Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6012 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6012 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliata presso l’Avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 10417, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania in 17.11.2016 e pubblicata il 23.11.2016;
ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME la Corte osserva:
Oggetto: Atto di recupero Compensazione credito d’imposta 2008/2010 -Omessa annotazione nella dichiarazione dei redditi.
Fatti di causa
Mediante l’atto di recupero n. NUMERO_DOCUMENTO, l’Agenzia delle Entrate comunicava alla ARAGIONE_SOCIALE la pretesa fiscale in relazione alla somma di Euro 150.822,00, che la società aveva invocato come un credito d’imposta, pur non indicato in dichiarazione, ed aveva utilizzato in compensazione negli anni d’imposta dal 2008 al 2010. Nella prospettazione della contribuente l’invocato credito d’imposta dipendeva dalla normativa che lo aveva riconosciuto per le nuove assunzioni in aree svantaggiate del Paese, ai sensi della legge n. 244 del 2007, art. 2, commi da 539 a 548. La società non aveva indicato il credito nelle annuali dichiarazioni dei redditi al previsto quadro RU, ma aveva poi compensato il credito mediante modelli F24, procedura valutata illegittima dall’Amministrazione finanziaria.
La società proponeva ricorso avverso l’atto di recupero, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Benevento. La CTP riteneva che la contribuente fosse incorsa in una violazione meramente formale dovuta ad un evidente errore, reputava perciò fondate le sue contestazioni ed annullava l’atto impugnato.
L’Amministrazione finanziaria spiegava appello avverso la decisione sfavorevole assunta dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania. La CTR riteneva che la dichiarazione fiscale è una manifestazione di scienza, sempre emendabile, e pertanto confermava la decisione assunta dai primi giudici.
Avverso la decisione assunta dal giudice dell’appello ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad uno strumento di impugnazione. La contribuente resiste mediante controricorso.
4.1. Ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte il Pubblico Ministero, in persona del s.Procuratore Generale NOME COGNOME ed ha domandato l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione del comma 276 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, dell’art. 2, commi 8 ed 8 bis , del Dpr n. 322 del 1998, in combinato disposto con l’art. 7 della legge n. 388 del 2000, per avere il giudice dell’appello erroneamente affermato che la contribuente sarebbe incorsa in un mero errore formale sempre emendabile non avendo riportato il preteso credito tributario nelle sue dichiarazioni dei redditi.
Sembra opportuno premettere come risulti pacifico in questo giudizio che la società non ha esposto il credito che invoca per aver effettuato nuove assunzioni in aree svantaggiate del Paese nelle sue dichiarazioni dei redditi relative agli anni dal 2008 al 2010; tuttavia ha poi compensato il credito mediante modelli F24. Peraltro ha presentato dichiarazioni integrative, depositate in giudizio (controric., p. 8) indicando i crediti, ‘in data 13 novembre 2014 … a seguito della contestazione da parte dell’Ufficio’ (controric., p. 8, che riporta le controdeduzioni dell’ADE).
2.1. Scrive la CTR che ‘è incontroversa la sussistenza, in capo alla società, dei requisiti per usufruire del beneficio di cui all’art. 2 commi da 539 a 548 della legge 244/2007, vertendo la questione unicamente sulla perdita o meno di detto beneficio in conseguenza della mancata compilazione del quadro RU delle dichiarazioni presentate dal contribuente … la dichiarazione fiscale è una dichiarazione di scienza, sempre emendabile mediante dichiarazione integrativa, sicché il contribuente può avanzare richiesta di rimborso, senza che sia ostativo il termine previsto dall’art. 2 comma 8 bis del DPR n. 322/1998. Pertanto, l’omissione nell’indicazione del credito nel quadro RU, avente carattere meramente formale non può comportare l’effetto della perdita del credito tributario’ (sent. CTR, p. 2).
2.2. L’Amministrazione finanziaria replica nel suo ricorso che l’omessa esposizione del credito invocato dalla contribuente nella dichiarazione dei redditi ‘aveva impedito all’ufficio di verificare il rispetto dei presupposti di legge per il godimento dell’agevolazione fiscale, richiedendo peraltro la norma l’esposizione del credito in sede di dichiarazione’, e non ‘può dirsi incontroversa la spettanza del credito, correttamente non affrontata in sede giudiziale dall’amministrazione, atteso che la sua mancata esposizione in dichiarazione ne ha impedito l’accertamento, che richiederebbe la produzione di dichiarazione contabile dell’azienda da cui evincere l’effettivo incremento dell’occupazione che ha dato luogo alla fruizione del beneficio della compensazione’ (ric., p. 2 s.).
2.2.1. Tanto premesso, sostiene l’Ente impositore che, anche a voler ritenere che ‘per le annualità in contestazione il contribuente non aveva esposto ‘per errore’ il credito d’imposta per incrementi occupazionali sotto forma di compensazione, avrebbe’ comunque ‘dovuto presentare dichiarazione integrativa entro e non oltre il termine di presentazione della denuncia relativa all’anno successivo’ (ric., p. 7) ai sensi dell’art. 8 bis dell’art. 2 del Dpr n. 322 del 1998, ma la società non vi ha provveduto tempestivamente.
L’Agenzia delle Entrate richiama quindi la giurisprudenza di legittimità che, in relazione a questione ritenuta analoga, ed avente ad oggetto l’assunzione di personale qualificato di ricerca, ha chiarito che il principio della generale e illimitata emendabilità delle dichiarazioni fiscali non trova applicazione con riferimento a quelle dichiarazioni fiscali che sono destinate a rimanere irretrattabili, perché in tal caso la decadenza opera perché l’adempimento dell’obbligo dichiarativo risulta strumentale e necessario per consentire l’espletamento delle eventuali conseguenti verifiche da parte dell’Amministrazione finanziaria. Nel caso di specie, nella prospettazione dell’Ente impositore, ricorre un errore non formale
ma sostanziale, che ha impedito all’Agenzia finanziaria l’espletamento delle verifiche ad essa deputate, e che non è stato corretto dalla contribuente nei termini utili per la presentazione di una dichiarazione integrativa. Il preteso credito tributario rimane perciò indimostrato e non riconoscibile.
2.3. Nelle sue conclusioni scritte il P.M. ha osservato che la questione centrale di questo giudizio consiste nell’individuazione della corretta natura giuridica che la dichiarazione dei redditi assume quando il contribuente scelga di utilizzare un (affermato) credito mediante compensazione, unica possibilità consentita dalla legge nel caso del beneficio richiesto per gli incrementi occupazionali nelle aree svantaggiate. La scelta di accedere alla compensazione ‘costituisce pur sempre esercizio di attività negoziale e dunque svincola l’atto del contribuente dal suo tipico carattere di dichiarazione di scienza che, al contrario, ne consentirebbe l’emendabilità. Poiché, dunque, nel caso in esame la dichiarazione costituisce, per la parte che qui interessa, manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, essa non può essere oggetto di rettifica, non avendo il contribuente neppure dimostrato il carattere essenziale e riconoscibile dell’errore nel quale è incorso, ai sensi degli artt. 1427 e ss. c.c.’ (concl. P.M., p. 2 s.).
2.4. Nel suo controricorso la società ha in primo luogo eccepito la ritenuta inammissibilità del ricorso per cassazione introdotto dall’Amministrazione finanziaria. Ha rilevato, in proposito, che l’agevolazione richiesta dipende dalle previsioni di cui all’art. 2, commi da 539 a 548, della legge n. 244 del 2007, mentre l’Agenzia delle Entrate invoca il disposto del comma 276 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, e dell’art. 2, commi 8 ed 8 bis , del Dpr n. 322 del 1998, in combinato disposto con l’art. 7 della legge n. 388 del 2000, che sarebbero impropriamente richiamate.
Invero il richiamo all’art. 2, commi 8 ed 8 bis , del Dpr n. 322 del 1998 non appare improprio e ne è domandata l’analisi in combinato con l’art. 7 della legge n. 388 del 2000. Inoltre, l’art. 2, commi da 539 a 548, della legge n. 244 del 2007, riprende, con modifiche, le previsioni di cui all’art. 7 della legge n. 288 del 2000. Soprattutto, la controricorrente limita il proprio esame alla parte riassuntiva del motivo di ricorso proposto dall’Ente impositore, trascurando che la contestazione della violazione della disciplina di cui all’art. 2, commi da 539 a 548, della legge n. 244 del 2007, è contenuto già nell’atto di recupero di cui la ricorrente Agenzia delle Entrate ha espressamente domandato di confermare la legittimità, e l’Amministrazione finanziaria espone con chiarezza la propria censura nell’intera parte descrittiva del motivo di ricorso, che appare agevolmente comprensibile e congrua.
2.4.1. La società riprende anche l’argomento della CTR secondo cui la spettanza del beneficio non sarebbe mai stata contestata dall’Amministrazione finanziaria. Invero le espressioni utilizzate dal giudice dell’appello in materia sono apodittiche, perché non risulta dalla pronuncia che la questione sia stata affrontata nel giudizio, e pertanto l’Agenzia delle Entrate non aveva ragione di muovere specifiche contestazioni, e tanto vale anche per le osservazioni della controricorrente.
2.4.2. La contribuente afferma quindi che la normativa di agevolazione prevedeva una serie di adempimenti che ben avrebbero potuto essere verificati dall’Amministrazione finanziaria, in primo luogo la comunicazione del mantenimento dei livelli occupazionali, il che è naturalmente vero, ma la società neppure allega di aver provveduto a questi adempimenti, tanto meno indica come lo abbia provato.
2.4.3. Prospetta ancora la contribuente, sempre sostenendo che l’omissione dell’indicazione del credito poi compensato abbia natura di errore formale (emendabile senza limiti), e non
sostanziale (soggetto a termine di decadenza), che il comma 542 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007, liddove scrive che ‘il credito d’imposta va indicato nella dichiarazione dei redditi’, non porrebbe un obbligo di dichiarazione. Questa interpretazione non appare condivisibile. La norma disciplina un beneficio ed è di stretta interpretazione, dovendo ritenersi che l’espressione secondo cui il credito d’imposta ‘va indicato’ sia posta quale sinonimo di ‘deve essere indicato’, la disposizione prevedendo pertanto uno specifico obbligo del contribuente.
Può quindi esaminarsi la questione fondamentale di questo giudizio, e merita di essere confermato che le dichiarazioni fiscali hanno di regola la natura di mere dichiarazioni di scienza, ma quando provvedono ad indicare l’opzione del dichiarante in ordine alla richiesta di accesso ad uno speciale regime agevolativo, o meno, hanno invece natura negoziale.
Questa Corte regolatrice ha già condivisibilmente avuto occasione di chiarire che ‘sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza e possano, quindi, essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, le scelte che il contribuente può, in quest’ambito, operare attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, ad esempio per avvalersi di un beneficio fiscale, implicano una manifestazione di volontà, cui la concessione del beneficio è subordinata, avente valore di atto negoziale, la quale è, in quanto tale, irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione’, Cass. sez. V, 29.11.2019, n. 31237, e già in precedenza non si era mancato di specificare che ‘in tema di dichiarazione dei redditi, le manifestazioni di volontà ivi contenute, a cui il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale, hanno il valore di atto negoziale, come tale
irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente non ne dimostri, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. c.c., l’essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto emendabile in corso di giudizio l’omessa tempestiva indicazione, nel quadro RU della dichiarazione di competenza, di un credito d’imposta ex art. 11 della legge n. 449 del 1997, benché il contribuente non avesse fornito alcuna prova della essenzialità ed obbiettiva riconoscibilità dell’errore commesso)’, Cass. sez. VI -V, 8.10.2015, n. 20208.
3.1. Nel caso in esame occorre ancora rilevare che la contribuente neppure allega di essere incorsa in un errore conosciuto o conoscibile da parte dell’Amministrazione finanziaria nel non aver indicato il credito invocato come compensabile nella dichiarazione dei redditi. Inoltre, non si pone il problema dei limiti di utilizzabilità della dichiarazione integrativa al fine di emendare la dichiarazione che non abbia riportato la compensazione invocata perché, nel caso di specie, risulta pacifico che le dichiarazioni integrative sono state presentate oltre i termini di cui al comma 8 bis dell’art. 2 del Dpr n. 322 del 1997.
Il ricorso introdotto dall’Agenzia delle Entrate risulta pertanto fondato e la decisione impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte di legittimità può decidere nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., rigettando l’originario ricorso proposto dalla contribuente.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite con riferimento ai gradi di merito del giudizio, mentre la spese processuali del giudizio di legittimità seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo in
considerazione della natura delle questioni affrontate e del valore della controversia.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate , cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dalla contribuente.
Compensa le spese di lite dei gradi di merito del giudizio, e condanna la RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , al pagamento delle spese di lite in favore della costituita resistente, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 20 febbraio 2025.