Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33373 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33373 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 4440/2020 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO come da procura in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della TOSCANA n. 1467/2019, depositata in data 21 ottobre 2019 e notificata in data 19 novembre 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23
ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto l’impugnativa della cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato effettuato ai sensi dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 sulla dichiarazione fiscale dell’anno 2014, con la quale era stato iscritto a ruolo un minore credito Iva pari ad euro 500.000,00, essendo risultato che detto credito fiscale era stato richiesto in precedenza a rimborso ex art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, con riguardo all’anno di imposta 2013, rimborso che non era stato materialmente erogato in quanto la società contribuente non aveva prestato la garanzia fideiussoria.
I giudici di secondo grado hanno affermato che « La fattispecie di causa si riduce alla constatazione che la società appellante ha esposto un credito IVA per € 500.000,00 che, però, pacificamente non ha utilizzato in compensazione né altrimenti. Il reddito derivava dall’acquisto di terreni ritenuti edificabili per i quali le Autorità preposte non avevano rilasciato le relative concessioni. Ne è conseguito che l’appellante ha maturato un credito di imposta (IVA) nella misura indicata, senza mai portarlo in detrazione. E’ anzi pacifico e provato che la Società appellante ha formalmente rinunciato alla richiesta di rimborso precedentemente avanzata. Nessuna somma, pertanto, è dovuta da Casalvalore al titolo reclamato. Consegue la riforma integrale della sentenza di primo grado con la regolazione delle spese sulla base della soccombenza ».
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un unico motivo.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo ed unico motivo deduce, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.P.R. n. 322 del 1998 e degli articoli 38 bis e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972. L ‘error juris commesso dalla Commissione regionale fiorentina risiedeva nella mancata considerazione che la manifestata rinuncia all’erogazione del credito IVA previamente richiesta a rimborso (rinuncia effettuata dalla Società contribuente con comunicazione PEC del 5 marzo 2019) non avrebbe potuto dirsi giuridicamente valida né efficace e che, pertanto, la procedura di rimborso era ancora attiva, e di per sé impeditiva della proseguita esposizione del medesimo credito in detrazione/compensazione nelle dichiarazioni fiscali successive (ivi inclusa quella per l’anno 2014, oggetto della verifica formale da cui era scaturita la cartella di pagamento qui in contestazione). Era, infatti, indiscutibile che la modificazione della richiesta di rimborso del credito IVA avrebbe dovuto essere effettuata dalla Società contribuente mediante apposita dichiarazione integrativa, ai sensi e nei termini di cui all’articolo 8 del d.P.R. n. 322 del 1998 e a tale adempimento la società contribuente non aveva mai provveduto, men che meno nel termine necessario ed indefettibile del 31 dicembre 2018.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Occorre precisare che il rimborso del credito d’imposta consiste nella restituzione al contribuente delle somme che ha indebitamente versato o che ha versato in misura superiore a quelle dovute e si concretizza in una posizione creditoria che può essere oggetto di una domanda di
restituzione delle somme illegittimamente prelevate. A chi ha erroneamente pagato è attribuita l’azione di ripetizione che, nel diritto tributario, si traduce nella possibilità di presentare l’istanza di rimborso, la cui disciplina si differenzia a seconda della natura delle imposte, periodica e non, dirette e indirette. E mentre con riferimento alle imposte aventi natura periodica, il diritto di credito del contribuente trova origine da una dichiarazione, anche in rettifica della precedente, e può essere oggetto di una domanda di rimborso o può essere portato in detrazione o compensazione, con riferimento ad altre ipotesi necessita una specifica istanza di rimborso. Deve evidenziarsi, al riguardo, che l’indicazione del credito nella dichiarazione Iva non implica, di per sé, la manifestazione di volontà di ottenimento del rimborso, dovendosi al riguardo verificare se nella compilazione della dichiarazione annuale possa in concreto rinvenirsi l’esplicitazione di una tale volontà. Ed infatti, la domanda di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale, la quale configura formale esercizio del diritto (Cass., 17 ottobre 2019, n. 26371, in motivazione).
1.3 La giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, è nel senso che, in tema di IVA, l’esposizione di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, dovendo solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte ovvero, ricorrendone i presupposti, attraverso lo strumento della rettifica della dichiarazione. Ne consegue che il relativo credito del contribuente è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto ma solo il presupposto di esigibilità del
credito (Cass., 28 settembre 2016, n. 19115; Cass., 1 ottobre 2014, n. 20678; Cass., 27 marzo 2013, n. 7706; Cass., 11 settembre 2012, n. 15229; Cass., 30 settembre 2011, n. 20039).
1.4 Al riguardo questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: « In tema di rimborsi dell’Iva, la compilazione dei quadri VX o RX del modello di dichiarazione, nel campo attinente al credito di cui si chiede il rimborso, è legittimamente considerata alla stregua di manifestazione di volontà di ottenere il rimborso; tale manifestazione di volontà identifica, invero, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, la domanda di rimborso fatta nella dichiarazione, e, ancorché non accompagnata dalla presentazione del mod. VR ai fini della determinazione dell’importo richiesto a rimborso nella dichiarazione Iva, sottrae la fattispecie al termine biennale di decadenza sancito, in via residuale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 » (Cass., 17 ottobre 2019, n. 26371, citata).
1.5 Più precisamente, solo l’esposizione di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, dovendo solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte ovvero, ricorrendone i presupposti, attraverso lo strumento della rettifica della dichiarazione (Cass., 5 dicembre 2022, n. 35717; Cass., 31 ottobre 2018, n. 27828; Cass., 1 ottobre 2014, n. 20678, citata).
Differentemente, in tema di detrazione Iva, non è la presentazione della dichiarazione IVA che regge, in quanto tale, la spettanza della detrazione, ma la sussistenza dei presupposti sostanziali per la sua fruizione. Il credito vantato dal contribuente nasce dalla legge e non dalla dichiarazione e, quindi, una volta dimostrato l’effettiva esistenza del credito, risultante dai registri Iva e i documenti già prodotti all’Ufficio, l’Amministrazione finanziaria non può negare la
compensazione, pur in mancanza della dichiarazione, in quanto in tale modo la P.A. verrebbe posta nella medesima condizione in cui si sarebbe trovata qualora il contribuente avesse presentato la dichiarazione (Cass., 1 febbraio 2023, n. 3066, in motivazione).
Dunque è consentito l’esercizio della detrazione in caso di mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ove il contribuente dimostri che il diritto alla detrazione sia stato esercitato entro il termine di decadenza previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello nel quale è sorto ai sensi dell’art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998 (Cass., 27 luglio 2018, n. 19938; Cass., 3 aprile 2018, n. 8131),
2.1 Come è stato, di recente, precisato da questa Corte, si tratta di una giurisprudenza conforme alla costante giurisprudenza dell’Unione, secondo cui il principio di neutralità dell’IVA esige che la detrazione o il rimborso dell’IVA a monte sia concesso anche se taluni requisiti formali siano stati omessi dai soggetti passivi, purché vengano comunque soddisfatti i requisiti sostanziali (Corte di Giustizia UE, 8 dicembre 2022, RAGIONE_SOCIALE, C-247/21, punto 59; Corte di Giustizia UE, 21 ottobre 2021, NOME COGNOME NOME, C-80/20, punto 76; Corte di Giustizia UE, 19 aprile 2018, Firma NOME COGNOME, C-580/16, punti 50 e 51; Corte di Giustizia UE, 27 settembre 2007, Collée, C146/05, punto 31). Analogamente, il diritto alla detrazione può essere esercitato anche oltre il periodo di imposta, purché ciò avvenga nel rispetto delle normative di diritto interno, non potendo il diritto di detrazione essere esercitato senza limiti di tempo (Corte di Giustizia UE, 28 luglio 2016, Astone, C-332/15, punti 32, 33), per cui non osta al diritto dell’Unione una norma di diritto interno che preveda che il diritto di detrazione sia sottoposto a decadenza, purché sia rispettato il principio di equivalenza (Corte di Giustizia UE, 14 ottobre 2021, C45/20 e C-46/20, punti 59 -62) (cfr. Cass., 1 febbraio 2023, n. 3066, citata, in motivazione).
Sul rapporto tra detrazione e rimborso del credito Iva, la giurisprudenza di questa Corte è pacifica nell’affermare che fra il diritto a detrazione e quello al rimborso del contribuente di un credito IVA esiste un meccanismo di alternatività che impedisce di sperimentare entrambi i rimedi da parte del contribuente rispetto all’eccedenza d’imposta. Si afferma, infatti, che « In tema di IVA, la facoltà del contribuente di portare in detrazione il credito d’imposta può essere esercitata soltanto nell’anno successivo alla maturazione di detto credito, mediante annotazione nel registro di cui all’art. 25, del d.P.R. n. 633 del 1972, derivando tale preclusione dagli artt. 32, comma 2, e 55, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972. Ne consegue che, una volta maturata tale preclusione, il contribuente può soltanto domandare il rimborso della maggior imposta pagata, nei limiti e con le forme prescritte per la relativa istanza » (cfr., Cass., 23 luglio 2007, n. 16257).
3.1 In proposito, questa Corte ha affermato che «…acconsentire all’illimitato esercizio della facoltà di revoca della scelta compiuta dal contribuente – di chiedere il rimborso del credito IVA (n.d.r.), anche oltre il periodo di imposta in cui l’opzione deve essere effettuata, si pone in contrasto con il principio dell’alternatività tra la richiesta di rimborso e la detrazione del credito dalla dichiarazione annuale, nonché con l’obbligo, previsto dal cit. D.P.R. n. 633, art. 30, comma 2, di portare l’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, al fine di rendere conoscibile e controllabile da parte dell’ufficio la complessiva posizione del contribuente nell’arco del biennio di riferimento (cfr. Cass., 23 febbraio 2007, n. 4248; Cass., 12 febbraio 2009, n. 3417; Cass., 26 febbraio 2010, n. 4743; Cass., 6 novembre 2013, n, 24916).
3.2 E’ stato così statuito il seguente principio di diritto: « In tema di IVA, il contribuente può modificare l’originaria richiesta di rimborso, optando per la compensazione del credito solamente, ai sensi dell’art.
17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, entro l’anno successivo alla maturazione del credito medesimo, in quanto il principio di alternatività tra rimborso e detrazione esclude l’illimitata possibilità di revoca della scelta del rimborso, originariamente effettuata » (Cass., 2 luglio 2014, n. 15180, citata; Cass., 3 marzo 2017, n. 5387; Cass., 25 settembre 2019, n. 23852)
3.3 Sulla base di tali principi emerge che il contribuente che vanti un diritto di credito IVA nei confronti dell’Erario può alternativamente portare l’importo a credito in detrazione nell’anno successivo oppure chiedere il rimborso dell’imposta, ma, per il principio di alternatività tra rimborso e detrazione, il contribuente che abbia optato per la richiesta di rimborso dell’imposta non può successivamente portarlo in detrazione, a meno che non scelga di portarlo in compensazione nell’anno successivo a quello in cui è maturato.
4. Diverso è il tema dei termini di presentazione della dichiarazione integrativa e, sul punto, le Sezioni Unite hanno chiarito che « La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973. Il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del d.P.R. 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 comma 8 bis del d.P.R. n. 322/1998. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità
e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2 del d.P.R. n. 322/1998 e dall’istanza di rimborso di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria » (Cass, Sez. U., 30 giugno 2016, n. 13378, in motivazione).
4.1 Anche successivamente, questa Corte, sull’emendabilità della dichiarazione con l’istanza di rimborso, ha affermato che è possibile emendare la dichiarazione dei redditi anche con l’istanza di rimborso, alla stregua del principio della ritrattabilità della dichiarazione affetta da errore, testuale o extra testuale, di fatto o di diritto il quale comporti l’assoggettamento del dichiarante ad oneri fiscali più gravosi di quelli che per legge devono applicarsi (Cass., 6 settembre 2006, n. 19226; Cass., 6 luglio 2004, n. 12405), nel rispetto, ovviamente, dei termini di decadenza specificamente previsti (Cass., 15 marzo 2019, n. 7389; Cass., 11 maggio 2018, n. 11507; Cass., 27 settembre 2017, n. 29879).
4.2 E’ pacifico, dunque, che il principio di emendabilità della dichiarazione erronea, che abbia comportato per il contribuente oneri diversi e più gravosi di quelli che, in base alla legge, devono restare a suo carico, riguarda la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e, quindi, idonee a pregiudicare il dichiarante e che il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione integrativa, quando si tratti di dichiarazione a favore del contribuente, è costituito da quello stabilito per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo e che l’istanza di rimborso non è preclusa dall’omessa presentazione della dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 2, comma 8bis , d.P.R. n. 322 del 1998, non sussistendo alcuna interferenza tra l’autonoma facoltà di emendare gli errori mediante dichiarazione integrativa e la presentazione dell’istanza stessa, operando la prima
nell’ambito dell’accertamento del debito tributario e la seconda nell’ambito del procedimento di riscossione.
4.3 Si tratta di un’ impostazione ampiamente condivisa da questa Corte, la quale, in linea con i principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13378 del 7 giugno 2016, sopra richiamata, ha, anche di recente, ribadito, in tema di imposte sui redditi, che l’emenda o la ritrattazione contenuta nella dichiarazione integrativa (d.P.R. n. 322 del 1988, ex art. 2, comma 8bis ), che si salda con l’originaria dichiarazione presentata, da un lato, e l’istanza di rimborso (d.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38), da proporre entro 48 mesi, nel caso d’inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, dall’altro, operano su piani diversi del rapporto d’imposta tra Amministrazione finanziaria e contribuente e costituiscono due opzioni concorrenti e non alternative, che l’ordinamento tributario offre all’interessato, a seconda che egli si attivi nel campo applicativo dell’accertamento fiscale (la dichiarazione integrativa) o nel diverso ambito della riscossione dei tributi (l’istanza di rimborso) (cfr. Cass., 16 luglio 2019, n. 19002; Cass., 15 marzo 2019, n. 7389; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27583; Cass., 11 maggio 2018, n. 11507).
4.4 In definitiva, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi in danno del contribuente, la dichiarazione integrativa intesa alla loro correzione deve essere presentata, ex art. 2, comma 8bis , d.P.R. n. 322 del 1998, non oltre il termine di presentazione della dichiarazione riguardante il periodo di imposta successivo, portando in compensazione il credito eventualmente risultante, mentre, in caso di avvenuto pagamento di maggiori somme rispetto a quelle dovute, il contribuente, indipendentemente dal rispetto del suddetto termine, può in ogni caso opporsi, in sede contenziosa, alla maggior pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, senza però poter opporre in compensazione tali somme alle maggiori pretese di quest’ultima, e può chiederne il rimborso entro il termine di quarantotto mesi dal
versamento, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 (Cass. , 20 novembre 2019, n. 30151).
4.5 Dal che deriva che l’utilizzazione o meno del credito d’imposta è lasciata alla libera scelta del contribuente ed implica una manifestazione di volontà che viene espressa nella dichiarazione dei redditi, manifestazione di volontà necessaria per formulare la richiesta di rimborso del credito Iva, che può essere revocata, con rinuncia alla stessa (cfr. anche Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 217 del 2023); diversa è, invece, l’ipotesi di errore della dichiarazione, che assume una rilevanza specifica, a seconda che lo stesso sia emendabile (e in questo caso la dichiarazione dei redditi rappresenta una dichiarazione di scienza) o non emendabile (perché concerne la parte negoziale della dichiarazione dei redditi), essendo necessario nel secondo caso che il contribuente dimostri il carattere essenziale ed obiettivamente riconoscibile dell’errore nel quale è incorso . E’ importante precisare, in proposito, che il contribuente che rinuncia alla richiesta di rimborso, non rinuncia al diritto di credito, che può essere nuovamente richiesto (qualora esistente), ma nel rispetto dei termini di decadenza previsti dalla legge; ovvero, se il contribuente lo vuole chiedere in compensazione, così mutando l’originaria richiesta di rimborso lo può fare entro l’anno successivo alla maturazione del credito medesimo, in quanto il principio di alternatività tra rimborso e detrazione esclude l’illimitata possibilità di revoca della scelta del rimborso, originariamente effettuata, mentre se vuole chiedere nuovamente il rimborso del credito Iva (rinunciato in dichiarazione) lo può fare presentando specifica istanza di rimborso, i
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La sentenza impugnata è conforme ai principi suesposti. I giudici di secondo grado, seppure in forma estremamente concisa, hanno affermato che la società contribuente aveva maturato un credito Iva pari ad euro 500.000,00, derivante dall’acquisto di terreni ritenuti edificabili per i quali le Autorità preposte non avevano rilasciato le relative concessioni e che detto credito non era stato mai portato in detrazione, essendo, altresì, pacifico e provato che la società contribuente aveva formalmente rinunciato alla richiesta di rimborso precedentemente avanzata rimborso (anche nel ricorso per cassazione si legge che la rinuncia era stata effettuata dalla Società contribuente con comunicazione PEC del 5 marzo 2019); dunque nessuna somma era dovuta (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata); risulta, altresì, alle pagine 1 e 2 del ricorso per cassazione, che la società RAGIONE_SOCIALE dopo avere rinunciato all’istanza di rimborso del credito Iva chiesto a rimborso nella dichiarazione relativa all’anno 2013, attesa l’impossibilità di ottenere la garanzia fideiussoria che l’Ufficio le aveva richiesto , aveva riportato il credito Iva nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2014 (oggetto, poi, di controllo formale automatizzato ex art. 54 bis del 633 del 1972) in detrazione/compensazione.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla società controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
6.1 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art.
1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 23 ottobre 2024.