Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26273 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26273 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30623/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALEC.F. P_IVA), elettivamente domiciliata in CATANIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
(
)
-ricorrente-
contro
INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA n. 1379/2020 depositata il 02/03/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Sicilia ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1379/2020 depositata in data 02/03/2020, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Catania n. 594/2013, che aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ( hinc: la contribuente) contro l’avviso di recupero n. TYSCRD500004/2012, notificato il 25 giugno 2012, relativo all’anno d’imposta 2005.
1.1. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa la contribuente, a seguito di un investimento in area svantaggiata, conseguiva, ai sensi dell’art. 8 legge n. 388 del 2000, un credito d’imposta di Euro 77.339,00. La stessa contrib uente presentava la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2005, dove indicava, sia il credito di imposta residuo, sia -nel quadro VL -l’ammontare del versamento IVA in acconto determinato di Euro 60.072,00, sia -nel quadro VL32 -l’IVA risultante a credito, anche a seguito di compensazione con credito d’imposta di Euro 60.072, di Euro 149.207,00.
La CTR ha riformato la sentenza del giudice di prime cure, non condividendo l’interpretazione secondo la quale il termine di otto
anni previsto dall’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 (più lungo di quello previsto dall’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973) trovasse applicazione solamente con riferimento ai crediti inesistenti usati in compensazione.
Nel caso di specie la contribuente aveva versato, quale acconto IVA, l’importo che presumeva di dover versare in sede di dichiarazione annuale, senza tener conto del dato relativo « all’ultima liquidazione periodica dell’anno in corso o in sede di dichiarazione annuale» (art. 6, comma 3-bis, legge n. 405 del 1990), che restituiva un dato che neppure obbligava la contribuente a effettuare il versamento in acconto, posto che, alla data del versamento, già vantava un credito IVA di Euro 149.207.
2.1. La CTR ha ritenuto che la modalità di determinazione dell’acconto comporta conseguenze per il contribuente non solo quanto è errata per difetto -con l’applicazione della soprattassa ex art. 6, comma 5, legge n. 405 del 1990 -ma anche quando è errata per eccesso. L’amministrazione finanziaria ha, infatti, la facoltà di disconoscere il versamento dell’acconto IVA quando non risponde a criteri di ragionevolezza ed economicità ed è eseguito per finalità diverse da quelle perseguite con le disposizioni su ll’obbligo di versamento degli acconti IVA; nel caso in esame la contribuente, al momento della liquidazione e del versamento dell’acconto IVA, vantava un rilevante credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate, che poteva usare entro la data di presentazione della dichiarazione per l’anno d’imposta esclusivamente in compensazione con imposte dovute. La CTR ha altresì osservato che il principio secondo cui la compensazione di un credito è ammessa solo se sussiste un debito d’imposta impone che la determinazione del debito tributario, mediante applicazione del metodo cd. previsionale di determinazione dell’acconto IVA ex art. 6, comma 2, legge n. 405
del 1990, sia effettuata tenendo conto della concreta situazione economica del soggetto passivo, che è tenuto a dimostrare la ragionevole sostenibilità della previsione effettuata, ovvero che i debiti fiscali (costituenti il parametro di determinazione di quell’acconto) siano effettivi e non immaginari, confermando così la valutazione dell’Agenzia delle Entrate, corrispondente a evidenti criteri antifrode.
Contro la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata, quale error in procedendo , la nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e violazione di legge costituzionalmente rilevante (art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., art. 118 d. att. cod. proc. civ. e art. 112 cod. proc. civ.), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché la CTR, nel rigettare l’appello proposto dalla parte ricorrente, non aveva motivato sulla vera questione giuridica sottoposta al suo esame consistente in ciò: il recupero si fonda sull’inesistenza di un debito IVA in mancanza di un previo accertamento sull’IVA.
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata, quale error in procedendo , la nullità della sentenza per vizio di ultra petizione e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., censurando la sentenza sotto altro profilo e cioè per aver rigettato l’appello con riferimen to a questioni non proposte, non riconducibili né ai motivi di impugnazione sollevati dal contribuente, né alle relative difese dall’amministrazione finanziaria.
Con il terzo motivo è stato denunciato, quale error in iudicando , l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., laddove si è osservato che la contribuente « alla data del versamento già vantava un credito IVA di € 149.207,00» senza tener conto che il credito IVA di Euro 149.207,00 era quello risultante e non precedente la già avvenuta compensazione con il credito d’imposta di Euro 60.072,00.
Con il quarto motivo di ricorso è stata denunciata, quale error in iudicando , la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 legge n. 388 del 2000 e 62 legge n. 289 del 2002 in combinato disposto con l’art.2697 c.c. in tema di riparto dell’onere probatorio, con l’art. 1, comma 421, legge n. 311 del 2004 e con l’art. 6 legge n. 4 05 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., laddove si è affermato che « Nel caso di specie è incontestato che la società contribuente … vantava u n rilevante credito di imposta per investimenti in aree svantaggiate, e che tale credito poteva essere utilizzato entro la data di presentazione della dichiarazione per l’anno di imposta in questione, a pena di decadenza dall’agevolazione, ed esclusivament e in compensazione con imposte dovute…», sebbene l’atto di recupero non contenesse alcuna contestazione in ordine alla decadenza dell’agevolazione nel caso di mancato utilizzo del credito di imposta entro la data di presentazione della dichiarazione per l’anno d’imposta 2005 e non si fosse verificato alcuno dei presupposti previsti dall’art. 8 comma 7 legge n. 388 del 2000 (e art. 62 legge n. 289 del 2002).
Con il quinto motivo di ricorso è stata denunciata, quale error in iudicando , la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 (convertito con modificazioni nella legge 28/01/2009, n. 2), in combinato disposto con l’art. 17 d.lgs. n. 241
del 1997 e con l’art. 1, comma 421, legge n. 311 del 2004, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per insussistenza dei presupposti per l’applicazione del termine di otto anni previsto dall’art. 27, comma 16 cit.
5.1. La ricorrente rileva che secondo la sentenza impugnata « laddove viene stabilito il termine di otto anni per l’atto di recupero dei crediti ‘inesistenti’ non si è inteso elevare l”inesistenza’ del credito a categoria distinta dalla ‘non spettanza’ (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche talora complesse riguardanti l’investimento generatore del credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973 art. 43 per il comune avviso di accertamento (Cass. civ., sez. trib., 02/08/2017, n. 19237) », ma il caso di specie non riguarda alcuna di queste ipotesi.
6. Il quinto motivo di ricorso è fondato, nei termini che seguono, con il conseguente assorbimento dei primi quattro motivi di ricorso.
In via preliminare occorre rilevare che il provvedimento impugnato è costituito da un atto di recupero di un credito indebitamente usato in compensazione. A tal fine l’art. 1, comma 421, legge 30/12/2004, n. 311 prevede che: « Ferme restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, l’Agenzia delle entrate può
emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. »
Tale disposizione è richiamata nell’art. 27, comma 16, d.l. 29/11/2008, n. 185, convertito dalla legge 28/01/2009, n. 2, dove si legge che: « Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall’articolo 10-quater, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo ».
8. Ciò premesso l’iter argomentativo della CTR è stato quello di ritenere applicabile il termine lungo ex art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, ritenendo che il debito IVA portato in compensazione del credito d’imposta maturato ex art. 8 legge n. 388 de l 2000 in relazione agli investimenti in area svantaggiata, non fosse esistente, trattandosi di versamento in acconto che non teneva conto di quanto previsto dall’art. 6, comma 2, legge n. 405 del 1990. Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che: « Nella fattispecie la società contribuente ha versato, quale acconto IVA, l’importo che presumeva di dover versare in sede di dichiarazione annuale, senza tenere in alcuna considerazione il dato relativo ‘all’ultima liquidazione periodica dell’anno in corso o in sede di dichiarazione annuale’ (art. 6, comma 2, cit.), che restituiva un dato che neppure obbligava la contribuente ad effettuare il versamento in acconto,
posto che alla data del versamento già vantava un credito IVA di €. 149.207».
Orbene, se è vero che il beneficio del credito d’imposta ex art. 8, comma 2, legge n. 388 del 2000 può essere utilizzato in compensazione solo ai fini del pagamento di imposte effettivamente dovute e non ai fini del pagamento di anticipazioni o acconti non corrispondenti ad effettivi debiti fiscali (Cass. 11/10/2017, n. 23814), è altrettanto vero che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, soltanto quando il credito utilizzato è inesistente.
9.1. Tale condizione si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 -allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento (Cass., Sez. U, 11/12/2023, n. 34419).
Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno composto il contrasto giurisprudenziale tra un primo più risalente e maggioritario orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, secondo cui tra le nozioni di ‘credito inesistente’ e ‘credito non spettante’ non vi sarebbe alcuna differenza (Cass. n. 10112 del 21/04/2017 e Cass. n. 19237 del 02/08/2017; Cass. 24093 del 30/10/2020; Cass. n.
354 del 13/01/2021; Cass. n. 31859 del 05/11/2021), e una più recente giurisprudenza che, sul rilievo che la nozione di credito inesistente è stata positivamente dettata con « il “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997, come introdotto dall’art. 15 del d.lgs. n. 158/2015 », ha ritenuto che il precedente orientamento « vada necessariamente superat anche per effetto della citata novella, non tanto e non già perché quest’ultima sia direttamente applicabile alla fattispecie, ratione temporis, bensì perché nella stessa definizione positiva di “credito inesistente” può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati » (Cass. n. 34444 e 34445 del 16/11/2021).
9.2. Le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover dare « prevalenza » a quest’ultimo orientamento, osservando altresì che « il più severo regime giuridico previsto dall’art. 27, commi 16 -20, ha riguardato -contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore generale – solo la compensazione di crediti connotati da una condizione di inesistenza qualificata dalla non verificabilità in sede di controllo formale »; ancora, «Il corollario è che, in assenza di uno dei due requisiti, il credito, ai fini qui in rilievo, non può qualificarsi come inesistente (..), sicché la sua indebita compensazione rileva come quella di credito ‘non spettante’, sempre escluso dal più lungo termine di accertamento, nonché, sul piano afflittivo, oggi sanzionato ai sensi del comma 4 del d.lgs. n. 471 del 1997 e, in precedenza, ai sensi del comma 1 del medesimo decreto legislativo».
10. Nel caso di specie non è contestata l’esistenza del credito d’imposta ex art. 8 legge n. 388 del 2000, quanto la circostanza che la contribuente abbia proceduto alla sua compensazione mediante l’indicazione di un debito da versamento in acconto IVA di Euro
60.072,00 nonostante la presenza di una situazione di IVA a credito: al momento in cui è stata fatta la compensazione con il credito d’imposta ex art. 8 legge n. 388 del 2000, la contribuente era a credito IVA e, quindi, priva di una posta passiva da poter compensare con il credito d’imposta.
L’uso del credito d’imposta per compensare il versamento in acconto IVA integra, quindi, un’indebita utilizzazione, che non incide, tuttavia, sulla sua esistenza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, ma sulla sua spettanza , come si ricava dalla stessa sentenza impugnata laddove si osserva che « il beneficio del credito d’imposta ex art. 8, comma 2, della l. n. 388 del 2000 può essere utilizzato in compensazione solo ai fini del pagamento di imposte effettivamente dovute e non ai fini del pagamento di anticipazioni o acconti non corrispondenti ad effettivi debiti fiscali (Cass. 11/10/2017, n. 23814, cit.)» . In altre parole, il credito d’imposta ex art. 8 cit. sussisteva nei suoi presupposti costitutivi ma è stato mal utilizzato. La mancanza del primo requisito richiesto dalle citate Sezioni Unite e l’esistenza dei presupposti costitutivi del credito compo rta l’inapplicabilità dell’art. 27 , commi 16-20 cit . , rendendo altresì superfluo l’accertamento della riscontrabilità ex art. 54 bis, cit.
In conclusione, deve essere accolto il quinto motivo, con il conseguente assorbimento dei primi quattro motivi di ricorso.
11.1. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata e, decidendo nel merito, deve essere disposto l’annullamento dell’atto impugnato.
Devono essere compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio, anche tenuto conto che la decisione deriva da pronuncia delle Sezioni Unite intervenuta, a composizione di un contrasto
giurisprudenziale, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione.
P.Q.M.
accoglie il quinto motivo di ricorso, nei termini in motivazione, e dichiara assorbiti i primi quattro motivi;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla l’atto impositivo impugnato;
dispone la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 10/07/2025.
Il Presidente NOME COGNOME