Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18861 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18861 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 23971/2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura a margine del controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME presso i quali è elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 188/2022 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo , depositata il 21 marzo 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE impugnò innanzi alla C.T.P. di Teramo l’avviso di recupero notificatole dall’Erario in relazione a un credito di imposta, pari ad € 41.339,00, che essa aveva utilizzato nel l’anno 2011, in forza dell’avvio, da parte sua, di un investimento destinato a strutture produttive in aree svantaggiate, ai sensi dell’art. 8 della l. n. 388/2000.
Il recupero era conseguito al rilievo, da parte dell’Ufficio, del fatto che la complessiva operazione di investimento, avviata dalla contribuente diversi anni prima, indicava un valore di spesa superiore ai contratti di leasing ad essa relativi; la società, in particolare, aveva trasmesso un primo modello CVS che recava l’indicazione di un importo, poi sensibilmente aumentato nella seconda comunicazione, sul presupposto di «sopravvenute esigenze tecniche, costruttive e progettuali».
I giudici adìti accolsero il ricorso.
Il successivo appello del l’Agenzia delle Entrate fu respinto dalla sentenza indicata in epigrafe.
L a C.T.R. dell’Abruzzo , in particolare, osservò:
che la società aveva adempiuto agli obblighi di comunicazione che la riguardavano, dando conto a modello CVS dell’ammontare degli investimenti, com’era suo unico onere, poiché il diritto al beneficio era sorto prima dell’8 luglio 2002;
che in tale situazione, secondo quanto chiarito dalla stessa Amministrazione con la circolare 32/E del 3 giugno 2003, il credito d’imposta può essere usufruito sia per gli investimenti realizzati entro
l’8 luglio 2002 , sia per quelli soltanto avviati a tale data, purché realizzati entro il 31 dicembre 2006;
che tale ultima era la situazione della società contribuente, la quale aveva avviato una complessiva operazione di investimento prima dell’8 luglio 2002, i cui costi si erano incrementati in epoca più prossima alla realizzazione; l’incremento, del resto, era coeren te con il fatto che i contratti ‘originari’ recavano una clausola di revisione a consuntivo dei costi complessivi;
che, del resto, il modello CVS, con gli elaborati progettuali allegati, era stato certamente esaminato dall’Ufficio nel corso di accertamenti eseguiti nel 2004 e nel 2008, senza rilievi inerenti ai dati riportati.
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso e depositato memoria in prossimità dell’udienza .
Considerato che:
1. Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 1 e 36 del d.lgs. n. 546/1992, in combinato disposto con l’art. 132, num. 4), cod. proc. civ., con l’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e con gli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché nullità della sentenza per difetto assoluto, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
La censura attiene al segmento della decisione impugnata nel quale si afferma che il significativo aumento dei costi di produzione era giustificato dal mantenimento dell’opera originaria .
La C.T.R., sul punto, non avrebbe tenuto in adeguata considerazione il fatto che i costi risultavano triplicati pur in assenza di mutamenti dell’originario impianto costruttivo, né avrebbe sufficientemente argomentato in punto alla congruità di tale aumento,
dal che il rilievo in base al quale la pronunzia sarebbe solo apparentemente motivata.
Del pari, la sentenza sarebbe errata -e la motivazione insufficiente o contraddittoria -anche nella parte in cui valorizza il mancato rilievo, da parte del l’Ufficio , di incongruenze nei dati riportati a modello CVS dalla società durante i precedenti accertamenti.
I giudici regionali, in tal modo, avrebbero adombrato la sussistenza di un legittimo affidamento della contribuente, che, tuttavia, sarebbe potuto maturare solo in relazione ai diversi controlli relativi alla spettanza del credito d’imposta previsto dal previgente regime normativo.
1.1. Il motivo è infondato nella parte in cui denunzia la nullità della sentenza.
È appena il caso di richiamare, in tal senso, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il vizio dedotto ricorre nei casi di mancanza assoluta della motivazione, ovvero di motivazione apparente, perplessa o incomprensibile, o ancora nell’ipotesi in cui la motivazione rappresenti un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (così fra le altre, in tempi più recenti, Cass. n. 27551/2024; Cass. n. 22204/2021).
Tali fattispecie, distinte nella manifestazione, sono accomunate dal loro esito invalidante, che è quello di non consentire all’interprete di comprendere le ragioni attraverso le quali il giudice è pervenuto alla statuizione adottata.
Nel giustificare l’incongruenza fra il costo dell’investimento prospettato e quello realizzato, la C.T.R. ha evidenziato che l’eventualità dell’incremento era stata presa in considerazione fin dalla stesura degli originari contratti, mediante apposita clausola di revisione del corrispettivo, e che tale circostanza era stata supportata dalla
società mediante la produzione all’Erario dei documenti progettuali, andati esenti da rilievi.
Tali argomentazioni, esposte in modo logico e con forme che le rendono pienamente intelligibili, collocano la motivazione della sentenza impugnata ben al di sopra della soglia de l ‘minimo costituzionale’ indicato dalla giurisprudenza di questa Corte per la valutazione di sufficienza e chiarezza richieste dall’art. 111, comma sesto, Cost. (cfr. Cass. sez. U. n. 8053 e 8054/2014).
1.2. Nel profilo in cui denunzia una violazione di legge, la censura appare, invece, inammissibile, risolvendosi in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio apprezzato dai giudici di merito.
La contestazione dell ‘Agenzi a ricorrente attiene, infatti, a un giudizio meramente fattuale (se sia ipotizzabile l’affermata congruità in presenza dell’aumento di costi per il triplo), ovvero pretende di sindacare l’apporto probatorio di una circostanza (il possibile affidamento ingenerato nella contribuente all’ esito delle prime verifiche) che la C.T.R. ha valutato come idonea a supportare, per via indiziaria, l’affermata sussistenza del presupposto per l’operatività del beneficio.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della l. n. 388/2000 e dell’art. 2697 cod. civ.
La sentenza impugnata è sottoposta a critica nella parte in cui ha attribuito rilievo al fatto che la società aveva messo a disposizione dell’Ufficio gli elaborati progettuali, onde consentirgli di verificare la coerenza dell’investimento avviato con le op ere successive, senza ricevere contestazioni sul punto.
Secondo l’Amministrazione, la C.T.R. avrebbe così operato un’illegittima inversione dell’onere probatorio, che in tema di agevolazioni grava esclusivamente sul contribuente.
2.1. Il motivo è infondato.
Invero, l ‘art. 8, comma 5, della l. n. 388/2000, nella sua versione originaria, consentiva l’applicazione automatica del beneficio de quo , consentendo l’utilizzo del credito di imposta mediante il meccanismo della compensazione con i debiti tributari e contributivi.
La l. n. 289/2002, intervenendo a modifica di tale disciplina, ha previsto che i contribuenti che abbiano conseguito il diritto nella vigenza della stessa comunichino all’Amministrazione, a pena di decadenza dal beneficio, i dati occorrenti alla ricognizione degli investimenti realizzati (art. 62, comma 1, lett. a ).
Con il documento di prassi richiamato nella sentenza d’appello (la circolare n. 32/E del 3 giugno 2003), l’Amministrazione ha chiarito che, in relazione ai lavori avviati nella vigenza della precedente disciplina, il contribuente dev’essere in grado di dimostrare che esiste coerenza con le successive realizzazioni, per le quali intenda maturato il beneficio.
2.2. Così sintetizzato il quadro della disciplina applicabile, il Collegio osserva che il ragionamento dei giudici regionali non ha attuato alcuna inversione del criterio di riparto dell’onere probatorio.
Come si è detto, infatti, la C.T.R ha preso in esame il contenuto dei documenti indicati dalla contribuente, svolgendo considerazioni in ordine al loro significato nell’ottica della disciplina applicabile e ritenendo che, attraverso la relativa produzione, la stessa avesse fornito prova sufficiente del suo diritto ad accedere al beneficio, così assolvendo il proprio onere.
Altro discorso concerne, ovviamente, gli approdi di tali considerazioni; ma ogni contestazione sul punto si risolverebbe in una richiesta di rivalutazione delle prove apprezzate in sede di merito che non è consentita davanti al giudice di legittimità.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Non si dà luogo alla condanna al versamento, da parte della ricorrente, dell’importo previsto dall’art. 13, comma 1 -bis , del d.P.R. n. 115/2002, trattandosi di amministrazione pubblica patrocinata dall’Avvocatura generale dello Stato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.800,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri accessori.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema