Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21540 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21540 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 9312/2023 R.G.) proposto da:
COGNOME nato a Roma il 4 agosto 1970 ed ivi residente, al INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, difensore di sé stesso ex art. 86 c.p.c. in quanto abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori ed elettivamente domiciliato presso il proprio studio professionale sito in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
(Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona
del Direttore pro tempore ;
-intimata –
nonché
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Roma, alla INDIRIZZO
– intimata –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio n. 6286/13/2022, pubblicata il 27 dicembre 2022;
n. 9312/2023 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
IRPEF e IVA Cartella pagamento.
–
di
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- La vicenda concerne la cartella di pagamento n. 097 2018 01256177 53 000, con cui si ingiungeva , a carico dell’avv. NOME COGNOME, il pagamento della somma complessiva di €. 11.153,00 (euro undicimilacentocinquantatre/00), in caso di pagamento entro le scadenze, ovvero della somma complessiva di €. 11.477,83 (euro undicimilaquattrocentosettantasette/83), in caso di pagamento oltre scadenze.
La cartella aveva ad oggetto l’iscrizione a ruolo n. 2018/251579, effettuata dall’Agenzia delle Entrate sulla base del controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54-bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 della dichiarazione mod. Unico Persone Fisiche presentata nel 2016 relativamente all ‘ anno d’imposta 2015. Da tale controllo era emerso: il mancato versamento dell’IVA calcolata in €. 7.281,00 (euro settemiladuecentottantuno/00), oltre sanzione pecuniaria ed interessi, nell’addizionale regionale I RPEF di €. 256,00 (euro duecentocinquantasei/00), oltre sanzione pecuniaria ed interessi, nell’addizionale comunale IRPEF , calcolata in €. 133,00 (euro centotrentatre/00), oltre sanzione pecuniaria ed interessi e nell’I VAFE, calcolata in €. 34,00 (euro trentaquattro/00) oltre sanzione pecuniaria ed interessi.
Nella dichiarazione mod. Unico Persone Fisiche 2016 per l ‘ anno d’imposta 2015, il contribuente aveva indicato un debito IVA di €. 7.281,00 (euro settemiladuecentottantuno/00), un debito per addizionale regionale all’I RPEF di €. 256,00 (euro duecentocinquantasei/00), un debito per addizionale comunale all’I RPEF di €. 133,00 (euro centotrentatre/00) , un debito IVAFE di €. 34,00 (euro trentaquattro/00) e infine indicava anche un credito IRPEF da utilizzare in compensazione di €. 2.607,00 (euro duemilaseicentosette/00).
Il debito finale dichiarato, risultante dalla compensazione delle voci di debito e di credito esposte, ammontava pertanto ad € 5.097,00 ( euro cinquemilanovantasette/00).
A seguito del controllo automatizzato eseguito su tale dichiarazione, l ‘a mministrazione finanziaria dunque non operava la compensazione del credito IRPEF e iscriveva a ruolo l’intero debito d’imposta , senza considerare l’abbattimento conseguente alla compensazione.
Con ricorso proposto dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale (d’ora in poi CTP) di Roma il contribuente impugnava la cartella, sollevando le seguenti censure: 1) illegittimità del ruolo e della cartella per mancato invio della comunicazione preventiva di irregolarità ex artt. 36 -bis , comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, 54 -bis , comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 e 6, comma 5, l. n. 212 del 2000; 2) illegittimità del ruolo e della cartella per omessa motivazione circa il disconoscimento della compensabilità del credito IRPEF indicato in dichiarazione dal contribuente.
La CTP di Roma, con la sentenza di primo grado, respingeva entrambe le censure sollevate, confermando la cartella impugnata.
2.La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, investita da ll’ appello proposto dal contribuente, lo respingeva affermando che: « Con riferimento alla prima censura sollevata dal contribuente, si rileva che l’Amministrazione Finanziaria ha provveduto all’emissione della cartella sulla base dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione e quindi all’esito del controllo della dichiarazione meramente cartolare. Va richiamato al riguardo l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui è legittima la cartella di pagamento che non sia preceduta dalla comunicazione dell’esito della liquidazione prevista dall’art. 36 bis D.P.R. n. 600/73 e dall’art. 54 bis D.P.R. 633/72, sia perché le norme citate non prevedono alcuna sanzione in termini di nullità per il suo inadempimento, sia perché tale comunicazione, avendo la funzione di evitare al contribuente la reiterazione di errori e consentire la regolarizzazione di aspetti formali è un adempimento rivolto esclusivamente ad orientare il comportamento futuro dell’interessato ed esula quindi dall’ambito dell’esercizio di difesa e contraddittorio con riferimento all’emittenda cartella di pagamento. Peraltro, è stato chiarito che in tema di riscossione delle imposte l’art. 6 comma 5 L. 212 del 2000 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo ai sensi del citato art. 36 bis, ma soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione; situazione che
non ricorre nei casi di liquidazione cd. cartolare, che si basa su un controllo documentale sui dati contabili direttamente riportatati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo (Cass. 8342/20 12). In ogni caso, si osserva che nella cartella notificata era chiaramente comunicato che in caso di mancata comunicazione di irregolarità il contribuente poteva recarsi presso gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate per fornire evidentemente ogni opportuno chiarimento o documentare circostanze a sé favorevoli, e non risulta che il COGNOME si sia adoperato in tal senso. Relativamente alla eccezione di omessa motivazione della cartella circa i presupposti in fatto e in diritto sottesi al disconoscimento del credito e al conseguente recupero a tassazione effettuato, si rileva che l’eccezione non è fondata, atteso che il contribuente non si era attenuto alla formalità operativa della presentazione del Mod. F24 per detrarre il credito IRPEF in compensazione. In tema di imposte, la compensazione tra crediti e debiti tributari di cui agli artt. 19 D. Lgs. 546 del 1992 e 17 D. Lgs. 241 del 1997 si fonda sul versamento, anche a saldo zero, del Mod. F24, sicché non può operare in base alla mera indicazione dei relativi debiti e crediti nella dichiarazione dei redditi, in assenza della delega di versamento F24 (Cass. 26086 del 2016). ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , il contribuente COGNOME Oscar ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4.L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione sono rimaste intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione degli artt. 36bis , comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 -bis , comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000, per aver e la CTR ritenuto insussistente la necessità del previo invio della comunicazione di irregolarità. E ciò, in quanto l’a mministrazione finanziaria non si sarebbe limitata a iscrivere a ruolo un’imposta dichiarata ma non versata dal contribuente, ma avrebbe iscritto a ruolo un debito d’imposta per un importo diverso rispetto a quello dichiarato.
Sostiene, al riguardo, che, nella specie, alla stregua della stessa prospettazione dell’amministrazione finanziaria, condivisa dal giudice
d’appello, l’iscrizione a ruolo avrebbe riguardato un’imposta diversa da quella risultante dai dati esposti in dichiarazione, cosicché non sussistevano i presupposti per l’iscrizione a ruolo immediata ai sensi degli artt. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972.
Evidenzia, ancora, come nella dichiarazione mod. Unico Persone Fisiche 2016 per l’anno d’imposta 2015 , egli avesse indicato un debito IVA pari ad €. 7.281,00 (euro settemiladuecentottantuno/00) , un debito per addizionale regionale all’IRPEF di €. 256,00 (euro duecentocinquantasei/00), un debito per addizionale comunale all’IRPEF di €. 133,00 (euro centotrentatre/00), un debito IVAFE di €. 34,00 (euro trentaquattro/00) e, infine, anche un credito IRPEF da utilizzare in compensazione di €. 2.607,00 (euro duemilaseicentosette/00) .
Tuttavia, pur a fronte di tale credito d’imposta, dal controllo automatizzato sarebbe emerso un debito complessivamente pari ad €. 7.704,00 (euro settemilasettecentoquattro/00), cioè corrispondente all’intero debito IVA e IRPEF, oltre sanzioni e interessi e, quindi, diverso da quello dichiarato dal contribuente, con conseguente necessità del previo invio della comunicazione di irregolarità che, nella specie, costituiva adempimento indispensabile omesso dall’Agenzia delle Entrate la quale, del resto, pur in presenza dell’espressa contestazione sollevata dal contribuente, non aveva fornito alcuna dimostrazione di avervi provveduto.
2.- La censura risulta fondata, limitatamente ai profili che vengono di seguito precisati.
Deve, invero, osservarsi, in linea generale, che l’art. 36-bis, comma 2, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973, prevede che il controllo automatizzato sulle dichiarazioni presentate dal contribuente può riguardare anche la riduzione dei crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni. Nel periodo iniziale del suddetto comma 2, viene altresì precisato che, ai fini della regolarità della procedura, il controllo viene compiuto « sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria ». In termini generali, dunque, ai fini della legittimità dell’iscrizione a ruolo in conseguenza della previsione di cui all’art. 36-bis
d.P.R. n. 600 del 1973, di un credito di imposta indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, l’amministrazione finanziaria è legittimata a verificare la correttezza della suddetta indicazione anche facendo riferimento alle dichiarazioni presentate dal contribuente negli anni precedenti, senza che tale verifica comporti un accertamento sostanziale che presuppone valutazioni giuridiche o esame di atti non consentiti dalla procedura (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 29582 del 16 novembre 2018, Rv. 651286-01, in motivazione).
Nondimeno, fermo restando il potere dell’amministrazione finanziaria di controllare la correttezza delle dichiarazioni dei redditi presentate e di correggere eventuali errori materiali o di calcolo, si pone la questione di stabilire quando, a seguito del suddetto controllo, possa essere emessa una cartella di pagamento ai fini del recupero dell’imposta. A tale riguardo, questa Corte regolatrice ha già avuto modo di precisare che l’emissione della cartella di pagamento è legittima solo laddove, a seguito della verifica compiuta in sede di controllo automatizzato, l’amministrazione finanziaria accerti che, a causa di errori materiali o di calcolo, il contribuente ha illegittimamente utilizzato un credito di imposta sicché tale illegittimo utilizzo si traduce in un debito del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria che legittima la pretesa al recupero dell’importo mediante la notifica della cartella di pagamento; diversamente, nel caso di mancato utilizzo del credito di imposta, ove si sia accertato che lo stesso non era stato correttamente esposto, l’amministrazione finanziaria può solo procedere alla rettifica dell’errore materiale o di calcolo, ma non può emettere una cartella di pagamento ai fini del recupero di un credito di imposta che, in quanto non utilizzato, non si è tradotto in un debito del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria (cfr., in motivazione, Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 20643 del 20 luglio 2021, Rv. 661932-01).
Nella specie, dunque, è evidente la piena legittimità della cartella di pagamento emessa dall’amministrazione finanziaria, atteso che , com’è agevole desumere dalla motivazione della sentenza impugnata, da leggersi, però, in maniera coordinata con la parte relativa allo svolgimento del giudizio, il contribuente ha illegittimamente utilizzato, con riguardo all’anno d’imposta 20 15 , il credito d’imposta esposto nella relativa
dichiarazione, senza osservare le forme previste ex lege e, in particolare, senza aver compilato il Modello F24 (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 65, ordinanza n. 26086 del 16 dicembre 2016, Rv. 642395-01, secondo cui « In tema di accertamento delle imposte, la compensazione fra crediti e debiti tributari, di cui agli artt. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, si fonda sul versamento, anche a saldo zero, del modello F24, sicché non può operare in base alla mera indicazione dei relativi debiti e crediti nella dichiarazione dei redditi, in assenza della delega di versamento F24. »).
Peraltro, anche con riguardo alla necessità del previo invio della comunicazione di irregolarità, è agevole richiamare l’orientamento di questa Corte regolatrice secondo cui « L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 36 bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, non richiede di regola la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali e richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento, oppure può comportarne la nullità ex art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 1711 del 24 gennaio 2018, Rv. 646922-01).
Nella specie, l’amministrazione finanziaria, con la procedura di cui agli artt. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972, ha acclarato che il contribuente aveva illegittimamente utilizzato un credito di imposta, cosicché tale illegittimo utilizzo si è tradotto in un errore di calcolo circa il debito del contribuente che ha legittimato la pretesa al recupero del relativo importo mediante la notificazione della cartella di pagamento. Ne deriva che, vertendosi in tema di meri errori di calcolo, la previa comunicazione di irregolarità non risultava, in modo alcuno, necessaria. Del resto, la conferma che si fosse trattato di un mero errore di calcolo risulta agevolmente suscettibile di essere desunta dal fatto che – come già sopra chiarito – dal controllo automatizzato era emerso un debito fiscale complessivamente pari ad €. 7.704,00 (euro
settemilasettecentoquattro/00) , cioè corrispondente all’intero debito d’imposta dichiarato dallo stesso contribuente, senza che a tale importo fosse stata applicata, dall’amministrazione finanziaria, la detrazione di quello relativo al credito IRPEF illegittimamente utilizzato in compensazione e pari ad €. 2.607,00 (euro duemilaseicentosette/00).
Peraltro, se è certamente vero che, nella specie, del tutto correttamente l’amministrazione finanziaria ha proceduto con il controllo automatizzato di cui agli artt. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972, risulta nondimeno altrettanto innegabile come la CTR abbia mancato di fare applicazione dei principi enunciati da questa Corte regolatrice ( Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 17757 dell’8 settembre 2016, Rv. 640943-01; Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 17758 dell’ 8 settembre 2016, Rv. 640942-01; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 4392 del 23 febbraio 2018, Rv. 647546-01, Rv. 647546-02) in tema di compensazione del credito d’imposta .
I precedenti nomofilattici appena menzionati hanno, infatti, chiarito, in primo luogo, che è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la conseguente emissione di cartella di pagamento. Ben può, difatti, l’amministrazione finanziaria operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi e da atti d’indagine diversi da un mero raffronto con dati ed elementi, in possesso dell’anagrafe tributaria, ai sensi degli artt. 54-bis e 60 d.P.R. n. 633 del 1972, fatta salva, nel successivo giudizio d’impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione a cura del contribuente che la detrazione d’imposta, eseguita entro il suddetto termine biennale, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili.
Dev ‘ essere, infatti, rilevato, come affermato dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 17757 e 17758 dell’8 settembre 2016 , che il rapporto di natura tributaria con il fisco scaturisce da un’operazione lecita ed effettiva e gli obblighi che ne derivano (dichiarazione, registrazione ecc.) hanno esclusivamente una funzione illustrativa dei relativi dati al fine di consentire all’Agenzia delle Entrate di poter verificare agevolmente gli stessi onde procedere alla riscossione delle imposte.
Pertanto, ciò che conta ai fini della detraibilità è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito. Tale conclusione, discende dall ‘ interpretazione dell’art. 18 della Direttiva n. 77/388/CE, il quale subordina il diritto alla detrazione dell’IVA solamente al possesso della fattura, compilata secondo le disposizioni a essa applicabili e garantisce il principio di neutralità dell’imposta in questione, quale principio fondamentale sul quale si fonda l’intero impianto normativo della predetta imposta (cfr. , all’uopo, Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 17754 del 16 ottobre 2012, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 4539 del 22 febbraio 2013, non massimata).
La necessità di rispettare il citato principio di neutralità, infatti, deve essere garantito anche nel caso in cui il soggetto passivo non rispetti le formalità imposte da uno Stato membro, quale ad esempio la presentazione della dichiarazione annuale IVA. Questa Corte, del resto, con riferimento ai concetti espressi dalla CGUE nelle pronunce emanate nelle cause C-95/07 e C-96/07 del l’ 8 maggio 2008, ha affermato che « ai sensi degli artt. 18, n. 1, lett. d) e 22 della sesta direttiva CE n. 77/388, come modificata dalla direttiva 2000/17 il principio della neutralità fiscale impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno stato membro, in applicazione delle disposizioni comunitarie succitate, non può privarlo del suo diritto alla detrazione, mediante l’annotazione a credito nella dichiarazione di imposta, ferma restando l’eventuale sanzione per l’inosservanza di tali obblighi » (cfr. CGUE, 12 maggio 2011, C-107/10 e Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 12012 del 22 maggio 2006, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 21202 del 6 agosto 2008, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 6925 del 20 marzo 2013 n. 6925, Rv. 626047-01).
Nel non procedere alla disamina del profilo concernente l’effettiva spettanza del credito d’imposta, in favore del contribuente , nonostante l’esistenza di quest’ultimo risultasse non controverso tra le parti (come desumibile dalla stessa sentenza impugnata nella cui motivazione non emerge l’esistenza di alcuna specifica contestazione sollevata dall’amministrazione finanziaria con riguardo alla debenza del credito d’imposta di cui si tratta ), la Commissione Tributaria Regionale ha dunque
commesso errore di diritto, dovendo invece fare applicazione dei principi sopra ampiamente richiamati.
Ne deriva l’accoglimento del motivo in esame, limitatamente al profilo appena menzionato.
3.- Con il secondo (e ultimo) motivo, il contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione degli artt. 3 l. n. 241 del 1990, 7, comma 3, l. n. 212 del 2000 e 12, comma 3, d.P.R. n. 602 del 1973, per aver ritenuto che il ruolo e la cartella fossero congruamente motivati, pur in assenza di qualsiasi riferimento al disconoscimento della compensazione richiesta dal contribuente in dichiarazione.
Sostiene, infatti, che l’a mministrazione finanziaria avrebbe avuto l’obbligo di motivare l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento, trattandosi di imposta diversa da quella dichiarata e di chiarire le ragioni per le quali aveva ritenuto inutilizzabile il credito d’imposta dedotto in compensazione, ragioni che, invece, l’amministrazione finanziaria aveva tentato di colmare soltanto in sede giudiziale, evidenziando la mancata presentazione del modello di pagamento F24, da parte del contribuente.
4.- La predetta censura è infondata.
Ed invero, una volta acclarata l’ ammissibilità della procedura di controllo di cui agli artt. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972, può senz’altro farsi applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui « In tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le
ragioni giuridiche della pretesa. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 21804 del 20 settembre 2017, Rv. 645620-01).
5.Dalle considerazioni finora sviluppate, deriva, dunque, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, nei limiti già sopra chiariti, nonché il rigetto del secondo.
6.Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra espressi e provvedendo, altresì, a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione; rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,