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Credito inesistente: la Cassazione chiarisce i limiti

La Cassazione, con l’ordinanza n. 25018/2024, ha stabilito che un credito d’imposta utilizzato oltre i termini previsti non è un credito inesistente, ma ‘non spettante’. Questa distinzione è cruciale: il credito è inesistente solo se manca il presupposto costitutivo e la sua assenza non è rilevabile con controlli automatici. Nel caso specifico, il credito, pur esistendo, è stato usato fuori tempo, configurando un’irregolarità meno grave e soggetta a sanzioni più lievi. L’Agenzia delle Entrate ha visto il suo ricorso respinto.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Credito Inesistente vs. Non Spettante: La Cassazione Traccia la Linea

La distinzione tra credito inesistente e credito non spettante è uno dei temi più dibattuti nel diritto tributario, con conseguenze profonde su sanzioni e termini di accertamento. Con l’ordinanza n. 25018 del 17 settembre 2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza su questo punto, respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e consolidando un principio fondamentale: l’utilizzo di un credito oltre i termini temporali non lo rende ‘inesistente’, ma semplicemente ‘non spettante’.

I Fatti del Caso: Un Credito Usato Fuori Tempo Massimo

Una società a responsabilità limitata aveva beneficiato di un credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate. Sebbene il credito fosse legittimamente sorto a seguito di un’apposita istanza e della realizzazione degli investimenti previsti, la normativa stabiliva un termine per il suo utilizzo. La società, tuttavia, ha utilizzato il credito in compensazione nell’anno 2009, superando il termine massimo consentito, che era il 2008.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo tale utilizzo illegittimo, ha notificato un avviso di accertamento qualificando la somma come credito inesistente e applicando la sanzione più grave, prevista in misura dal 100% al 200% dell’importo. La società ha impugnato l’atto, sostenendo che si trattasse, al più, di un credito ‘non spettante’, soggetto a una sanzione del 30%. Dopo un iter giudiziario altalenante, la Commissione Tributaria Regionale ha dato ragione alla contribuente, decisione contro cui l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte e il concetto di credito inesistente

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione dei giudici di merito. Il punto focale della decisione è stato ribadire la corretta interpretazione della nozione di credito inesistente, così come delineata dalle Sezioni Unite della stessa Corte (sentenze n. 34419 e 34452 del 2023).

Secondo gli Ermellini, un credito può essere considerato ‘inesistente’ solo quando ricorrono, cumulativamente, due condizioni:

1. Mancanza del presupposto costitutivo: Il credito manca della sua base fattuale o giuridica. Ad esempio, l’investimento agevolato non è mai stato realizzato, oppure i beni acquistati non possiedono le caratteristiche richieste dalla legge.
2. Non rilevabilità con controlli automatizzati: L’inesistenza del credito non deve essere riscontrabile attraverso i controlli formali e automatizzati previsti dagli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. 600/1973. Si tratta di situazioni fraudolente e insidiose, che richiedono un’attività di verifica sostanziale da parte dell’Ufficio.

Nel caso in esame, nessuna di queste condizioni era soddisfatta. Il credito aveva un solido presupposto costitutivo: l’istanza era stata presentata, approvata, e le opere erano state effettivamente realizzate. L’unica irregolarità commessa dalla società è stata di natura temporale, ossia aver utilizzato il credito oltre il limite consentito. Pertanto, la Corte ha concluso che il credito esisteva, ma al momento dell’utilizzo non era più ‘spettante’.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la disciplina più severa per il credito inesistente (sanzioni raddoppiate e termine di accertamento esteso a otto anni) è stata introdotta dal legislatore per colpire condotte di particolare gravità e offensività, caratterizzate da profili abusivi o fraudolenti. Queste condotte sono difficili da scovare con controlli superficiali, poiché spesso il credito viene ‘creato’ ad arte nei modelli di pagamento (F24) senza alcun riscontro documentale o dichiarativo.

Al contrario, un credito esistente ma utilizzato in modo non corretto (per violazione di limiti quantitativi o, come in questo caso, temporali) rientra nella categoria del ‘credito non spettante’. Tale irregolarità, spesso rilevabile da un semplice controllo formale incrociando i dati, è considerata meno grave e sanzionata in modo più mite.

La Cassazione ha chiarito che non si può creare un tertium genus: o il credito è esistente (e al massimo non spettante) o è inesistente. Se il suo presupposto costitutivo è reale e verificabile, anche se poi viene utilizzato in modo errato, non può mai essere qualificato come inesistente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano la materia dei crediti d’imposta. Per le imprese e i professionisti, le implicazioni sono chiare:

* La violazione dei termini di utilizzo di un’agevolazione non trasforma un credito legittimo in un credito inesistente, ma lo configura come ‘non spettante’.
* Le conseguenze sanzionatorie sono significativamente diverse: 30% nel caso di credito non spettante, contro il 100%-200% per quello inesistente.
* La corretta qualificazione della violazione incide anche sui poteri di accertamento del Fisco, che sono soggetti a termini di decadenza più brevi nel caso di crediti non spettanti.

Questa pronuncia rafforza la certezza del diritto, tracciando un confine netto tra errori procedurali e vere e proprie frodi fiscali, e garantendo una proporzionalità tra la violazione commessa e la sanzione applicata.

Qual è la differenza fondamentale tra un credito d’imposta “inesistente” e uno “non spettante”?
Un credito è “inesistente” quando manca il suo presupposto costitutivo (ad esempio, l’investimento agevolato non è mai avvenuto) e questa mancanza non è rilevabile con controlli automatici. Un credito è “non spettante” quando, pur avendo una base legittima, viene utilizzato in modo scorretto, ad esempio oltre i limiti di importo o di tempo previsti dalla legge.

Perché un credito utilizzato fuori dai termini previsti è stato classificato come “non spettante” e non come “inesistente”?
Perché il presupposto costitutivo del credito era valido e reale: la società aveva presentato l’istanza, ottenuto l’approvazione e realizzato le opere. L’irregolarità ha riguardato solo la modalità di utilizzo (il fattore temporale), non l’esistenza stessa del diritto. Pertanto, il credito esisteva, ma non era più utilizzabile in quel momento.

Quali sono le due condizioni che devono verificarsi contemporaneamente affinché un credito possa essere definito “inesistente”?
Le due condizioni cumulative sono: 1) deve mancare, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo del credito; 2) tale mancanza non deve essere riscontrabile attraverso i controlli automatizzati e formali previsti dalla normativa fiscale (artt. 36-bis, 36-ter D.P.R. 600/73 e 54-bis D.P.R. 633/72).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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