Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19118 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19118 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 32410/2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura a margine del controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME presso i quali è elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 658/2019 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo , depositata il 2 luglio 2019 e notificata il 28 agosto 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20
maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La C.T.P. di Teramo accolse il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso l’atto di recupero del credito di imposta, pari ad € 41.639,00, utilizzato dalla contribuente nel 2009 in relazione ad investimenti destinati a strutture produttive in aree svantaggiate, ai sensi dell’art. 8 della l. n. 388/2000.
Il recupero era conseguito al rilievo, da parte dell’Ufficio, del fatto che la complessiva operazione di investimento, avviata dalla contribuente diversi anni prima, indicava un valore di spesa superiore ai contratti di leasing ed appalto ad esso relativi.
Avverso la decisione di primo grado propose appello l’Agenzia delle Entrate.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la C.T.R. dell’Abruzzo respinse il gravame osservando:
-che, nel caso di specie, il credito d’imposta, relativo ad investimento avviato prima dell’entrata in vigore della disciplina agevolatrice, presupponeva la presentazione, da parte del contribuente, del cd. modello CVS, contenente le indicazioni sui termini e sul l’entità degli investimenti già avviati;
che a tanto aveva adempiuto la società, dando conto, nel modello, dell’esistenza di due investimenti anteriori, il primo realizzato alla data del 31.12.2002, il secondo, di importo assai superiore, non realizzato ante 2002;
-che tale indicazione, contrariamente a quanto ritenuto dall’Ufficio, non era incoerente, poiché gli originari contratti relativi al primo
investimento recavano una clausola di revisione a consuntivo dei costi complessivi, che in effetti erano poi stati modificati;
che, del resto, il modello era stato certamente esaminato dall’Ufficio nel corso di accertamenti eseguiti nel 2004 e nel 2008, senza rilievi inerenti ai dati riportati, e ciò quantunque fossero stati messi a disposizione dei verificatori gli originali degli elaborati progettuali.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso, depositando memoria in prossimità dell’udienza .
Considerato che:
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 1 e 36 del d.lgs. n. 546/1992, in combinato disposto con l’art. 132, num. 4), cod. proc. civ., con l’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e con gli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza per difetto assoluto, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
La sentenza impugnata è criticata nella parte in cui afferma che il significativo aumento dei costi di realizzazione degli interventi sarebbe stato giustificato dal mantenimento dell’opera originaria .
La C.T.R., sul punto, non avrebbe tenuto in adeguata considerazione il fatto che i costi risultavano triplicati pur in assenza di mutamenti dell’originario impianto costruttivo, né avrebbe sufficientemente argomentato in punto alla congruità di tale aumento.
Del pari, la sentenza sarebbe errata -e la motivazione insufficiente o contraddittoria -anche in punto alla valorizzazione della circostanza secondo la quale l’Ufficio non aveva svolto rilievi ai dati che risultavano dagli allegati al modello CVS nel corso dei precedenti accertamenti.
I giudici regionali, in tal modo, avrebbero adombrato la sussistenza di un legittimo affidamento del contribuente, che, tuttavia, poteva
maturare solo in relazione ai diversi controlli relativi alla spettanza del credito d’imposta previsto dal previgente regime normativo.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato nella parte in cui denunzia la nullità della sentenza.
È appena il caso di richiamare, in tal senso, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il vizio dedotto ricorre nei casi di mancanza assoluta della motivazione, ovvero di motivazione apparente, perplessa o incomprensibile, o ancora nell’ipotesi in cui la motivazione rappresenti un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (così fra le altre, in tempi più recenti, Cass. n. 27551/2024; Cass. n. 22204/2021).
Tali fattispecie, distinte nella manifestazione, sono accomunate dal loro esito invalidante, che è quello di non consentire all’interprete di comprendere le ragioni attraverso le quali il giudice è pervenuto alla statuizione adottata.
Nel giustificare l’incongruenza fra il costo dell’investimento prospettato e quello realizzato, la C.T.R. ha svolto considerazioni logiche e pienamente intelligibili, tali da collocare la motivazione della decisione ben al di sopra della soglia de l ‘minimo costituzionale’ indicato dalla giurisprudenza di questa Corte per la valutazione di sufficienza e chiarezza richieste dall’art. 111, comma sesto, Cost. (cfr. Cass. sez. U. n. 8053 e 8054/2014).
1.2. Nel profilo in cui denunzia una violazione di legge la censura appare, invece, inammissibile, risolvendosi in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio apprezzato dai giudici di merito.
Prova ne sia il fatto che la contestazione della ricorrente attiene ad un giudizio meramente fattuale (se sia ipotizzabile l’affermata congruità in presenza dell’aumento di costi per il triplo), ovvero pretende di sindacare l’apporto probatorio di una circ ostanza (il
possibile affidamento ingenerato nella contribuente all’esito delle prime verifiche) valutata dalla C.T.R. come elemento di natura indiziaria.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della l. n. 388/2000 e dell’art. 2697 cod. civ.
La sentenza impugnata è criticata nella parte in cui ha attribuito rilievo al fatto che la società aveva messo a disposizione dell’Ufficio gli elaborati progettuali, onde consentirgli di verificare la coerenza dell’investimento avviato con le opere successive, senza ricevere contestazioni sul punto.
Secondo l’Amministrazione, la C.T.R. avrebbe così operato un’illegittima inversione dell’onere probatorio, che in tema di agevolazioni grava esclusivamente sul contribuente.
2.1. Anche tale motivo è infondato.
La l. n. 289/2002, intervenendo a modifica della precedente disciplina de lle agevolazioni mediante credito d’imposta per investimenti nelle aree svantaggiate di cui all’art. 8 della l. n. 388/2000, ha previsto che i contribuenti che abbiano conseguito il diritto nella vigenza della normativa preesistente comunichino all’Amministrazione, a pena di decadenza dal beneficio, i dati occorrenti alla ricognizione degli investimenti realizzati (art. 62, comma 1, lett. a ).
Con un proprio documento di prassi (circolare n. 32/E del 3 giugno 2003), l’Amministrazione ha chiarito che, in relazione ai lavori avviati ante riforma , il contribuente dev’essere in grado di dimostrare che esiste coerenza con le successive realizzazioni, per le quali intenda maturato il beneficio.
2.2. Su tale base, il ragionamento dei giudici d’appello non ha attuato alcuna inversione del criterio di riparto dell’onere probatorio.
La sentenza impugnata, infatti, ha preso in esame il contenuto dei documenti indicati dalla contribuente, svolgendo considerazioni in ordine al loro significato nell’ottica della disciplina applicabile.
Altro discorso concerne, ovviamente, gli approdi di tali considerazioni; ma ogni contestazione sul punto si risolverebbe in una richiesta di rivalutazione delle prove apprezzate in sede di merito che non è consentita davanti al giudice di legittimità.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Non si dà luogo alla condanna al versamento, da parte della ricorrente, dell’importo previsto dall’art. 13, comma 1 -bis , del d.P.R. n. 115/2002, trattandosi di amministrazione pubblica patrocinata dall’Avvocatura generale dello Stato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.800,00 oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri accessori.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema