Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8287 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8287 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES 2011
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 736/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna n. 819/04/2022, depositata il 28 giugno 2022;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 17 dicembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
Con atto n. THHCR2018MP00022, notificato il 29 marzo 2018, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Modena procedeva al recupero, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE nella qualità di incorporante la Margherita s.p.aRAGIONE_SOCIALE, di un credito d’imposta di € 20.077,00 rel ativo a costi per attività di ricerca e sviluppo, utilizzato in compensazione nell’anno d’imposta 2011 e ritenuto inesistente.
La società impugnava il predetto atto di recupero dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Modena la quale, con sentenza n. 64/01/2019, depositata il 1° febbraio 2019, accoglieva il ricorso, annullando l’atto in questione e compensando le spese.
Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate , la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, con sentenza n. 819/04/2022, pronunciata il 22 giugno 2022 e depositata in segreteria il 28 giugno 2022, rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata e compensando le spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di un unico motivo (ricorso notificato il 1° gennaio 2024).
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Con decreto del 1° agosto 2024 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza
in camera di consiglio del 17 dicembre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
La controricorrente ha depositato memoria.
– Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 280-283, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (nel testo vigente ratione temporis ) e dell’art. 5 del D.M. 28 marzo 2008, n. 76, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c .
Deduce, in particolare, che il credito d’imposta in questione avrebbe dovuto essere indicato nel rigo RU81 della dichiarazione relativa all’anno d’ imposta 2011, esponendo poi i dati di dettaglio nei righi RU79 e RU80, e non in quella dell’anno di formazione del credito (2008), con la conseguenza che, stante l’inosservanza dell’art. 5 del D.M. n. 76/2008, in relazione all’obbligo dichiarativo di cui all’art. 1, comma 282, della legge n. 296/2006, la contribuente era decaduta dalla possibilità di fruizione del credito.
Così delineato il motivo di ricorso, deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, sollevata dalla difesa della RAGIONE_SOCIALE
L’eccezione è da ritenersi infondata.
Il ricorso è stato notificato via PEC il 1° gennaio 2024.
La sentenza della C.T.R. è stata depositata il 28 giugno 2022.
Il termine ordinario per la presentazione del ricorso ex art. 327 c.p.c. era il 28 gennaio 2023 (sei mesi + 31 giorni di
sospensione), che però era sabato, e quindi era prorogato al 30.1.2023.
Stante la sospensione di 11 mesi ex art. 1, comma 199, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, il termine veniva quindi a scadere il 30.12.2023, che era pure sabato, quindi automaticamente prorogato al 2 gennaio 2024.
La notifica avvenuta il 1° gennaio 2024 deve quindi ritenersi tempestiva.
Vero è che il termine originario di sospensione previsto dall’art. 1, comma 199, cit., era di nove mesi, e che tale termine è stato elevato a undici mesi in forza dell’art. 20, comma 1, lett. d ), del d.l. 30 marzo 2023, n. 23, conv. dalla l. 26 maggio 2023, n. 56. Tuttavia, trattandosi di proroga intervenuta nella perdurante pendenza della sospensione in questione originariamente indicata in nove mesi, tale proroga deve ritenersi applicabile anche all’ipotesi in esame, trattandosi di norma processuale, per la quale vige il principio tempus regit actum , e quindi di norma di immediata applicazione.
Deve quindi formularsi il seguente principio di diritto: «in caso di proroga di sospensione dei termini processuali intervenuta nel corso della pendenza di una sospensione del termine per proporre impugnazione già in essere, ai fini della determinazione del termine finale deve applicarsi la disposta proroga, trattandosi di norma processuale per la quale, in assenza di una norma transitoria, vige il principio del tempus regit actum ».
Nel merito, il ricorso è infondato.
I n via generale, ai fini dell’esclusione del credito d’imposta, si possono distinguere le seguenti ipotesi:
a) la fattispecie che fonda l’agevolazione o il credito d’imposta non è mai venuta ad esistenza ma, semplicemente, è stato solo realizzato un simulacro dei presupposti su cui si fonda la pretesa;
b) la fattispecie è carente di un elemento costitutivo; in tal caso la verifica richiede l’esegesi puntuale delle norme che istituiscono l’agevolazione, tenuto conto dei principi regolatori della specifica imposta (Cass., sez. un., 11 dicembre 2023, n. 34419).
Ora, il ‘ presupposto costitutivo ‘ del credito d’imposta può mancare quando la fattispecie agevolativa ‘ non è mai venuta ad esistenza ‘ in ragione della ‘ connotazione fraudolenta della condotta ‘ (che, nella specie, l’Agenzia delle Entrate non ha contestato); oppure in casi in cui il contribuente ometta di presentare un’istanza o una dichiarazione richiesta dalla legge a pena di decadenza (come avviene ad esempio per il credito d’imposta per attività di ricerca previsto dall’art. 14 del d.m. n. 593/2000 che -ricordano le Sezioni Unite -‘ va indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il beneficio è concesso’ ).
Su quest’ultimo aspetto insiste l’Agenzia nel presente ricorso, affermando che il credito compensato dalla RAGIONE_SOCIALECREM. s.p.a. sarebbe non spettante perché non dichiarato nell’anno di compensazione (2011).
Tuttavia, il ‘ presupposto costitutivo ‘ esiste se il credito è dichiarato nell’anno di formazione, in cui l’attività agevolata viene compiuta (2008), come è accaduto nella specie.
L’art. 1, comma 282, della legge n. 296/2006 , vigente ratione temporis , stabilisce che «il credito d’imposta dev’essere
indicato nella relativa dichiarazione dei redditi», mentre l’art. 5 del D.M. n. 76/2008 richiedeva alle imprese di indicare in dichiarazione ‘ a pena di decadenza’ il prospetto relativo ai costi sostenuti.
Va rilevato, peraltro, che, come già affermato da questa Corte, il credito d’imposta dev’essere indicato a pena di decadenza nella « dichiarazione relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il beneficio è concesso»: ed è pacifico che questo periodo coincida con quello di genesi del credito (non con quello di utilizzo in compensazione). Infatti, la previsione della decadenza, in tal caso, è «coerente con la scelta di accordare il beneficio in relazione all’ esercizio fiscale nel corso del quale si siano sostenuti costi per ricerca e sviluppo» (Cass. 6 ottobre 2022, n. 29126, con riguardo al credito per cui è causa) o « nel corso del quale si sia proceduto all’acquisto dei beni strumentali idonei a rispondere all’obiettivo della riqualificazione della rete distributiva» (Cass. 12 ottobre 2021, n. 27660; Cass. 12 gennaio 2022, n. 698, con riguardo al credito riconosciuto dall’art. 11 della legge n. 449 del 1997 ; v. anche Cass. 10 aprile 2024, n. 9693; Cass. 11 aprile 2024, n. 9886).
Il credito, pertanto, esiste se dichiarato nell’anno in cui è svolta l’attività agevolata (nella specie, il 2008); può invece ritenersi inesistente (in presenza anche del secondo requisito richiesto dall’art. 13, comma 5, del d.lgs, n. 471/1997, di cui si dirà infra) se non dichiarato in tale anno, a prescindere dal fatto che venga o meno dichiarato in un anno successivo.
Nel caso di specie, risulta che il credito d’imposta per costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo, in capo all’odierna
contribuente, era sorto nell’anno d’imposta 2008, legittimamente ed in maniera non contestata, ed era stato regolarmente dichiarato nella dichiarazione dei redditi (Unico 2009).
Tale credito non fu utilizzato nell’anno in cui nacque per mancanza di nulla osta da parte dell’amministrazione finanziaria, che oppose all’utilizzazione del detto credito l’insufficienza di risorse finanziarie.
Il credito maturato dalla società fu utilizzato in seguito, nel 2011, tramite compensazione effettuata in sede di versamento con modello F24 .
Non vi è stata, dunque, attività fraudolenta della società, che si era limitata a portare in compensazione, appena le fu reso possibile, un credito d’imposta, legittimamente maturato, per i costi di ricerca e sviluppo che essa aveva sostenuto: l’omissione che l’Agenzia delle Entrate le imputa è quella di non aver indicato nella dichiarazione dei redditi l’utilizzazione per compensazione del credito d’imposta, ad essa comunque spettante.
Orbene, a prescindere dalla effettiva sussistenza dell’onere di indicazione in dichiarazione dell’utilizzazione di tale credito d’imposta, nel caso di specie si tratta senza dubbio non di un caso di inesistenza del credito d’imposta utilizzato o di artificiosa precostituzione degli elementi costitutivi dello stesso credito, bensì di un mero inadempimento formale.
È rilevante, a tal proposito, quanto recentemente statuito dalle SS.UU. di questa Corte (Cass. n. 34419/2023), secondo le quali per l’accertamento relativo ai crediti d’imposta esistenti, ma, in tesi, non spettanti, il termine di decadenza è
quello ordinario (v., di recente, Cass. 27 giugno 2024, n. 17769).
In applicazione del principio di diritto espresso dal citato arresto, pertanto l’avviso di accertamento, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere notificato alla società entro la fine del 2016, sicché, al tempo della notifica (29 marzo 2018), l’Amministrazione era decaduta dal potere di accertamento.
In quanto esistente e spettante, il credito per cui è causa è stato quindi legittimamente compensato da RAGIONE_SOCIALE s.p.a. nell’anno 2011. L’Agenzia delle Entrate ne ha contestato l’esistenza in base alla sola ragione della mancata dichiarazione in tale anno, senza verificarne i presupposti costitutivi e le condizioni di spettanza : dal che, appunto, l’illegittimità dell’atto di recupero rilevata dai giudici d’appello, sul corretto rilievo per cui « neppure l’Agenzia Entrate poteva dichiarare legittimamente l’in esistenza dei medesimi (costi) a fronte di una compilazione che doveva essere esaminata per verificare la debenza o meno del credito d’imposta e della relativa entità, prima di disporre il recupero dell’intera somma compensata, sicché, assorbita ogni altra doglianza, il recupero stesso si profila illegittimo, in quanto privo di qualsivoglia motivazione».
4. Il ricorso deve quindi essere rigettato, sulla base del seguente principio di diritto: «ai fini della compensazione del credito d’imposta per costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, ai sensi dell’art. 1, comma 280-282, l. n. 296/2006, il predetto credito deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui tali costi sono stati sostenuti, e non necessariamente
nella dichiarazione dell’anno in cui vi ene richiesta la compensazione».
Le spese di giudizio seguono la soccombenza dell’Agenzia delle Entrate, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater .
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione, in favore della RAGIONE_SOCIALE, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 5.600,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2024.