Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5917 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5917 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, sedente in Messina, con AVV_NOTAIO COGNOME; – ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ; – controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, n. 1436/27/15 depositata il 9 aprile 2015.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del cinque febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME per il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
1.A seguito di verifica fiscale e di p.v.c. relativi all’anno 2002, l’Agenzia contestava un’indebita compensazione per € 19.008,00, procedendo al recupero d’imposta disconoscendo il relativo credito asseritamente derivante da investimento effettuato in base al d.l. n. 138/2002. Il disconoscimento era motivato sia dalla mancata
INVESTIMENTI D.L. 138/02
presentazione del modello CTS e della richiesta di preventiva autorizzazione da parte del centro operativo di Pescara, sia per aver la contribuente compensato un credito di € 814,00 in periodo di sospensione del relativo utilizzo (vigente dal 13 novembre 2002 al 10 aprile 2003). La CTP accoglieva il ricorso, ma la CTR adita dall’Agenzia riformava al sentenza di primo grado.
Ricorre in cassazione la società contribuente fondando le difese su quattro motivi, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., 2697, cod. civ. e 36, d.lgs. n. 546/92.
Col esso il ricorrente censura la decisione d’appello laddove la stessa stabilisce che era irrilevante la mancata allegazione del p.v.c., dal momento che il recupero atteneva al disconoscimento del credito per inosservanza degli oneri sopra rassegnati (istanza preventiva al centro operativo). In particolare, il contribuente avrebbe dovuto fornire prova di aver effettuato l’investimento prima dell’otto luglio 2002 (allorché l’obbligo di istanza non era previsto).
1.1. Il motivo contiene al contempo censure inerenti ad un assunto difetto di motivazione ed alla violazione di legge processuale inerente all’onere della prova.
Lo stesso è infondato.
Sotto il primo profilo la sentenza si sottrae alla censura di motivazione insussistente o parvente, in quanto sul punto articola in maniera chiara la ratio decidendi , basata sulla equipollenza fra produzione del p.v.c. e richiamo dello stesso nell’ambito dell’atto impositivo, trattandosi di atto comunque conosciuto dal contribuente; nonché sull’assenza di prova circa l’adempimento degli oneri posti a carico del contribuente stesso o la sua esenzione
per asserita anteriorità dell’investimento rispetto all’imposizione delle formalità in parola.
Sotto il profilo della violazione di legge va osservato che la sentenza impugnata, dopo aver premesso (in fatto) che l’avviso di recupero era emesso per le ragioni già riferite, sulla base dei ‘motivi descritti nel p.v.c. del 25/09/2003, notificato alla parte’, come detto sopra ha ritenuto l’equipollenza fra la produzione dello stesso processo verbale e il suo richiamo ob relationem , e tanto risponde al costante insegnamento di questa Corte regolatrice, con generale riferimento alla mancata necessità di produzione di atti che già il contribuente conosce per essergli stati notificati o consegnati (cfr. Cass. n. 407/2015).
Col secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 58, d.lgs. n. 546/92, per avere i giudici di appello consentito la produzione del p.v.c. solo in grado d’appello.
2.1. Il motivo è infondato, non solo perché l’art. 58 cit., nella versione pro tempore vigente, consentiva certamente la produzione di documenti in appello sol che il giudice li ritenesse necessari al fine di decidere, come letteralmente stabilisce la disposizione, ma poi la ratio decidendi , come emerge dal motivo precedente, è basata sulla sufficienza del richiamo ob relationem che del p.v.c. venne fatto nell’atto impositivo, per cui in nessuna guisa la sua produzione ha avuto influenza sulla decisione.
Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 8, l. n. 388/2000, 10, d.l. n. 138/2002, 2697, cod. civ. e 36, d.lgs. n. 546/92.
3.1 Anche tale motivo è infondato.
Con esso la società ricorrente sostiene di aver dimostrato l’avvio dell’investimento in data anteriore all’introduzione degli obblighi di cui al d.l. n. 138/2002 (3 luglio 2002).
Orbene va osservato che la RAGIONE_SOCIALE nella specie ha compiuto un accertamento in fatto in ordine alla valutazione della
documentazione offerta, ritenendo non certa la prova di quanto asserito dalla ricorrente, accordando valore probatorio solo alla data di stipulazione del contratto di leasing, risalente però al 29 ottobre 2022.
In proposito se è vero che l’avvio dell’investimento dev’essere riferito al momento in cui il bene entra a far parte dell’azienda (quindi a quello del suo acquisto, cfr. Cass. 8089/17), che la ricorrente allega essere avvenuto al più tardi il 1° luglio 2002 (epoca dell’asserita accettazione dell’offerta del 10 maggio precedente), e se è altrettanto vero che non occorre per la verifica in esame la prova della data certa ai sensi dell’art.2704 cod. civ., per altro verso la prova della data stessa va verificata dal giudice del merito, che nella specie, in assenza dell’indicazione di elementi che dovrebbero ricollegare particolare rilievo alle date indicate dalla ricorrente, la individua in un contratto successivo, quello di leasing, dovendosi tra l’altro ritenere che proprio in caso di contratto di leasing, l’avvio dell’investimento dev’essere identificato col momento in cui il bene viene consegnato all’utilizzatore (Cass. n. 8089/17, cit.), data che non viene neppure indicata dalla ricorrente.
Col quarto motivo si deduce violazione degli artt. 91 e 92, cod. proc. civ., e dell’art. 24 Cost., nonché omessa o contraddittoria motivazione, laddove la CTR ha condannato alle spese la ricorrente nonostante la fondatezza del ricorso.
4.1. Il rigetto dei precedenti motivi determina l’assorbimento del motivo in esame.
In definitiva il ricorso dev’essere rigettato, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio, che liquida in € 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2025