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Credito d’imposta non dichiarato: errore formale?

Una società ha utilizzato un credito d’imposta per nuove assunzioni in compensazione, senza però averlo prima indicato nella dichiarazione dei redditi. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6012/2025, ha stabilito che tale omissione non costituisce un mero errore formale, bensì un errore sostanziale. Poiché la scelta di avvalersi di un beneficio fiscale ha natura negoziale, la mancata indicazione del credito d’imposta non dichiarato nei termini di legge comporta la perdita del diritto al suo utilizzo.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Credito d’imposta non dichiarato: quando l’errore costa caro

L’omessa indicazione di un’agevolazione fiscale in dichiarazione può sembrare una semplice svista, ma le conseguenze possono essere gravi. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha chiarito che il credito d’imposta non dichiarato non sempre è un errore formale emendabile. Quando la dichiarazione rappresenta una scelta per accedere a un beneficio, la sua natura cambia, diventando un atto vincolante che, se errato, può portare alla perdita del beneficio stesso.

I fatti di causa

Una società a responsabilità limitata aveva beneficiato di un credito d’imposta per nuove assunzioni effettuate in aree svantaggiate tra il 2008 e il 2010. Pur avendo diritto all’agevolazione, l’azienda non aveva indicato il relativo credito nell’apposito quadro RU delle dichiarazioni dei redditi annuali. Ciononostante, aveva proceduto a utilizzare tale credito in compensazione per pagare altre imposte tramite modelli F24.
L’Agenzia delle Entrate, rilevata l’incongruenza, ha emesso un atto di recupero per la somma di oltre 150.000 Euro, contestando l’illegittimità della compensazione. La società ha impugnato l’atto, sostenendo di aver commesso un errore meramente formale.

La decisione dei giudici di merito

Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che quella Regionale (CTR) hanno dato ragione alla società. I giudici di merito hanno ritenuto che la mancata compilazione del quadro RU fosse una violazione formale dovuta a un errore evidente. Secondo la loro interpretazione, la dichiarazione fiscale è una “dichiarazione di scienza”, sempre emendabile, e l’omissione non poteva comportare la perdita di un beneficio sostanzialmente spettante.

Le motivazioni della Cassazione sul credito d’imposta non dichiarato

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, e la Suprema Corte ha ribaltato completamente il verdetto. Il punto centrale della decisione risiede nella distinzione tra “dichiarazione di scienza” e “atto negoziale”.

La natura negoziale della scelta fiscale

La Corte ha affermato che, sebbene le dichiarazioni dei redditi siano di norma dichiarazioni di scienza (e quindi modificabili), esse assumono una natura negoziale quando il contribuente le utilizza per esercitare un’opzione o richiedere l’accesso a un regime agevolativo. La scelta di utilizzare un credito d’imposta non dichiarato in compensazione è una chiara manifestazione di volontà volta a ottenere un beneficio specifico.

L’irretrattabilità della scelta e i limiti all’emendabilità

Un atto di natura negoziale è, per sua essenza, irretrattabile, salvo che il contribuente dimostri che l’errore commesso era essenziale e riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. Inoltre, la legge (D.P.R. 322/1998) prevede termini precisi per la presentazione di una dichiarazione integrativa. La società, pur avendo presentato dichiarazioni integrative, lo ha fatto ben oltre la scadenza prevista dalla normativa, ovvero oltre il termine di presentazione della dichiarazione per l’anno successivo.
L’omissione, quindi, non è stata considerata una mera formalità, ma un errore sostanziale che ha impedito all’Amministrazione finanziaria di effettuare le necessarie verifiche sulla spettanza del credito. Di conseguenza, il comportamento del contribuente ha determinato la decadenza dal beneficio.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza d’appello e rigettando l’originario ricorso della società. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in diritto tributario: la compilazione della dichiarazione dei redditi, soprattutto quando si tratta di opzioni per regimi di vantaggio, è un atto di grande responsabilità. Un errore nell’indicare un credito, anche se legittimamente maturato, può trasformarsi da svista formale a errore sostanziale con la conseguenza più grave: la perdita definitiva del beneficio fiscale.

L’omessa indicazione di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi è sempre un errore formale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, quando la dichiarazione serve per esercitare un’opzione per un regime agevolativo, come l’utilizzo di un credito in compensazione, essa assume natura di atto negoziale. In questo contesto, l’omissione diventa un errore sostanziale che può portare alla perdita del beneficio.

È possibile correggere la dichiarazione dei redditi per inserire un credito d’imposta dimenticato?
Sì, è possibile presentare una dichiarazione integrativa, ma solo entro i termini stabiliti dalla legge (art. 2, comma 8 bis, del D.P.R. n. 322/1997), ovvero entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Nel caso esaminato, le dichiarazioni integrative sono state presentate tardivamente.

Perché la scelta di utilizzare un credito d’imposta in compensazione è considerata un atto negoziale?
Perché implica una manifestazione di volontà del contribuente finalizzata a ottenere un beneficio fiscale specifico. Non si tratta di una semplice comunicazione di un dato (dichiarazione di scienza), ma di una scelta che produce effetti giuridici precisi e che, come tale, è vincolante e irretrattabile se non in presenza di un errore essenziale e riconoscibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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