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Credito d’imposta non indicato: è inesistente?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34691/2024, ha stabilito che un credito d’imposta non indicato nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, ma legittimamente utilizzato in compensazione, non si considera ‘inesistente’, bensì ‘non spettante’. La Corte ha chiarito che l’omissione costituisce una mera irregolarità formale, rilevabile tramite controlli automatizzati. Di conseguenza, non si applica il termine di accertamento più lungo di otto anni previsto per i crediti inesistenti, ma quello ordinario, più breve. La decisione, basata su un precedente delle Sezioni Unite, ha portato al rigetto del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando l’annullamento dell’atto di recupero per tardività.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Credito d’Imposta non Indicato: Errore Formale o Credito Inesistente?

La gestione delle agevolazioni fiscali è un’attività cruciale per le imprese, ma può nascondere insidie procedurali. Un errore comune è dimenticare di riportare un’agevolazione nella dichiarazione dei redditi. La domanda che sorge spontanea è: quali sono le conseguenze di un credito d’imposta non indicato? Si tratta di una semplice dimenticanza o di un errore che ne compromette l’esistenza stessa? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito un chiarimento fondamentale, distinguendo tra credito “non spettante” e “inesistente” e delineando i relativi termini di accertamento per il Fisco.

I Fatti del Caso

Una società aveva beneficiato di un credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo. Aveva correttamente utilizzato tale credito per compensare altre imposte tramite il modello F24. Tuttavia, al momento della compilazione della dichiarazione dei redditi, aveva omesso di inserire il credito nell’apposito quadro RU.

L’Agenzia delle Entrate, rilevata la discrepanza, notificava alla società un atto di recupero, contestando l’indebita compensazione. Secondo l’Amministrazione finanziaria, la mancata indicazione in dichiarazione rendeva il credito “inesistente”, consentendole di applicare il termine di accertamento più lungo, pari a otto anni.

La società si opponeva, sostenendo che si trattasse di una mera irregolarità formale e che il credito fosse, al più, “non spettante”, con la conseguenza che l’azione di recupero del Fisco era ormai tardiva, essendo scaduti i termini ordinari.

La Distinzione Cruciale: Credito “Non Spettante” vs “Inesistente”

Il cuore della controversia risiede nella differenza tra due concetti chiave del diritto tributario:

* Credito non spettante: Si ha quando il credito, pur esistendo nella sua sostanza, viene utilizzato in violazione di regole procedurali o per un importo eccedente quello corretto. La sua esistenza non è in discussione, ma lo è la modalità o la misura del suo utilizzo.
* Credito inesistente: Si verifica quando mancano i presupposti costitutivi del credito stesso. Ad esempio, non sono state svolte le attività che danno diritto all’agevolazione, oppure la sua esistenza è frutto di una rappresentazione fraudolenta.

Questa distinzione non è solo teorica: ha un impatto diretto sui termini entro cui l’Agenzia delle Entrate può agire. Per un credito non spettante si applicano i termini di decadenza ordinari (più brevi), mentre per un credito inesistente il termine è esteso a otto anni, dando al Fisco un margine di tempo molto più ampio per contestarlo.

L’Importanza di un credito d’imposta non indicato e il Principio delle Sezioni Unite

Per dirimere la questione, la Cassazione ha richiamato una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 34419/2023). Tale pronuncia ha stabilito che un credito può essere considerato “inesistente” solo se ricorrono congiuntamente due requisiti:

1. Il credito è il risultato di una rappresentazione artificiosa dei fatti o è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge.
2. La sua inesistenza non è riscontrabile mediante controlli automatizzati o formali, come il confronto tra i dati della dichiarazione e i versamenti effettuati con F24.

Questo secondo punto è dirimente. Se l’irregolarità può essere facilmente individuata dall’Amministrazione finanziaria attraverso le sue procedure di controllo standard, il credito non può essere qualificato come inesistente.

Le Motivazioni della Decisione

Applicando i principi delle Sezioni Unite al caso di specie, la Corte di Cassazione ha osservato che la situazione non soddisfaceva i requisiti per la qualifica di “credito inesistente”. In particolare, il secondo presupposto veniva a mancare. La mancata indicazione del credito nel quadro RU, a fronte del suo utilizzo in compensazione tramite F24, creava una palese anomalia facilmente rilevabile attraverso i controlli automatizzati del Fisco.

L’irregolarità era quindi puramente formale e non sostanziale. L’Agenzia delle Entrate non contestava che la società avesse effettivamente sostenuto i costi per ricerca e sviluppo, ma basava la sua pretesa unicamente sulla decadenza dal beneficio per la mancata compilazione della dichiarazione. La Corte ha concluso che, essendo l’anomalia rilevabile d’ufficio, il credito doveva essere classificato come “non spettante”.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha quindi rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. La conseguenza pratica è che all’atto di recupero si applicavano i termini di accertamento ordinari e più brevi. Essendo questi già trascorsi, l’azione del Fisco è stata giudicata tardiva e l’atto annullato.

Questa decisione offre una preziosa tutela al contribuente, stabilendo che una semplice dimenticanza formale, seppur da evitare, non può trasformare un credito legittimo in un credito “inesistente”, con le gravi conseguenze che ne derivano in termini di estensione dei poteri di accertamento del Fisco. La sentenza ribadisce che la qualifica di inesistenza è riservata a situazioni di grave anomalia sostanziale, non a semplici errori procedurali facilmente individuabili.

Dimenticare di inserire un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi lo rende automaticamente ‘inesistente’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il credito possiede i requisiti sostanziali per esistere (ad esempio, le spese sono state effettivamente sostenute), la sua mancata indicazione è una mera irregolarità formale. In questo caso, il credito è qualificato come ‘non spettante’, non ‘inesistente’.

Qual è la differenza nei termini di accertamento tra un credito ‘non spettante’ e uno ‘inesistente’?
Un credito ‘inesistente’ è soggetto a un termine di accertamento più lungo, di otto anni. Un credito ‘non spettante’, invece, rientra nei termini ordinari di accertamento previsti dall’art. 43 del D.P.R. 600/1973, che sono più brevi.

Come si stabilisce se un credito d’imposta non indicato è ‘inesistente’ secondo la giurisprudenza?
Devono ricorrere congiuntamente due condizioni: 1) il credito è frutto di una rappresentazione artificiosa o è privo dei presupposti costitutivi; 2) la sua inesistenza non è riscontrabile con controlli automatici o formali. Se l’irregolarità, come l’omessa indicazione, è rilevabile da un semplice confronto tra i dati dei versamenti F24 e la dichiarazione, il credito non può essere considerato ‘inesistente’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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