Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32850 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32850 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21961/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente –
contro
SOCIETÀ DI RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente – nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE;
-intimata – avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CAMPANIA n. 4375/2023 depositata il 17/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Secondo quanto si desume dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, la Società RAGIONE_SOCIALE Capua RAGIONE_SOCIALE ha appellato la sentenza n. 1993/2022 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Caserta che aveva rigettato il suo ricorso contro la cartella esattoriale n. 028 2020 00122994 44000, recante il recupero di IVA iscritta a ruolo a seguito di controllo automatizzato, ex artt. 36 bis del d.P.R. n. 600/73 e 54 bis del d.P.R. n. 633/72, della dichiarazione integrativa del 12/7/17 (modello IVA 2016 per l’anno 2015), avendo l’Ufficio ritenuto l’inutilizzabilità del credito IVA esposto.
L’appellante ha sostenuto l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo per euro 80.533,00, pari al credito IVA maturato nel 2013 e indicato nella relativa dichiarazione, non riportato per errore nella successiva dichiarazione per il 2014 ma indicato in quella del 2016 per il 2015.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado (CGT) della Campania con la sentenza in epigrafe ha accolto l’appello: sulla scorta del principio fissato da Cass. sez. un. n. 17757 del 2016, secondo cui l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, deve essere riconosciuta se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, la Corte ha ritenuto « corretta l’imputazione, a fini detrattivi, del credito IVA maturato nel 2013 all’anno d’imposta 2015, in seguito all’omessa dichiarazione per l’anno 2014 ».
Avverso tale decisione l’Agenzia propone ricorso per cassazione fondato su due motivi.
Resiste con controricorso la società. Resta intimata l’Agenzia delle entrate Riscossione.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce « Motivazione apparente -violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma II n. 4 cpc e dell’art. 36 D. Lgs 546/92 in relazione all’art. 360 comma I n. 4 cpc », laddove la Corte di Giustizia di secondo grado ha accolto l’appello proposto dalla contribuente osservando, in merito all’esistenza del credito IVA, che « Nel caso di specie l’esistenza e la corretta quantificazione del credito in esame sono provate dalla documentazione contabile depositata ». Tale motivazione, secondo la ricorrente, sarebbe meramente apparente in quanto non spiega le ragioni della decisione in merito alla prova dell’esistenza del credito, il cui onere incombeva sulla società contribuente.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Non risulta che l’Amministrazione avesse contestato l’esistenza del credito e che la contesa riguardasse anche questo aspetto. Si noti che, come si desume dall’insegnamento delle citate Sezioni Unite, l’eccedenza d’imposta IVA va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione « se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili » (Cass. sez. un. n. 17757 del 2016).
1.3. Secondo quanto emerge dal ricorso, la controversia verteva essenzialmente sulla ricorrenza dei presupposti di
‘utilizzabilità’ del credito IVA riportato nella dichiarazione 2016 relativa al 2015: «.. in sede di presentazione del successivo Mod. Iva 2016 per l’anno 2015 (integrativo), la Società correttamente indicava al rigo VL8 un credito da precedente dichiarazione pari ad €. 82.620,00. Pertanto, l’ufficio della D.P. di Caserta procedeva con l’iscrizione a ruolo riconoscendo tale credito solo nei limiti di € 2.087,00 e recuperando la relativa differenza (€ 80.533,00) che la ricorrente aveva utilizzato in compensazione ». Non essendo stata contestata la ricorrenza del credito, il censurato passaggio della sentenza è estraneo alla ratio decidendi , ha carattere essenzialmente argomentativo e va considerato alla stregua di un obiter dictum, c ome tale non impugnabile per cassazione, secondo il consolidato principio di diritto che « In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta”, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione » (tra le molte, Cass. n. 22380 del 2014). Come risulta dalla superiore espositiva, sul punto controverso, invece, la motivazione attinge il c.d. ‘minimo costituzionale’ (Cass. sez. un. n. 8053 del 2014).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., « Violazione/falsa applicazione dell’art. 2, commi 8 e 8 -bis, e dell’art. 8, comma 6 -bis, D.P.R. 322/1998 ». Secondo la disciplina specifica in tema di dichiarazioni integrative di cui al d.P.R. n. 322/1998 (art. 2, commi 8 e 8-bis per le imposte sui redditi; art. 8, comma 6bis per l’IVA introdotto con l’art. 5 del d.l. 22 ottobre 2016 n. 193) il credito d’imposta contenuto nella dichiarazione integrativa a favore del contribuente, presentata entro il periodo d’imposta successivo a quello di riferimento, risulta subito spendibile da contribuente, mentre invece, se contenuto nella dichiarazione presentata oltre il periodo di imposta successivo a
quello di riferimento, il credito in oggetto può esser utilizzato a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata l’integrativa.
2.1. Il motivo è per un verso inammissibile e per altro verso infondato.
2.2. E’ bene riportare la normativa invocata, introdotta dall’art. 5 del d.l. n. 193/2016, convertito con modificazioni con l. 1 dicembre 2016 n. 225, che ha modificato l’art. 8 del d.P.R. n. 322/1998: « 6- bis. Salva l’applicazione delle sanzioni e ferma restando l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, le dichiarazioni dell’imposta sul valore aggiunto possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di una maggiore o di una minore eccedenza detraibile, mediante successiva dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 6-ter. L’eventuale credito derivante dal minor debito o dalla maggiore eccedenza detraibile risultante dalle dichiarazioni di cui al comma 6-bis, presentate entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, può essere portato in detrazione in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale, ovvero utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero, sempre che ricorrano per l’anno per cui è presentata la dichiarazione integrativa i requisiti di cui agli articoli 30 e 34, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, chiesto a rimborso. 6-quater. L’eventuale credito derivante dal minor debito o dalla maggiore
eccedenza detraibile risultante dalle dichiarazioni di cui al comma 6-bis, presentate oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, può essere chiesto a rimborso ove ricorrano, per l’anno per cui è presentata la dichiarazione integrativa, i requisiti di cui agli articoli 30 e 34, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ovvero può essere utilizzato in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per eseguire il versamento di debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa. Nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa è indicato il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa ».
2.3. Quindi, in caso di dichiarazioni integrative a favore presentate oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo a quello di riferimento della dichiarazione stessa, si stabilisce l’utilizzo del credito IVA a partire dal periodo di imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa ai fini della compensazione ai sensi dell’articolo 17 del d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241 (cd. compensazione orizzontale) ma non si esclude l’immediata utilizzabilità del credito in compensazione verticale, cioè in diminuzione del debito IVA.
2.4. La doglianza difetta di specificità e autosufficienza, là dove discorre genericamente di compensazione; in ogni caso non si pone in contrasto con l’invocata normativa la sentenza impugnata che, seguendo l’orientamento delle Sezioni Unite, ha soltanto affermato il diritto alla detrazione del credito IVA (« proveniente dalla dichiarazione dell’anno d’imposta 2013, il quale per errore materiale è mancante nella dichiarazione per l’anno d’imposta
successivo 2014, e successivamente di nuovo correttamente indicato nel modello IVA relativo all’anno d’imposta 2015 »).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29/05/2024.