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Credito d’imposta inesistente: onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7982/2025, ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in caso di contestazione di un credito d’imposta inesistente. Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti sulla fittizietà delle operazioni, spetta al contribuente dimostrare la loro effettività. Il semplice pagamento delle fatture non è considerato prova sufficiente. La Corte ha cassato la sentenza di merito che non aveva correttamente valutato gli indizi forniti dall’Agenzia delle Entrate, ribadendo che la sostanza economica prevale sulla forma documentale.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Credito d’Imposta Inesistente: a Chi Spetta l’Onere della Prova?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale in materia fiscale: la compensazione di un credito d’imposta inesistente. Questa decisione chiarisce in modo definitivo la ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, sottolineando come la regolarità formale dei documenti non sia sufficiente a superare solidi indizi di frode. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava un ingente credito d’imposta, utilizzato in compensazione da una società. Secondo la ricostruzione del Fisco, tale credito era il risultato di un complesso schema fraudolento architettato dalla società dante causa.

Lo schema prevedeva la creazione di un credito d’imposta fittizio attraverso una serie di operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti. In sintesi:

1. Una società alberghiera (dante causa) doveva eseguire importanti lavori di ristrutturazione.
2. Invece di appaltare direttamente i lavori, interponeva fittiziamente una società appaltatrice creata ad hoc, riconducibile allo stesso centro di interessi.
3. Questa società appaltatrice, a sua volta, subappaltava i lavori a terzi, ma fatturava alla committente importi notevolmente superiori ai costi reali (sovrafatturazione) o per lavori mai eseguiti.
4. Il costo di investimento, artificialmente gonfiato, generava un cospicuo e inesistente credito d’imposta per investimenti.
5. Questo credito veniva poi trasferito, tramite un’operazione di scissione societaria, alla società beneficiaria, che lo utilizzava per compensare i propri debiti fiscali.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo l’intera operazione fraudolenta, procedeva al recupero del credito indebitamente compensato.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari avevano dato ragione alla società, annullando l’avviso di accertamento. La Commissione Tributaria Regionale (CTR), in particolare, aveva rigettato l’appello dell’Ufficio, sostenendo che le fatture erano state emesse nell’ambito di un chiaro rapporto contrattuale (appalto e subappalto) e che la contabilità non presentava profili di evasione. Inoltre, secondo la CTR, il fatto che le fatture fossero state pagate e l’IVA versata all’Erario era sufficiente a dimostrare la realtà delle operazioni, non ritenendo sufficienti gli elementi indiziari forniti dall’Agenzia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul credito d’imposta inesistente

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando con rinvio la sentenza della CTR. I giudici di legittimità hanno censurato la decisione di secondo grado per aver violato i principi che regolano l’onere della prova in materia di operazioni inesistenti.

La Corte ha ribadito i seguenti principi fondamentali:

1. Onere iniziale sull’Amministrazione: A fronte di una contabilità formalmente regolare, spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare il carattere fittizio delle operazioni. Questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti.
2. Inversione dell’onere sul Contribuente: Una volta che l’Ufficio ha fornito un quadro indiziario solido che fa dubitare della veridicità delle operazioni, l’onere della prova si sposta sul contribuente. A questo punto, è il contribuente a dover dimostrare la fonte legittima del credito e l’effettività delle operazioni economiche sottostanti.
3. Irrilevanza delle prove formali: La regolarità formale delle scritture contabili, il pagamento delle fatture e il versamento dell’IVA non sono elementi sufficienti a superare la prova presuntiva fornita dall’Amministrazione. Questi, infatti, sono definiti dalla Corte come “dati e circostanze facilmente falsificabili” che fanno parte integrante di qualsiasi schema fraudolento.

Nel caso specifico, la CTR aveva errato nel non valutare, singolarmente e nel loro complesso, gli elementi indiziari addotti dall’Agenzia, come l’interposizione di una società fittizia, l’identità tra l’amministratore della committente e il professionista di riferimento dell’appaltatrice, e le incongruenze temporali nelle fatturazioni. Limitandosi a valorizzare il pagamento delle fatture, i giudici di merito non hanno applicato correttamente le regole sulla prova presuntiva.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio cardine del diritto tributario: la prevalenza della sostanza sulla forma. In presenza di un credito d’imposta inesistente generato da operazioni fraudolente, il contribuente non può trincerarsi dietro la mera apparenza documentale. Quando l’Amministrazione Finanziaria costruisce un impianto accusatorio basato su prove presuntive solide e coerenti, spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando con fatti concreti la realtà e la legittimità economica delle operazioni che hanno dato origine al credito. Il semplice pagamento delle fatture è una prova debole, inidonea da sola a scardinare un quadro indiziario di frode.

Chi deve provare inizialmente che un credito d’imposta è inesistente?
L’onere della prova spetta inizialmente all’Amministrazione Finanziaria. Essa può dimostrare il carattere fittizio delle operazioni anche attraverso presunzioni semplici, a condizione che siano gravi, precise e concordanti.

Il pagamento delle fatture e il versamento dell’IVA sono sufficienti a dimostrare la legittimità di un credito?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il pagamento delle fatture e il versamento dell’IVA sono circostanze considerate irrilevanti e ‘facilmente falsificabili’ quando l’Amministrazione ha fornito prove presuntive che le operazioni sottostanti sono fittizie. Non sono, da soli, sufficienti a provare la realtà dell’operazione.

Cosa deve fare il contribuente una volta che l’Agenzia delle Entrate ha fornito un solido quadro indiziario di frode?
Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce prove presuntive del carattere fittizio delle operazioni, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, provando l’effettività delle operazioni economiche. La sola regolarità formale delle scritture contabili non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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