Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10045 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10045 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24295/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv . NOME COGNOME e dall’avv . NOME COGNOME elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 707/2021, depositata il 19 febbraio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -La Direzione Provinciale di Varese – Ufficio Controlli notificava alla società RAGIONE_SOCIALE in data 26 ottobre 2018, l’atto di recupero crediti n. NUMERO_DOCUMENTO, con cui riprendeva a tassazione il credito di imposta di euro 31.609,00, oltre interessi e sanzioni, pari al 100% della maggiore imposta. Tale atto di recupero scaturiva dal controllo effettuato sui modelli di pagamento unificato F24, acquisiti al sistema informativo dell’anagrafe tributaria, a seguito di segnalazione da parte della Direzione centrale accertamento, relativamente alle posizioni che risultavano aver fruito del credito da agevolazioni, con particolare riferimento alla tipologia ‘Ricerca & Sviluppo’. All’esito del controllo era emerso che, nel corso dell’anno 2011, la società aveva effettuato compensazioni, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 241/1997, del credito di imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo, di cui all’art. 1, commi da 280 a 283 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per complessivi euro 31.609,00 (modello F24 del 16 maggio 2011), non ottemperando all’obbligo di comunicazione di cui al comma 282 dell’art. 1 della medesima legge 296/2006 e all’art. 5 del d.m. n. 76/2008, che imponeva di indicare il suddetto credito d’imposta nella relativa dichiarazione dei redditi. A seguito del diniego del reclamo, proposto ai sensi dell’art. 17 bis del d.lgs. 546/1992, la società contribuente depositava ricorso innanzi alla competente Commissione tributaria provinciale.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio.
Con sentenza n. 575/02/2019, depositata in data 19 novembre 2019, la Commissione tributaria provinciale di Varese accoglieva il ricorso.
-Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva appello.
Si costituiva in giudizio la società contribuente.
Con sentenza n. 707/13/2021, depositata in data 19 febbraio 2021, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, ha rigettato l’appello con compensazione delle spese.
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La società contribuente si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
La contribuente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27, comma 16, del d.l. 185/2008, convertito dalla legge 2/2009, dell’art. 1, comma 421, della legge 311/2004 e dell’art. 43 del d .P.R. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento alla ritenuta decadenza dell’Agenzia delle entrate dalla facoltà di recuperare il credito di imposta non spettante. Parte ricorrente contesta la prima argomentazione spesa dalla Commissione tributaria regionale al fine di motivare l’asserita illegittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria, consiste nte nell’enucleare una distinzione tra crediti di imposta inesistenti, per il cui recupero a tassazione varrebbe il termine decadenziale di otto anni, e crediti di imposta esistenti ma non (più) spettanti, per il recupero a tassazione dei quali troverebbe applicazione il termine decadenziale ordinario quadriennale, di cui all’art. 43 del D.P.R. 600/1973. Tale distinzione, tuttavia, sarebbe stata smentita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. trib., 2 agosto 2017, n. 19237). La Commissione tributaria regionale sarebbe dunque
incorsa nella violazione e/o falsa applicazione delle disposizioni indicate in epigrafe, allorquando ha illegittimamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria fosse decaduta dalla potestà impositiva, pur a fronte di un atto di recupero del credito di imposta pacificamente notificato entro l’ottavo anno successivo a quello in cui è stato indebitamente utilizzato in compensazione il credito di imposta non spettante.
1.1. -Il motivo è infondato.
Secondo le Sezioni Unite, che hanno risolto il contrasto nella giurisprudenza della Corte di legittimità sulla possibilità di distinguere i l ‘credito inesistente’ dal ‘credito non spettante’, in tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015, allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento (Cass., Sez. Un., 11 dicembre 2023, n. 34419).
La distinzione tra crediti inesistenti e crediti esistenti ma non più spettanti è dunque corretta in punto di diritto.
2. -Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, commi da 280 a 283, della legge 296/2006 e dell’art. 5 del d.m. 28 marzo 2008, n. 76 (in G.U., Serie Generale, n. 92 del 18 aprile 2008), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riferimento alla ritenuta irrilevanza della mancata indicazione del credito di imposta nella dichiarazione relativa all’anno di riferimento. Con una seconda argomentazione, la Commissione tributaria regionale ha altresì ritenuto che la spettanza del credito di imposta utilizzato in compensazione dalla controparte, nell’anno 2011, potesse essere ritenuta sussistente, a prescindere dal dato pacifico agli atti di causa – della mancata indicazione dello stesso credito di imposta nella pertinente dichiarazione reddituale – quadro RU, presentata dalla società contribuente nell’anno 2012. Motivando in questi termini, la Commissione tributaria regionale sarebbe quindi incorsa anche nella violazione e/o falsa applicazione delle norme indicate nel secondo motivo, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità.
2.1. -Il motivo è fondato.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il beneficiario decade dalla possibilità di fruizione del credito di imposta «ove non indichi il credito nella dichiarazione relativa al periodo di imposta di concessione del beneficio. E trattandosi di decadenza direttamente contemplata dalla disciplina dell’istituto, non giova invocare il principio, richiamato nel ricorso, della generale emendabilità della dichiarazione fiscale, mediante presentazione di successiva dichiarazione integrativa, nella specie presentata nei quattro anni successivi alla dichiarazione che si va ad integrare, perchè l’emendabilità, finanche con atti rilevanti in sede processuale, non consente di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, così come
affermato, d’altronde, dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 15063 del 2002 (Cass., Sez. Un., n. 13378 del 2016) all’atto del definitivo riconoscimento del principio anzidetto» (Cass. n. 2101 del 2020; Cass. n. 711 del 2019, Cass. n. 26421 del 2018).
È stato anche precisato che «la decadenza appare, inoltre, logicamente coerente con la scelta di accordare il beneficio in rapporto all’esercizio fiscale interessato. E l’adempimento dei corrispondenti obblighi dichiarativi si palesa strumentale all’espletamento delle successive congruenti verifiche, a opera dell’amministrazione finanziaria, limitatamente all’afferente periodo d’imposta: la mancata indicazione del credito, nella dichiarazione relativa al periodo di imposta nel corso del quale è concesso, ne impedisce il riconoscimento in diminuzione dell’imposta altrimenti dovuta» (Cass. 22673 del 2014; Cass. n. 30172 del 2017).
Risulta pertanto errata l’affermazione contenuta nella sentenza secondo cui l’indicazione nel quadro RU non integrava un elemento costitutivo.
Inoltre, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass., Sez. V, 11 maggio 2018, n. 11507; Cass., Sez. Un., 30 giugno 2016, n. 13378).
-La sentenza impugnata dev’essere perciò cassata e, per l’effetto, va disposto il rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione