Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25456 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25456 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15683/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA- SEZ.DIST. SIRACUSA n. 4315/2016 depositata il 12/12/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11/09/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE accedeva agli incentivi per incremento dell’occupazione in aree svantaggiate ex articolo 7 della legge n. 388 del 2000, dichiarando di voler fruire del credito d’imposta. In conseguenza di un controllo, il RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE riscontrava un importo eccedente i limiti determinati applicando la regola del de minimis , donde chiedeva chiarimenti avvisando, nel contempo, che in difetto sarebbe stato disconosciuto il credito eccedente. In assenza di riscontro, il RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE procedeva alla revoca del credito d’imposta per gli importi eccedenti il limite de minimis . Avverso tale provvedimento la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE interponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE che non ne apprezzava le ragioni. Il giudizio d’appello, favorevole alla parte RAGIONE_SOCIALE, veniva riformato con sentenza di questa Suprema Corte n. 21598 del 23 ottobre 2015, che apprezzava le ragioni dell’Ufficio, ritenendo non dovuto il credito d’imposta nella misura rappresentata dalla parte RAGIONE_SOCIALE.
Nelle more di tale giudizio, parallelamente, la competente direzione territoriale dell’Agenzia delle entrate di Siracusa procedeva a recuperare il credito d’imposta non dovuto, avviando altresì la procedura di riscossione, avverso la quale la RAGIONE_SOCIALE spiccava ricorso.
Con la sentenza qui in scrutinio, il collegio di appello siciliano, sezione staccata di Siracusa, prendeva atto della definizione del giudizio presupposto, che era stato causa di sospensione del giudizio
siciliano, rilevava l’intervenuto giudicato in ordine alla non debenza del credito d’imposta e rigettava quindi le ragioni della parte RAGIONE_SOCIALE.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due mezzi cassatori, poi cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si propone censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 132, secondo comma, numero 4 dello stesso codice di rito e dell’articolo 36, secondo comma, numero 4 del decreto legislativo n. 546 del 1992. Nella sostanza, si critica la sentenza in scrutinio ove ha fatto riferimento alla pronuncia di questa Corte che ha statuito la non debenza del credito d’imposta in capo alla società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, senza confrontarsi con le ulteriori doglianze segnatamente quelle relative alla natura degli incentivi statali. Conclude il motivo affermando la qualifica dei relativi incentivi occupazionali di carattere generale, non come aiuti di Stato, bensì come mero favor nei confronti delle imprese e, per esse, dei nuovi lavoratori assunti, deducendone la sottrazione al regime cosiddetto de minimis . Con tali argomenti avrebbe dovuto confrontarsi la sentenza in scrutinio che è pertanto denunciata per vizio di motivazione. Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo
costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). Sotto altro profilo è stato ribadito essere inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019).
Nel caso che ci occupa, al contrario, correttamente il collegio di appello ha preso atto della statuizione di questa Suprema Corte di legittimità in ordine alla non debenza del credito d’imposta in capo alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nel giudizio presupposto al presente, ritenendo quindi corretta la ripresa a tassazione e legittimo l’impianto della procedura impositiva. Sotto questo profilo, la sentenza presenta un’argomentazione condivisibile, corretta e conforme ai principi statuiti da questa Corte presentandosi nel suo apparato argomentativo ben al di sopra del minimo costituzionale entro il quale è circoscritto e il potere sindacatorio del giudice di legittimità.
Il primo motivo, quindi, è infondato e non può essere accolto. Con il secondo motivo si propone censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione dell’articolo 68 del decreto legislativo n. 546 del 1992. Nello specifico si contesta la nullità della procedura di riscossione perché fondata sull’atto di revoca del credito d’imposta adottato dal
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e annullato con la sentenza di appello del giudice abruzzese. Tuttavia, quella sentenza è stata a sua volta riformata con la citata pronuncia di questa Suprema Corte che ha statuito in via definitiva la non debenza del credito d’imposta di cui qui è controversia. Ne consegue pertanto la piena legittimità della procedura di recupero del credito non dovuto e l’assenza di vizi ascrivibili alla sentenza in scrutinio.
Il ricorso è pertanto infondato e non può essere accolto le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.cinquemilaseicento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 11/09/2024.