Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25018 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25018 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/09/2024
Avviso Accertamento IRES / credito d’imposta 2009
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14841/2014 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. PUGLIA n. 37/08/2014, depositata in data 13 gennaio 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 luglio 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
In data 09/06/2010, l’Ufficio erariale notificava alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, avente ad oggetto la maggiore IRES accertata per l’anno d’imposta 2009. La rettifica promanava dall’accertamento che aveva interessato le dichiarazioni dei redditi della società relative agli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008; l’Ufficio riscontrava, per l’anno 2009, l’indebito utilizzo di una somma, a titolo di credito d’imposta, di importo pari a € 56.087,02, per investimenti nelle aree svantaggiate, pur tuttavia in assenza dei presupposti legittimanti l’agevolazione.
La società, in data 17/09/2010, proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Bari avverso l’atto impositivo, chiedendone l’annullamento e si costituiva in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE con controdeduzioni, chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna alle spese; la RAGIONE_SOCIALE.t.p., con sentenza n. 37/17/12, rigettava il ricorso della ricorrente.
Contro tale decisione proponeva appello la Società dinanzi la RAGIONE_SOCIALE, in data 08/11/2012, e si costituiva anche l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con controdeduzioni.
Con sentenza n. 37/08/2014, depositata in data 13 gennaio 2014, la C.t.r. adita accoglieva il gravame della contribuente, in riforma della sentenza impugnata.
Avverso la sentenza della C.t.r. RAGIONE_SOCIALE, l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio dell’11 luglio 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 18, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modifiche nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, e dell’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.» l’RAGIONE_SOCIALE lamenta l’ error in
iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto -piuttosto che l’insussistenza del credito di imposta la non spettanza del credito, conseguentemente applicando il regime sanzionatorio previsto per quest’ultimo caso.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli articoli 27, comma 18, d.l. 29 novembre 2008, n. 185 e dell’art. 10 -quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.» l’RAGIONE_SOCIALE lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la RAGIONE_SOCIALE.t.r. ha ritenuto di escludere l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 27, comma 18, D.L. n. 185 del 2008 perché il reato relativo alle indebite compensazioni era stato archiviato con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presto il Tribunale di Bari in considerazione dell’errore, riconosciuto con dichiarazione scritta, del commercialista.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Esso attiene alla natura ‘inesistente’ ( ex art. 27, commi da 16 a 20, D.L. n. 185/2008, conv. con mod. dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2 e, a seguito della modifica operata con D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471/1997) piuttosto che ‘non spettante’ ( ex art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997) del credito indebitamente portato in compensazione dal controricorrente e alla conseguente ricaduta sulla corretta sanzione applicabile, pari al 30% dei crediti stessi in questo secondo caso e dal 100% al 200% (200% per l’art. 17, comma 18, D.L. n. 185/2008) nel primo.
La questione, in particolare, è stata oggetto RAGIONE_SOCIALE recenti ‘sentenze gemelle’ RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte dell’11 dicembre 2023 nn. 34419 e 34452.
2.1. Invero, si è statuito che: «va premesso che l’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dall’art. 15, d.lgs. 24/09/2015 n. 158, ha fornito, per la prima volta, una
esplicita definizione positiva di credito inesistente stabilendo che ‘ Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 ‘. Accanto a tale definizione, il legislatore, al comma 4 dell’art. 13 cit., parimenti modificato dalla novella del 2015, ha fornito una autonoma definizione della nozione di credito non spettante, individuato con la locuzione ‘ utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione RAGIONE_SOCIALE modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ‘. Occorre osservare che tali indicazioni postulano comunque una ricognizione di quali siano i presupposti, di fatto e normativi, per ritenere esistente un credito d’imposta; esse, inoltre, sono applicabili, in sé, alle fattispecie successive al 1° gennaio 2016 (art. 32, comma 1, d.lgs. n. 158 del 2015), rilievo quest’ultimo che, se ai fini sanzionatori trova un adeguato temperamento nell’applicazione dei principi in tema di successione di norme, condiziona l’applicabilità del maggior termine per l’esercizio della potestà accertativa da parte degli Uffici finanziari ex art. 27, comma 16, d.l. n. 185/2008. Si tratta quindi di verificare se, e in quale misura, le definizioni introdotte dal legislatore nel 2015 corrispondano a nozioni già esistenti e ricavabili da principi generali dell’ordinamento tributario e quale sia il rapporto con la disciplina introdotta nel 2008. Appare opportuno partire dal dato, intuitivo e di comune conoscenza anche secondo il linguaggio comune, che la nozione di ‘inesistenza’ evoca, sul piano fenomenico, la non appartenenza alla realtà: lo specifico evento o circostanza -che determina l’insorgere del credito – non esiste o non si è mai realizzato.
A tali situazioni è assimilabile l’ipotesi in cui il credito (la pretesa), pur regolarmente sorto, sia venuto meno per ‘consumazione’ perché già utilizzato dal soggetto interessato. Queste connotazioni, infine, possono assumere rilievo assoluto, nel senso che l’inesistenza riguarda la totalità dei consociati, oppure carattere relativo in quanto condizioni riferite a specifici soggetti; in questo caso il credito o la pretesa non ‘esistono’ per il soggetto che li invoca, senza che interferisca con questa conclusione la circostanza che essi esistano per altri soggetti o per un diverso rapporto. Sul piano giuridico tributario, la nozione è indubbiamente più sottile poiché postula, accanto ad una declinatoria fenomenica, anche la ricognizione positiva, con riguardo alle singole previsioni d’imposta, di quei requisiti -condizioni, termini e forme -normativamente imposti come elementi costitutivi dei singoli crediti d’imposta. In particolare, il credito va considerato inesistente non solo quando le attività e i presupposti fondanti non sono mai venuti in essere ma anche quando siano assenti le ulteriori condizioni essenziali -formali o sostanziali previste dal legislatore. Se sussiste l’esigenza di identificare quali siano gli elementi la cui mancanza impedisce il perfezionarsi della fattispecie agevolativa, è tuttavia evidente che non tutti gli elementi (e gli adempimenti) che partecipano alla realizzazione della fattispecie assumono un necessario rilievo costitutivo, potendo influire su aspetti meramente formali ovvero incidere solo sull’efficacia della pretesa. In tali ipotesi, il credito esiste ma non è utilizzabile in tutto o in parte, sicché il credito non può validamente od efficacemente esser posto in compensazione. Le due categorie, dunque, appaiono strutturalmente distinte e, sul piano logico, alternative: il credito è inesistente oppure esiste ma è non spettante. In via RAGIONE_SOCIALE, ai fini della determinazione dell’inesistenza del credito, si possono distinguere le seguenti ipotesi: a) la fattispecie che fonda l’agevolazione o il credito d’imposta non è mai venuta ad esistenza ma, semplicemente, è
stato solo realizzato un simulacro dei presupposti su cui si fonda la pretesa;
b) la fattispecie è carente di un elemento costitutivo; in tal caso la verifica richiede l’esegesi puntuale RAGIONE_SOCIALE norme che istituiscono l’agevolazione, tenuto conto dei principi regolatori della specifica imposta. L’ipotesi sub a) è quella più radicale ma anche di più semplice analisi -per la normale connotazione fraudolenta della condotta, mirata a fornire solo un’ingannevole rappresentazione dei presupposti di fatto e normativi. In questo caso, l’attività svolta è fittizia perché le attività richieste non sono mai state effettuate: ad esempio, con riguardo al credito d’imposta per le spese sostenute per l’attività di ricerca e sviluppo di cui all’art. 1, commi 280 e ss, l. n. 296 del 2006, se gli studi non sono mai avvenuti. Analogamente, il credito Iva posto in compensazione è inesistente quando è generato da operazioni soggettivamente od oggettivamente inesistenti. Assimilabili all’evenienza sub a), poi, è l’ipotesi in cui il credito d’imposta, pur regolarmente sorto, competa, in realtà, ad un soggetto diverso, nonché quella in cui il credito si sia estinto per esser già stato utilizzato, circostanza che ne preclude -definitivamente un nuovo impiego. In quest’ultimo caso, non è rilevante che il credito sia stato in origine utilizzato indebitamente (ad esempio, in compensazione oltre le soglie annue consentite) poiché assume rilievo il dato oggettivo della sua ‘consumazione’ e, quindi, la fuoriuscita dalla sfera di disponibilità del contribuente. Tuttavia, va sottolineato che l’eventuale contestazione dell’Ufficio sull’originaria indebita compensazione determina una situazione di incertezza del credito, che, oltre a condizionarne l’utilizzabilità, impone una specifica concreta valutazione sulla sua effettiva esistenza. Con riguardo all’ipotesi sub b), appare necessario in un’ottica sistematica, per la varietà di tipologie di crediti d’imposta, procedere ad un’indagine più analitica al fine di individuare pur a fronte RAGIONE_SOCIALE difficoltà derivanti da una normazione di settore spesso
variegata e multiforme -i parametri strutturali, di carattere RAGIONE_SOCIALE, per ritenere esistente un credito di imposta, ossia quali siano gli elementi idonei ad assumere natura costitutiva e quali, invece, abbiano carattere accessorio o riguardino la sola efficacia della pretesa. In particolare: 1) L’istanza del contribuente . Il beneficio può essere riconosciuto ex lege per il solo fatto del ricorrere RAGIONE_SOCIALE condizioni materiali; di frequente, tuttavia, è richiesta una istanza del contribuente, ossia la presentazione di un’apposita dichiarazione, autonoma o confluente nella dichiarazione annuale. È il caso, ad esempio, del credito d’imposta per l’attività di ricerca ex art. 14 d.m. n. 593 del 2000 che va indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il beneficio è concesso: v. Cass. n. 389 del 13/01/2016. 2) La previsione di obblighi di facere e/o di non facere . Accanto all’individuazione di elementi, di fatto o normativi, in atto al momento genetico della pretesa, a delineare il riconoscimento dell’agevolazione e/o del credito d’imposta è frequentemente prevista la realizzazione di un facere (e/o di un non facere ) -talvolta connotato da attività formali, talvolta da adempimenti sostanziali -da parte del destinatario della posizione soggettiva. Si tratta, invero, di una modalità operativa che riflette (e rende concreto) l’interesse che l’agevolazione mira a perseguire. Ad esempio, in tema di benefici fiscali cd. “prima casa” l’acquirente è tenuto, ai sensi dall’art. 1, nota II bis , comma 1, lett. a), della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, a trasferire -al di là dell’ipotesi riconnessa all’attività lavorativa esercitata -la propria residenza (destinata ad assurgere ad abitazione della parte) entro i diciotto mesi dall’acquisto nel comune ove è ubicato l’immobile (v. Cass. n. 28860 del 01/12/2017; Cass. n. 667 del 12/01/2023). Integra un non facere , invece, l’obbligo, in tema di agevolazioni cd. prima casa di cui all’art. 1, nota II bis , comma 4, della Tariffa, parte prima,
allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, di non cedere l’immobile per un quinquennio dall’acquisto, la cui violazione (salvo che il soggetto non provveda ad un nuovo acquisto di altro immobile da adibire ad abitazione entro un anno) determina la decadenza del beneficio con l’estinzione del credito d’imposta. 3) L’indicazione di termini finali e di condizioni risolutive . La previsione di termini finali per la fruizione del credito d’imposta e di condizioni risolutive può assumere rilievo autonomo ovvero può integrare la presentazione dell’istanza da parte del contribuente o la realizzazione RAGIONE_SOCIALE condotte richieste. Come sopra evidenziato, ad esempio, la mancata edificazione nel quinquennio dall’acquisto di terreni edificabili determina – e assume rilievo giuridico come condizione risolutiva la perdita dell’agevolazione ex art. 33, comma 3, l. n. 388 del 2000, con estinzione del credito d’imposta e obbligo di restituzione di quella anteriormente fruita. In altre ipotesi, invece, l’indicazione del termine è oggettivamente rilevante: è il caso del credito di imposta per il trasporto merci di cui al d.l. n. 265 del 2000, che deve essere esercitato, ai sensi dell’art. 4, comma 3, d.P.R. n. 277 del 2000, entro l’anno solare in cui è sorto, attraverso la compensazione prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997 (salva la possibilità, in caso di eccedenza, di chiedere il rimborso entro i sei mesi successivi a tale anno) (Cass. n. 6937 del 17/03/2017; Cass. n. 29130 del 13/11/2018). Non è invece idonea ad incidere, ai fini della perfezione della fattispecie costitutiva, l’inosservanza di meri adempimenti procedurali o la previsione di soglie o limiti di valore. Sotto il primo profilo, vengono in rilievo adempimenti di carattere strumentale o accessorio, suscettibili di connotare l’utilizzo del credito ed incidenti, in ipotesi, sull’attività di controllo dell’Ufficio, ma non anche, se carenti, di inficiarne l’esistenza. L’esistenza di limiti e soglie di valore postula, invece, l’esistenza del credito nella sua integrità: questo, semplicemente, non è utilizzabile per l’intero, restando
l’operazione, per la parte eccedente, priva di efficacia nei confronti dell’erario. Correlativamente, va parimenti escluso che sia suscettibile di assumere rilievo quale elemento costitutivo l’eventuale previsione, nella struttura dell’agevolazione o del credito in eccedenza, di un termine di inizio, prima del quale il credito non sia utilizzabile, ovvero di una condizione sospensiva per la fruizione del credito. In queste ipotesi, la fattispecie integrativa del credito d’imposta è già perfezionata nei suoi elementi costitutivi, restando carente solo una condizione di efficacia per la fruizione del credito. Per precisione, va sottolineato che esulano da questo ambito le eventuali condizioni sospensive o i termini che siano apposti nell’ambito del rapporto giuridico sottostante al rapporto tributario, la cui possibile rilevanza deve essere sempre valutata in relazione alle specificità RAGIONE_SOCIALE fattispecie agevolative. In conclusione, la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante ha, innanzitutto, carattere strutturale e trae il suo fondamento logico giuridico dal complessivo sistema ordinamentale tributario: l’una (‘l’inesistenza’) ha un valore obbiettivo, mentre l’altra (la ‘non spettanza’) ha un carattere dinamico ancorato al presupposto, antitetico, dell’esistenza del credito».
2.2. Fatto questo primo excursus, le due pronunce prendono a discorrere sulla differente sanzione a cui sono sottoposte le indebite compensazioni aventi ad oggetto una RAGIONE_SOCIALE due categorie di crediti in parola e, in questo modo, mettono poi in luce quello che costituisce essere un secondo presupposto (insieme a quello della carenza di ‘elementi costitutivi’) affinché possa parlarsi di credito ‘inesistente’: l’inesistenza non deve potersi riscontrare mediante i controlli di cui agli artt. 36bis e 36ter d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (e all’art. 54 -bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633).
Difatti, si afferma che: «La giurisprudenza, a sua volta, si era orientata per ritenere che la condotta di indebita compensazione
dei crediti -senza, però, distinguere tra le diverse ipotesi – fosse soggetta alla sanzione di cui all’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 poiché l’indebita compensazione comportava un minor versamento RAGIONE_SOCIALE imposte dovute (pari a quelle illegittimamente compensate) e, quindi, si traduceva in una ipotesi di omesso versamento d’imposta (v., tra le molte, Cass. n. 8681 del 15/04/2011; Cass. n. 8247 del 04/04/2018). A fronte di tale RAGIONE_SOCIALE contesto, è con il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, che, per la prima volta, emerge, sul piano positivo, l’esistenza di una dicotomia tra le due categorie concettuali. Infatti, l’art. 35 del d.l. n. 223/2006 introduce l’art. 10 quater del d.lgs. n. 74 del 2000, che prevede l’illiceità penale della condotta di colui che ‘ non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o inesistenti ‘. In realtà, anche in questo caso la distinzione, pur positivamente affermata, non comportava diversità di disciplina poiché entrambe le condotte restavano soggette al medesimo regime sanzionatorio penale (ossia, alla pena da sei mesi a due anni). È solamente con il d.l. n. 185 del 2008 che l’attenzione del legislatore si concentra, limitatamente all’ambito tributario, su una differenziazione di regime giuridico. L’art. 27, commi da 16 a 18, nel testo ratione temporis vigente , testualmente ha previsto: ‘ Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall’articolo 10-quater, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno
successivo a quello del relativo utilizzo. La disposizione di cui al comma 16 si applica a decorrere dalla data di presentazione del moRAGIONE_SOCIALE di pagamento unificato nel quale sono indicati crediti inesistenti utilizzati in compensazione in anni con riferimento ai quali alla data di entrata in vigore della presente legge siano ancora pendenti i termini di cui al primo comma dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. L’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento RAGIONE_SOCIALE somme dovute è punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi ‘. La successiva evoluzione normativa conserva e rafforza la distinzione e la diversità di regime giuridico, cui si aggiunge anche una prospettiva convergente tra disciplina penale e tributaria. Con l’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 – immodificati i commi 16 e 17 dell’art. 27 cit. – il comma 18 viene abrogato (con decorrenza dal 1° gennaio 2016 ex art. 32, comma 2, d.lgs. n. 158 del 2015) e, contestualmente, vengono introdotti i nuovi commi 4 e 5 dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997. Le nuove disposizioni, in particolare, hanno stabilito quanto segue: ‘ 4. Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione RAGIONE_SOCIALE modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato. 5. Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento RAGIONE_SOCIALE somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia
riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 ‘. Analogamente in ambito penale: l’art. 9 d.lgs. n. 158 del 2015 novella l’art. 10 quater d.lgs. n. 74/2000, che, nel nuovo testo (in vigore dal 22 ottobre 2015), ha previsto: ‘ 1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. 2. È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro ‘. Dal complessivo quadro normativo su evidenziato emerge che, recepita positivamente la distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti (art. 10 quater ), ai fini tributari sin dall’origine (art. 27, commi 16 e ss) l’intervento del legislatore è stato mirato a fornire una disciplina specifica in caso di compensazioni con crediti inesistenti. Ciò emerge, innanzitutto, sul piano letterale. Già il comma 16 dell’art. 27 d.l. n. 185/2008, in sé solo considerato, è esplicito nell’individuare l’oggetto della disciplina ‘ nella riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ‘. I successivi commi 17 e 18 dell’art. 27 cit. confermano l’univocità della scelta normativa poiché si riferiscono – solo ed esclusivamente – alla compensazione di « crediti inesistenti ». L’effettiva portata dell’originaria disciplina e la delimitazione dell’area di specifica regolamentazione emerge, peraltro, da una pluralità di argomenti. In primo luogo, il rinvio operato dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 non solo all’art. 10 quater ma alla stessa procedura di riscossione ex art. 1, comma 421, l. n. 331/2004 -in sé rilevante per la generalità RAGIONE_SOCIALE
compensazioni indebite -è espressamente circoscritto alle sole compensazioni per crediti inesistenti. In secondo luogo, tale delimitazione non concerne qualsiasi indebita compensazione per crediti inesistenti ma solo quelle emergenti dal ‘ controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato ‘, come esplicitamente prevede il comma 16, con espressione poi ripresa dal successivo comma 17. Tale locuzione, come anche specifica la relazione illustrativa al provvedimento legislativo, si riferisce alle ipotesi in cui ‘ dai riscontri sui dati contenuti nei modelli di pagamento unificato relativi alle compensazioni esposte’ risultino ‘crediti d’imposta non esposti, come obbligatoriamente previsto, nelle dichiarazioni presentate, nonché relativi a periodi di formazione per i quali le dichiarazioni risultano omesse, o nei quali l’attività economica esercitata dai contribuenti risulta essere cessata’, ossia in esito a verifiche dalle quali emerga ‘l’inesistenza dei crediti stessi, non essendo, nella maggior parte dei casi, riscontrabili partendo dal controllo RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali ‘. Si tratta di ipotesi in cui il credito viene ‘creato’ direttamente con il moRAGIONE_SOCIALE F24 pur in assenza di riscontro documentale od esposizione nella dichiarazione o, ancora, in forza di attività artificiose mediante la creazione di crediti fittizi, ancorché, in questo caso, riportati nelle dichiarazioni. Le condotte rilevanti, dunque, sono quelle caratterizzate da profili abusivi, occulti o fraudolenti, che, in quanto tali, sono rilevabili solamente attraverso riscontri di coerenza contabile del moRAGIONE_SOCIALE di versamento e non meramente cartolari poiché non emergenti dalle dichiarazioni presentate (o da esse falsamente emergenti) o dal mero raffronto con i relativi modelli di versamento. In altri termini, il più severo regime giuridico previsto dall’art. 27, commi 16 -20, ha riguardato -contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore RAGIONE_SOCIALE – solo la compensazione di crediti connotati da una condizione di inesistenza qualificata dalla non verificabilità in sede di controllo
formale. Questa conclusione è coerente con la ratio dell’intervento legislativo del 2008, volto a perseguire, a fronte di una condotta particolarmente insidiosa, riscontrabile solo in sede di verifica e non con meri riscontri formali (in ipotesi, anzi, forieri di esiti errati), il duplice convergente scopo di fornire all’Amministrazione finanziaria un maggior tempo per gli accertamenti (perché di maggiore complessità) e, al contempo, di differenziare il trattamento sanzionatorio (tributario) rispetto a condotte di particolare offensività. La novella di cui al d.lgs. n. 158 del 2015 con riguardo ai crediti inesistenti -pur in concreto volta a definire la fattispecie sanzionatoria – non ha dunque innovato ma, più congruamente, si è limitata a fornire chiarezza, anche formale, al dato normativo rispetto ai contenuti già esistenti con riguardo all’azione di accertamento dell’Ufficio, precisando i requisiti per l’applicazione del regime più rigoroso, in quanto debbono ricorrere, cumulativamente, le seguenti condizioni: a) il credito deve essere inesistente, ossia di esso deve mancare (in tutto o in parte) il « presupposto costitutivo »; b) tale mancanza (« l’inesistenza ») non è riscontrabile in sede di controllo ex artt. 36 bis e 36 ter d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972 (come tali inclusivi anche degli elementi rilevabili in sede di anagrafe tributaria). In altri termini, non si profila una “soluzione di continuità” tra la vecchia e la nuova disciplina, con la conseguenza che la seconda può essere utilmente impiegata come elemento di valutazione ermeneutica della prima (v. in tal senso Sez. U, n. 12476 del 24/06/2020; Sez. U, n. 8504 del 25/03/2021), sicché va affermato che anche anteriormente all’intervento operato con il d.lgs. n. 158 del 2015, solamente a fronte della ricorrenza di entrambe le suddette condizioni il credito doveva essere considerato inesistente e poteva trovare applicazione, per l’accertamento della condotta di indebita compensazione di crediti inesistenti, il più lungo termine di otto anni di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 e la
sanzione prevista dal successivo comma 18. La scelta operata dal legislatore -in continuità tra i due interventi normativi -si è, dunque, tradotta nella individuazione di un ulteriore elemento strutturale esterno alle singole previsioni d’imposta ai fini della definizione della nozione di credito inesistente e in funzione della determinazione del regime giuridico applicabile in caso di indebita compensazione. Accanto alle carenze sul piano strettamente fenomenico e a quelle sui presupposti costitutivi del singolo credito d’imposta, rileva, come elemento costitutivo strutturale autonomo e di portata RAGIONE_SOCIALE, un elemento ‘procedurale’ o ‘percettivo’ di carattere obbiettivo, la cui mancanza degrada la fattispecie. Non si tratta, invero, di un elemento che si aggiunge, in funzione delimitativa, alla definizione di credito inesistente ma partecipa alla costituzione della stessa nozione di credito inesistente. L’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 -che ha solo confermato e precisato quanto già desumibile dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 -è chiaro sul punto dove precisa che il credito è inesistente quando manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo «e» tale inesistenza non sia riscontrabile con controlli cd. automatizzati. L’uso della congiunzione «e» rivela la necessaria contitolarità dei due requisiti – quello strutturale interno correlato ai singoli crediti e quello strutturale esterno di portata RAGIONE_SOCIALE – per la costruzione della nozione e l’applicazione del regime più severo, che resta circoscritto alle fattispecie di maggiore gravità e offensività. Il corollario è che, in assenza di uno dei due requisiti, il credito, ai fini qui in rilievo, non può qualificarsi come inesistente: non importa che il credito sia carente di elementi costitutivi o sia ‘non reale’ se tale inesistenza è agevolmente rilevabile, restando la vicenda, in tale ipotesi, soggetta al regime giuridico ordinario e meno afflittivo. In altri termini, il credito, pur inesistente in fatto, non è valutabile come tale e, dunque, esclusa la possibilità di un tertium genus tra esistente e inesistente, deve essere ricondotto,
sul piano formale, ai crediti ‘esistenti’, sicché la sua indebita compensazione rileva come quella di credito ‘non spettante’, sempre escluso dal più lungo termine di accertamento, nonché, sul piano afflittivo, oggi sanzionato ai sensi del comma 4 del d.lgs. n. 471 del 1997 e, in precedenza, ai sensi del comma 1 del medesimo decreto legislativo. Da ultimo, la necessità che l’inesistenza del credito non sia riscontrabile mediante controlli formali impone alcune ulteriori considerazioni. In primo luogo, è appena il caso di precisare che la condizione del mancato riscontro formale ha valore oggettivo: non assume rilievo che, materialmente, l’inesistenza del credito sia stata rilevata a seguito di accertamento sostanziale ma solo che, in sede di controllo formale, non era possibile riscontrarne la mancanza, ancorché, in concreto, tale verifica non sia stata operata. In secondo luogo, al di là dell’ipotesi in cui la condotta sia palesemente connotata da fraudolenza, come tale mirata a fornire solo una fittizia rappresentazione dei presupposti di fatto e normativi del credito e/o dell’eccedenza, tra gli elementi strutturali idonei ad assumere natura costitutiva del credito, su esaminati al punto 9, assume una particolare rilevanza l’esistenza di un obbligo di facere o di non facere . L’adempimento di un obbligo di tal genere, infatti, se, da un lato, condiziona l’esistenza e/o il mantenimento dell’agevolazione (e del diritto di credito), dall’altro si traduce nel compimento di una attività da parte del contribuente che, più di altre, non necessariamente è suscettibile di rilevazione in sede di controllo formale. Ad esempio, in tema di agevolazioni per gli investimenti nelle aree svantaggiate, il mantenimento del beneficio è condizionato dalla materiale adibizione ‘ del bene oggetto dell’investimento alla funzione produttiva sua propria entro due anni da quando lo stesso si è reso disponibile all’impresa ‘, situazione la cui verificabilità si sottrae, di norma, ad un riscontro meramente formale. In tale ipotesi, peraltro, la condotta rilevante potrà riguardare l’uso in compensazione del credito successivo
all’inutile scadenza del biennio e non anche l’utilizzo del credito per il periodo anteriore, quando, sia pure condizionato, era esistente. Va escluso, del resto, che l’ipotesi determini un allargamento dei presupposti di rilevanza per l’applicazione del più rigoroso regime giuridico: il credito non solo è inesistente al momento del suo utilizzo in compensazione ma tale inesistenza, quando gli adempimenti richiesti si traducano in attività non meramente formali, non è neppure rilevabile in sede di controllo automatizzato, restando la condotta del contribuente -che ha posto in compensazione il credito nonostante l’inosservanza degli obblighi, di facere o non facere , su di lui ricadenti -indubbiamente valutabile come abusiva e fraudolenta».
2.3. Nella fattispecie in esame, la C.t.r., con una motivazione scevra da violazioni normative e della quale è agevole intendere l’iter logico -argomentativo sottostante, ha fatto buon governo dei principi testè illustrati allorquando ha ritenuto che non si configurava un credito ‘inesistente’ ma ‘non spettante’, perché il credito utilizzato indebitamente in compensazione dalla RAGIONE_SOCIALE non era mancante di elementi costitutivi; infatti, il credito: era stato ottenuto in seguito a presentazione di specifica istanza da parte della contribuente; era subordinato all’obbligo di facere relativo alla realizzazione di opere, effettivamente realizzate; – era soggetto all’utilizzazione entro il secondo anno successivo a quello di presentazione dell’istanza ammessa (con la restante parte non più utilizzabile oltre detto termine), termine non rispettato dal contribuente (portato in compensazione nel 2009, poteva venir al massimo utilizzato nel 2008).
Dunque, si ripete, constatando la non mancanza di elementi costitutivi ma ‘solo’ il suo utilizzo in compensazione oltre il termine cui era in realtà assoggettato, si potrebbe senz’altro concludere per la natura non spettante, anziché inesistente, del credito in discussione.
2.4. Di poi, va evidenziato che il d.lgs. 14 giugno 2024 n.87 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 28 giugni 2024) avente ad oggetto la revisione del sistema sanzionatorio tributario, all’art. 1, comma 1, opera una precisa distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti ai fini dell’applicazione della fattispecie di indebita compensazione prevista dall’art. 10 quater del d.lgs 10 marzo 2000, n. n. 74. La distinzione operata nella norma sostanzialmente ripercorre i criteri differenziali enucleate dalle Sezioni Unite di questa Corte ed ulteriormente arricchite dalle pronunce giurisprudenziali che ne sono seguite.
2.5. Dal rigetto del primo motivo di ricorso discende il rigetto anche del secondo motivo atteso che l’art. 27, comma 18, del d.l. n. 185 del 2008 prevede la più grave sanzione del 200% solo per l’ipotesi di compensazione con crediti inesistenti per cui la sanzione non può applicarsi all’indebita compensazione con crediti non spettanti per la quale la sanzione rimane quella dell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1992.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite che liquida in € 5.600,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma in data 11 luglio 2024.
La Presidente
NOME COGNOME