Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6702 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6702 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28660/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME anche nella qualità di eredi della defunta NOME COGNOME titolare dell’omonima impresa individuale in cui si era trasformata la RAGIONE_SOCIALE, tutti quanti rappresentati e difesi dall’avv. COGNOME Vito (domicilio digitale: EMAIL)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA n. 2995/01/2020 depositata il 3 giugno 2020
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 gennaio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
Per quanto in questa sede ancora interessa, la Direzione Provinciale di Trapani dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME titolare dell’omonima impresa individuale nella quale si era trasformata la RAGIONE_SOCIALE, un atto di recupero del credito d’imposta ex art. 2, comma 539, della L. n. 244 del 2007 concesso alla prefata società per aver assunto nuovi lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato, nel periodo compreso fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2008, in aree svantaggiate del Paese; e ciò sul presupposto che l’ente beneficiario avesse indebitamente utilizzato in compensazione tale credito negli anni 2008 e 2009, pur essendo decaduto dall’agevolazione, ai sensi del comma 545, lettera b), del citato articolo, per non aver mantenuto i posti di lavoro creati per il periodo minimo prescritto dalla norma.
Contestualmente il medesimo Ufficio notificava alla sunnominata RAGIONE_SOCIALE COGNOME, nonché a Castrenze Arduino, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ex soci della cessata RAGIONE_SOCIALE, cinque distinti avvisi di accertamento mediante i quali recuperava a tassazione ai fini dell’IRPEF, in proporzione alla quota di partecipazione spettante a ciascuno di loro, la complessiva somma di 28.464,91 euro, costituente il residuo credito d’imposta non utilizzato in compensazione dalla società per l’anno 2008 e dalla stessa illegittimamente distribuito ai predetti soci.
La COGNOME e gli COGNOME contestavano le singole pretese erariali proponendo autonomi ricorsi davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Trapani, la quale, riuniti i diversi procedimenti, accoglieva le loro ragioni e annullava l’atto di recupero e gli avvisi di accertamento impugnati.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che con sentenza n. 2995/01/2020 del 3 giugno 2020, in accoglimento dell’appello dell’Amministrazione Finanziaria, respingeva gli originari ricorsi
delle parti private.
Avverso tale sentenza COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME nelle more deceduta, hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la violazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973.
1.1 Si sostiene che avrebbe errato la CTR nell’escludere che gli impugnati avvisi di accertamento fossero affetti da nullità per mancanza di firma.
1.2 Viene, in proposito, osservato che: – il funzionario sottoscrittore risultava privo di una valida delega rilasciata dal capo dell’ufficio finanziario; in corso di causa l’Agenzia delle Entrate aveva prodotto un ordine di servizio contenente un generico riferimento alla delega conferita al , carente dell’indicazione della sua durata, delle ragioni che ne avevano giustificato il rilascio e del nominativo del soggetto delegato; soltanto nel giudizio di appello la parte pubblica aveva depositato copia della relativa al firmatario dell’atto, dott. NOME COGNOME anch’essa mancante degli elementi anzidetti, oltre che dell’indicazione delle modalità di assunzione del menzionato funzionario (, in ossequio al monito della Corte Costituzionale dettato con la sentenza n. 37/2015> ).
1.3 Il motivo è infondato.
1.4 Per giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento a un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma -e non di funzioni-, poiché realizza un mero decentramento burocratico privo di rilevanza esterna, restando l’atto sottoscritto dal delegato imputabile all’organo delegante (cfr. Cass. n. 9625/2021, Cass. n. 34775/2023, Cass. n. 21839/2024); ne consegue che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega e delle comprovate ragioni di servizio che ne giustificano l’adozione, come invece prescritto dall’art. 17, comma 1 -bis , del D. Lgs. n. 165 del 2001 in caso di delega delle funzioni dirigenziali (cfr. Cass. n. 2639526396-26397-26398/2020, Cass. n. 1028/2021, Cass. n. 4884/2022).
1.5 È stato, inoltre, ripetutamente affermato che, nell’àmbito dell’organizzazione interna dell’Ufficio, l’attuazione di detta delega può avvenire anche mediante ordini di servizio che individuino il delegato attraverso il riferimento alla qualifica da questi rivestita, giacchè una siffatta indicazione consente la verifica «ex post» della corrispondenza fra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (cfr. Cass. n. 11013/2019, Cass. 18675/2020, Cass. n. 2221/2021).
1.6 Non si è poi mancato di puntualizzare che la delega di firma non deve essere necessariamente allegata all’avviso di accertamento, a pena di nullità, fermo restando che, ove il contribuente abbia contestato la sottoscrizione dell’atto e/o il difetto di potere sostitutivo in capo al firmatario, l’Ufficio è tenuto a dimostrare la sussistenza di tale delega; con l’ulteriore precisazione che il deposito della stessa può avvenire anche nel giudizio di secondo grado, trattandosi di atto non attinente alla legittimazione processuale ed essendo espressamente fatta salva dall’art. 58,
comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992 la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello, anche al di fuori degli stretti limiti imposti dall’art. 345, comma 3, c.p.c. (cfr. Cass. n. 17044/2013, Cass. n. 12781/2016, Cass. n. 29434/2024).
1.7 Quanto, poi, agli effetti prodotti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015 -con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 8, comma 24, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012, nei limiti in cui detta norma, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, in violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Carta fondamentale-, questo Supremo Collegio ha avuto modo di chiarire che per la validità della sottoscrizione degli avvisi di accertamento non è necessaria la qualifica dirigenziale, essendo sufficiente l’appartenenza del funzionario alla cd. carriera direttiva, corrispondente alla terza area funzionale del c.c.n.l. del comparto delle agenzie fiscali per gli anni dal 2002 al 2005 (cfr. Cass. n. 5177/2020, Cass. n. 34940/2021, Cass. n. 31311/2024).
1.8 Tanto premesso, la CTR siciliana ha accertato in fatto, con apprezzamento insindacabile in questa sede, che «la delega a sottoscrivere gli atti era già stata allegata dall’Agenzia nel corso del giudizio in primo grado» e che nel successivo grado di appello «l’Agenzia (avev) a allegato copia della scheda personale/curriculum del dott. NOME COGNOME, dalla quale si evince (va) che il predetto funzionario appart (e) ne (va) alla Terza Area (oggi riconducibile alla ex carriera direttiva…)» .
1.9 Così decidendo, essa ha correttamente applicato i surriferiti princìpi di diritto, onde deve escludersi la sussistenza del dedotto «error in iudicando» .
Con il secondo motivo, pure proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione dell’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 137, 148 e 149 c.p.c..
2.1 Viene rimproverato al collegio regionale di aver a torto affermato la validità della notificazione degli atti impositivi impugnati, eseguita a mezzo del servizio postale nazionale, quantunque in calce ad essi non risultasse apposta la prescritta relata.
2.2 Il motivo è infondato.
2.3 I giudici regionali hanno appurato che «gli atti in contestazione risulta (va) no notificati a mezzo del servizio postale nazionale» , soggiungendo che «la raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale gli atti tributari possono essere notificati direttamente dall’ufficio, soggiace alle regole postali ordinarie, che non richiedono la compilazione di una relata e neppure l’annotazione specifica sull’a/r circa la qualità della persona cui è stato consegnato il plico» .
2.4 Le surriportate enunciazioni si pongono in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la notifica degli atti impositivi può avvenire alternativamente nelle forme del codice di rito, in base alle previsioni contenute nell’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, o direttamente a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 14 della L. n. 890 del 1982.
In quest’ultimo caso, la notifica è disciplinata dalle regole del servizio postale ordinario operanti per le raccomandate e non necessita della redazione di alcuna relata, né di annotazioni specifiche sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, presumendosi ex art. 1335 c.c. che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario sia stato ritualmente consegnato a quest’ultimo (cfr. Cass. n. 5077/2019, Cass. n. 26688/2022, Cass. n. 28618/2024).
2.5 Non ricorre, pertanto, il vizio denunciato.
Con il terzo mezzo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) c.p.c., è prospettata la violazione dell’art. 12, commi 6 e 7, della L. n. 212 del 2000 e dell’art. 24 della L. n. 4 del 1929.
3.1 Si critica la gravata sentenza per aver escluso che l’inosservanza dell’obbligo di attivazione del contraddittorio preventivo fosse idonea a determinare la nullità degli atti impugnati e per aver omesso di esaminare la questione decisiva inerente alle conseguenze provocate dalla mancata notificazione del processo verbale di constatazione ai contribuenti.
3.2 Il motivo è infondato.
3.3 È «ius receptum» che per i tributi cd. -per tali intendendosi quelli (come l’IRPEF e l’IRAP) non soggetti alla diretta applicazione del diritto unionale, a differenza dei tributi cd. (come l’IVA) – le garanzie procedimenti previste dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 operano nei soli casi, ivi espressamente contemplati, di accesso, ispezione o verifica nei locali dove si svolge l’attività del contribuente, e non anche in presenza di verifiche cd. svolte presso gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria in base a notizie o documenti acquisiti presso terzi o a dati forniti dallo stesso contribuente in risposta a questionari o nel corso di colloqui (cfr. Cass. n. 24386/2017, Cass. n. 27420/2018, Cass. n. 5413/2024).
3.4 Si è altresì chiarito che: – un obbligo generale di contraddittorio preventivo è configurabile soltanto in materia di tributi cd. , rispetto ai quali la violazione dell’obbligo suddetto comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto in giudizio l’onere di allegare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in quella sede (cfr. Cass. n. 23670/2018, Cass. n. 10652/2019, Cass. n. 37234/2022); -non sussiste per l’Amministrazione Finanziaria alcun obbligo di redazione del processo verbale di constatazione (PVC) di cui all’art. 24 della L. n. 4 del 1929 in caso di accertamenti effettuati in assenza di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente (cfr. Cass. Sez. Un. n. 24823/2015, Cass. n. 17818/2022, Cass. n. 23820/2024).
3.5 Anche sul punto la Commissione regionale si è uniformata all’insegnamento nomofilattico dianzi richiamato (nella motivazione della sentenza leggesi che «l’onere del contraddittorio… non sussiste per i c.d. accertamenti a tavolino, ovvero per gli accertamenti effettuati negli uffici dell’Amministrazione finanziaria, aventi ad oggetto tributi non armonizzati» ), sicchè la lagnanza in scrutinio appare, «in parte qua» , priva di pregio, non disputandosi, nella specie, di tributi armonizzati.
Con il quarto motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono contestate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 36 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
4.1 Si assume che non ricorressero, nella fattispecie concreta, le condizioni richieste dall’art. 1, comma 421, della L. n. 311 del 2004 per l’emissione di un atto di recupero, non essendosi al cospetto di un credito d’imposta inesistente o non spettante, in quanto che essa aveva assunto.
Nel descritto contesto, l’Ufficio avrebbe, quindi, dovuto avvalersi della procedura automatizzata di cui all’art. 36 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
4.2 Il motivo è infondato.
4.3 Questa Corte è ormai da tempo orientata nel senso che la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi dell’art. 36bis del D.P.R. n. 600 del 1973 sia consentita solo quando il dovuto si determina tramite un semplice controllo della dichiarazione cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo, e non anche quando si renda necessario risolvere questioni giuridiche.
4.4 Con specifico riguardo ai crediti d’imposta non spettanti, è stato precisato che:
-il loro disconoscimento da parte dell’Amministrazione Finanziaria non può avvenire tramite l’emissione di una cartella di pagamento del relativo importo, non preceduta da un atto di recupero o quanto meno da un avviso bonario (cfr. Cass. n. 4539/2013, Cass. n. 11292/2016, Cass. n. 14949/2018);
tale disconoscimento può essere legittimamente operato a sèguito di controllo automatizzato ex art. 36bis , comma 2, lettera e), del D.P.R. cit. solo quando questo abbia carattere cartolare e non implichi valutazioni, fondandosi su un riscontro obiettivo dei dati indicati nella dichiarazione dei redditi (cfr. Cass. n. 29582/2018, Cass. n. 39331/2021, Cass. n. 5917/2024);
4.5 La gravata sentenza ha deciso la questione conformemente alle «regulae iuris» innanzi illustrate, sottraendosi, pertanto, alle critiche che le vengono rivolte.
4.6 Per il resto, priva di attinenza con il motivo in disamina si appalesa la doglianza incentrata sull’asserita insussistenza delle condizioni alle quali l’art. 2, comma 545, della L. n. 244 del 2007 subordina la decadenza dal diritto a fruire del credito d’imposta in discorso.
Oltretutto, essa presuppone, inammissibilmente, una diversa valutazione in fatto rispetto a quella compiuta dai giudici di seconde cure, i quali hanno accertato che «la società e (ra) decaduta dal beneficio del credito d’imposta concesso per le nuove assunzioni nelle aree svantaggiate…, atteso che non erano state rispettate le condizioni relative alla conservazione del tetto occupazionale, che prevedeva (no) il mantenimento dello stesso per il periodo minimo di due anni stabilito per le piccole e medie imprese» .
Per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti dei
ricorrenti l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 4.100 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione