del credito di imposta, ove si sia accertato che lo stesso non era stato correttamente esposto, l’amministrazione finanziaria può solo procedere alla rettifica dell’errore materiale o di calcolo, ma non può emettere una cartella di pagamento ai fini del recupero di un credito di imposta che, in quanto non utilizzato, non si è tradotto in un debito del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Sulla base di tali considerazioni, questa Corte ha affermato il principio di diritto, secondo cui: « In tema di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, qualora l’amministrazione finanziaria verifichi che il credito di imposta erroneamente esposto non era stato riportato nelle dichiarazioni precedenti potrà solo procedere alla rettifica degli errori materiali o di calcolo, ma non anche all’emissione della cartella di pagamento per il recupero del credito non dichiarato, salvo che accerti che il contribuente ha anche illegittimamente utilizzato il credito di imposta esposto, così generando un debito nei confronti dell’amministrazione, che in tal caso legittima la pretesa di recupero dell’importo mediante la notifica della cartella di pagamento. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 20643 del 20 luglio 2021, Rv. 661932-01).
Nella specie, dunque, è evidente la piena legittimità della cartella di pagamento emessa dall’amministrazione finanziaria, atteso che il contribuente ha illegittimamente utilizzato, con riguardo all’anno d’imposta 2009, il credito d’imposta esposto nella dichiarazione concernente l’anno d’imposta 2008 che era stata, però, presentata tardivamente ed era, quindi, da considerarsi omessa (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 4785 del 24 febbraio 2017, Rv. 64311001).
Del resto, come chiarito sempre da questa Corte regolatrice, « In tema di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, l’Amministrazione finanziaria può, ai sensi degli artt. 36 bis, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e 54 bis, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633, procedere alla correzione dell’errore materiale commesso dal contribuente che abbia riportato delle eccedenze d’imposta risultanti dalla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, qualora emerga dagli elementi in suo possesso che tale dichiarazione deve considerarsi omessa in quanto presentata ben oltre il termine di decadenza, potendosi in tal caso ritenere integrata la fattispecie legale di cui alle citate disposizioni, in base alla quale i dati contabili finali risultanti dall’attività di liquidazione si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente. » (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 22402 del 22 ottobre 2014, Rv. 632859-01).
Peraltro, se è certamente vero che, nella specie, del tutto correttamente l’amministrazione finanziaria ha proceduto con il controllo automatizzato di cui agli artt. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972, risulta nondimeno altrettanto innegabile come la CTR abbia mancato di fare applicazione dei principi enunciati da questa Corte regolatrice ( Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 17757 dell’8 settembre 2016, Rv. 640943-01; Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 17758 dell’ 8 settembre 2016, Rv. 640942-01; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 4392 del 23 febbraio 2018, Rv. 647546-01, Rv. 647546-02) in tema di compensazione del credito d’imposta nel caso di omessa presentazione della dichiarazione.
I precedenti nomofilattici appena menzionati hanno, infatti, chiarito, in primo luogo, che è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la conseguente emissione di cartella di pagamento. Ben può, difatti, l’amministrazione finanziaria operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da un mero raffronto con dati ed elementi, in possesso dell’anagrafe tributaria, ai sensi degli artt. 54-bis e 60 d.P.R. n. 633 del 1972, fatta salva, nel successivo giudizio d’impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione a cura del contribuente che la detrazione d’imposta, eseguita entro il suddetto termine biennale, riguardi acquisti
fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili. Parimenti, è stato chiarito che se l’amministrazione finanziaria, correttamente, abbia proceduto alla iscrizione a ruolo, nondimeno il contribuente può portare in compensazione il credito IVA, ove sussistente, per avere omesso la dichiarazione.
Dev ‘ essere, infatti, rilevato, come affermato dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 17757 e n. 17758 dell’8 settembre 2016, già sopra menzionate, che il rapporto di natura tributaria con il fisco scaturisce da un’operazione lecita ed effettiva e gli obblighi che ne derivano (dichiarazione, registrazione, ecc.) hanno esclusivamente una funzione illustrativa dei relativi dati al fine di consentire all’Agenzia delle Entrate di poter verificare agevolmente gli stessi onde procedere alla riscossione delle imposte.
Pertanto, ciò che conta ai fini della detraibilità è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito. Tale conclusione, discende dall ‘ interpretazione dell’art. 18 della Direttiva n. 77/388/CE, il quale subordina il diritto alla detrazione dell’IVA solamente al possesso della fattura, compilata secondo le disposizioni a essa applicabili e garantisce il principio di neutralità dell’imposta in questione, quale principio fondamentale sul quale si fonda l’intero impianto normativo della predetta imposta (cfr. , all’uopo, Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 17754 del 16 ottobre 2012, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 4539 del 22 febbraio 2013, non massimata).
La necessità di rispettare il citato principio di neutralità, infatti, deve essere garantito anche nel caso in cui il soggetto passivo non rispetti le formalità imposte da uno Stato membro, quale ad esempio la presentazione della dichiarazione annuale IVA. Questa Corte, del resto, con riferimento ai concetti espressi dalla CGUE nelle pronunce emanate nelle cause C-95/07 e C-96/07 del l’ 8 maggio 2008, ha affermato che « ai sensi degli artt. 18, n. 1, lett. d) e 22 della sesta direttiva CE n. 77/388, come modificata dalla direttiva 2000/17 il principio della neutralità fiscale impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno stato membro, in applicazione delle disposizioni comunitarie succitate, non può privarlo del suo diritto alla detrazione, mediante l’annotazione a credito nella dichiarazione di imposta, ferma
restando l’eventuale sanzione per l’inosservanza di tali obblighi » (cfr. CGUE, 12 maggio 2011, C-107/10 e Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 12012 del 22 maggio 2006, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 21202 del 6 agosto 2008, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 6925 del 20 marzo 2013 n. 6925, Rv. 626047-01) ed ha affermato il principio di diritto secondo cui il credito IVA maturato nell’anno in cui la dichiarazione annuale risulta omessa può comunque essere computato in detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto, fermo restando il potere-dovere dell’amministrazione finanziaria di accertare l’esistenza del credito ai sensi dell’articolo 55 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 20120 del 30 luglio 2018, non massimata).
Ne deriva che l’omessa presentazione della dichiarazione IVA non fa perdere il diritto alla detrazione del credito maturato nel corso del medesimo anno, nell’ipotesi in cui lo stesso credito venga ripreso ed indicato quantomeno nella dichiarazione IVA dell’anno successivo. Il diritto alla detrazione deve essere, infatti, esercitato entro la scadenza prevista per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 non contrastante con la citata Direttiva unionale.
Nel non procedere alla disamina del profilo concernente l’effettiva spettanza del credito d’imposta, in favore del contribuente , la Commissione Tributaria Regionale ha dunque commesso errore di diritto, dovendo invece fare applicazione dei principi sopra ampiamente richiamati.
Ne deriva l’accoglimento del motivo in esame, limitatamente al profilo appena menzionato.
3.- Con il secondo motivo, il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione degli artt. 7, comma 3, l. n. 212 del 2000 e 12, comma 3, d.P.R. n. 602 del 1973.
Sostiene, infatti, che l’a mministrazione finanziaria avrebbe avuto l’obbligo di motivare l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento, trattandosi di imposta diversa da quella dichiarata.
4.- Con il terzo motivo, il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione degli artt. 36-bis, comma 3, d.P.R. n.
600 del 1973 e dell’art. 54 -bis, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000 .
Sostiene, al riguardo, che l’a mministrazione finanziaria avrebbe dovuto previamente inviare la comunicazione di irregolarità.
5.- Le predette censure, da esaminarsi congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi, sono infondate.
Ed invero, una volta acclarata la piena legittimità del ricorso, operato dall’amministrazione finanziaria, a lla procedura di controllo di cui agli artt. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972, può senz’altro farsi applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui « In tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 21804 del 20 settembre 2017, Rv. 645620-01).
Anche con riguardo alla necessità del previo invio della comunicazione di irregolarità, è agevole richiamare l’orientamento di questa Corte regolatrice secondo cui « L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 36 bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, non richiede di regola la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali e richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire
mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento, oppure può comportarne la nullità ex art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 1711 del 24 gennaio 2018, Rv. 646922-01).
Nella specie, come si è già chiarito ai fini della trattazione del primo motivo, l’amministrazione finanziaria, con la procedura di cui agli artt. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972, ha acclarato che, a causa di errori materiali o di calcolo, il contribuente aveva illegittimamente utilizzato un credito di imposta, cosicché tale illegittimo utilizzo si è tradotto in un debito del contribuente che ha legittimato la pretesa al recupero dell’importo mediante la notificazione della cartella di pagamento. Ne deriva che, vertendosi in tema di meri errori di calcolo, la previa comunicazione di irregolarità non risultava, in modo alcuno, necessaria.
6.- Con il quarto (e ultimo) motivo, il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’obbligo di motivazione ex artt. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546 del 1992.
Sostiene, al riguardo, che la sentenza impugnata risulterebbe del tutto carente di motivazione con riguardo alla richiesta di annullamento parziale degli atti impugnati nella parte relativa all’importo indicato quale credito d’imposta.
7.La censura risulta assorbita nell’accoglimento del primo motivo che, come si è visto, è intervenuto con riguardo alla necessità che il giudice d’appello proceda alla valutazione relativa alla spettanza, in favore del contribuente, del credito d’imposta dedotto in compensazione .
Del resto, come chiarito da questa Corte di legittimità, « Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio, sicché il giudice, ove ritenga in tutto o in parte invalido l’atto per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullarlo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, ricondurla alla corretta misura, entro
i limiti posti dalle domande di parte. » (Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 27098 del 18 ottobre 2024, Rv. 672733-01).
8.Dalle considerazioni finora sviluppate, deriva, dunque, l’accoglimento , nei sensi già sopra chiariti, del primo motivo di ricorso, nonché il rigetto del secondo e del terzo motivo e l’ assorbimento del quarto.
9.Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata, nei limiti già sopra chiariti, con rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra espressi e provvedendo, altresì, a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione; rigetta il secondo e il terzo motivo e dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,