Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5163 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5163 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 5120/2023 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale allegata al controricorso (PEC: EMAIL e EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Umbria n. 284/02/2022, depositata il 9.09.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Perugia rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE (in breve OMG) avverso l ‘atto di recupero di
Oggetto: Tributi –
Recupero credito di imposta ricerca e sviluppo
un credito di imposta per i costi sostenuti in attività di ricerca e sviluppo ex art. 1 della l. n. 296 del 2006, risalenti agli anni 2008 e 2009, per un importo complessivo di € 30.477,66, utilizzato in compensazione mediante modello F24 nell ‘anno 2011 , ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997 , emesso dall’Agenzia delle entrate sul presupposto che si trattasse di un credito inesistente;
con la sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale dell ‘Umbria accoglieva l’appello proposto dalla contribuente, osservando, per quanto qui rileva, che:
il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso, avendo ritenuto il credito inesistente a causa della sua mancata indicazione del quadro RU nel Mod. unico anno 2012, considerata presupposto essenziale per il riconoscimento del credito di imposta, pur in mancanza di una contestazione sull ‘ effett ivo svolgimento dell’ attività di ricerca e sviluppo;
-ad avviso dell’Ufficio il credito d’imposta in questione doveva ritenersi ‘inesistente’ e non soltanto ‘non spettante’, con conseguente applicabilità della speciale disciplina, anche sanzionatoria, dettata per i crediti inesistenti e tardività del recupero disposto dall’Ufficio;
-sulla base del quadro normativo di riferimento, il credito ‘inesistente’ è quel credito in cui, secondo la definizione fornita dal l’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 471/1997 , manchi, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la sua inesistenza non può essere riscontrata con le ordinarie procedure di controllo di cui agli artt. 36bis e ter del d.P.R. 600/1973 e 54bis del d.P.R. n. 633 del 1972;
il credito inesistente si distingue da quello non spettante e/o non utilizzabile anche perché al primo si applica, ai sensi dell’art. 27, comma 16, del d.l. 185/2008, il più lungo termine di otto anni, in
luogo di quello ordinario di quattro anni, per l’accertamento e il recupero del credito;
nella specie, il mancato rilascio alla contribuente del prescritto nulla osta all’utilizzo del credito maturato in relazione agli investimenti effettuati per gli anni 2008 e 2009 (la cui funzione era solo quella di attestare la copertura finanziaria), non equivaleva alla negazione del diritto di credito, non avendo l’Ufficio mai notificato alcun provvedimento di diniego in ordine alla spettanza del credito stesso; -anche la indicazione, al quadro RU del Mod. unico 2012, per l’anno 2011, di un credito di imposta errato non era di per sé indicativa dell’inesistenza del credito , ma rilevava solo quale dichiarazione erronea, con poste erroneamente indicate, a cui doveva essere applicata l’ordinaria procedura di recupero del credito, ai sensi degli artt. 31 e ss. del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e ss. del d.P.R. n. 633 del 1972;
-l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;
la contribuente resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso, l ‘Agenzia ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 D.M. n. 76/2008, 29, commi da 2 a 5, del d.l. n. 185/2008, 13, comma 5, del d.lgs. n. 471/1997 e 1, comma 2, del decreto interministeriale del 4 marzo 2011, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere esistente il credito della contribuente, nonostante i mancati adempimenti previsti dalla legge a pena di decadenza, preordinati al corretto utilizzo di detto credito, e, in particolare, la sua mancata indicazione sia nelle dichiarazioni degli anni 2008 e del 2009 (periodo in cui il credito sarebbe sorto in funzione delle spese sostenute), sia in quelle degli anni 2010 e 2011
(in cui la contribuente lo ha utilizzato in compensazione); sostiene che, poiché il diritto si era estinto a seguito dei mancati adempimenti, il credito non poteva essere utilizzato in compensazione, in quanto era ab origine e a tutti gli effetti ‘inesistente’ , stante la sua mancata indicazione nella dichiarazione del periodo in cui si sarebbe formato; ciò ne aveva impedito il sorgere, rendendo inutile lo stesso invio del formulario, in quanto non collegato ad alcun credito dichiarato; aggiunge che il giudice di appello non ha considerato che la fruizione dell ‘agevolazione costituisce una ‘manifestazione di volontà’ e non una dichiarazione di scienza, sicché, sotto tale aspetto, la dichiarazione non è emendabile, se il contribuente non dimostra che la mancata indicazione della volontà di fruizione del beneficio sia dipesa da un errore essenziale e riconoscibile, nella specie non avvenuto;
– il motivo è fondato;
– con riferimento al quadro normativo applicabile al caso in esame, occorre premettere che l’art. 1, commi da 280 a 283, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (nel testo modificato dall’art. 1, comma 66, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244) ha previsto che: «280. A decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, alle imprese è attribuito un credito d’imposta nella misura del 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, in conformità alla vigente disciplina comunitaria degli aiuti di Stato in materia, secondo le modalità dei commi da 281 a 285. La misura del 10 per cento è elevata al 40 per cento qualora i costi di ricerca e sviluppo siano riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca. 281. Ai fini della determinazione del credito d’imposta i costi non possono, in ogni caso, superare l’importo di 15 milioni di euro per
ciascun periodo d’imposta. 282. Il credito d’imposta deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi. Esso non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 96 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, ed è utilizzabile ai fini dei versamenti delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive dovute per il periodo d’imposta in cui le spese di cui al comma 280 sono state sostenute; l’eventuale eccedenza è utilizzabile in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, a decorrere dal mese successivo al termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta con riferimento al quale il credito è concesso. 283. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono individuati gli obblighi di comunicazione a carico delle imprese per quanto attiene alla definizione delle attività di ricerca e sviluppo agevolabili e le modalità di verifica ed accertamento della effettività delle spese sostenute e coerenza delle stesse con la disciplina comunitaria di cui al comma 280» ;
in attuazione di tale disposizione, al fine di beneficiare del credito d’imposta per le attività di ricerca e di sviluppo, l’art. 5 del D.M. 28 marzo 2008 n. 76 ha stabilito che: «L’impresa beneficiaria indica, a pena di decadenza, in un’apposita sezione della dichiarazione dei redditi il prospetto relativo ai costi sulla base dei quali è stato determinato l’importo del credito d’imposta »;
la disciplina è stata, poi, oggetto di modifiche ai sensi dell’art. 29, comma 2, del D.L. 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 gennaio 2009 n. 2, il quale ha previsto
che: «Per il credito d’imposta di cui all’articolo 1, commi da 280 283, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (…) a decorrere dall’anno 2009, al fine di garantire congiuntamente la certezza delle strategie di investimento, i diritti quesiti, nonché l’effettiva copertura finanziaria, la fruizione del credito di imposta suddetto è regolata come segue: a) per le attività di ricerca che, sulla base di atti o documenti aventi data certa, risultano già avviate prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti interessati inoltrano per via telematica all’Agenzia delle entrate, entro 30 giorni dalla data di attivazione della procedura di cui al comma 4, a pena di decadenza dal contributo, un apposito formulario provato da direttore della predetta Agenzia; l’inoltro del formulario vale come prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta; b) per le attività di ricerca avviate a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la compilazione del formulario da parte dei soggetti interessati ed il suo inoltro per via telematica all’Agenzia delle entrate vale come prenotazione dell’accesso alla fruizione del credito d’imposta successiva a quello di cui alla lettera a» ;
– ciò posto, secondo un orientamento consolidato di questa Corte, formatosi anche in relazione alla previgente disciplina sugli incentivi fiscali per la ricerca scientifica, a cui si intende dare continuità, in tema di imposte sui redditi, l’indicazione del credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo precompetitivo, ex art. 1 della l. n. 296 del 2006, nell’apposito riquadro della dichiarazione dei redditi, è richiesta a pena di decadenza, stante la sostanziale coincidenza con il credito d’imposta di cui al d.lgs. n. 297 del 1999, che a sua volta rimanda all’art. 5 della l. n. 449 del 1997 ed al d.m. n. 275 del 1998 (Cass. n. 14648 del 24/05/2024; 39681 del 2021; n. 21017 del 2020);
– ne consegue che per l’inosservanza dell’art. 5 del d.m. 28 marzo 2008 n. 76 , in relazione all’obbligo dichiarativo di cui all’art. 1, comma 282, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296, il contribuente decade dalla suddetta possibilità di fruizione del credito di imposta che non sia indicato nella dichiarazione relativa al periodo di imposta di concessione del beneficio;
-occorre precisare, inoltre, che l’indicazione che si richiede al contribuente ai fini della concessione del credito d’imposta non è strutturalmente parificabile ad una dichiarazione di scienza attraverso cui si fa valere un credito scaturente dal fisiologico susseguirsi delle ordinarie poste fiscali riportate nelle dichiarazioni, ma integra un atto negoziale in quanto diretto a manifestare la volontà dì avvalersi del beneficio fiscale in ragione dell’affermazione (che in sé sottende anche un impegno) della rispondenza dell’attività svolta alle finalità perseguite dal legislatore, sicché, il contribuente che abbia omesso tale indicazione non può invocare il principio di generale emendabilità della dichiarazione fiscale, che opera solo in caso di mera esternazione di scienza e non consente, in ogni caso, di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire delle decadenze previste dalla legge ( ex plurimis , Cass. 13 gennaio 2016, n. 389; Cass. Sez. Un., 30 giugno 2016, n. 13378; Cass. 21 dicembre 2016, n. 26550; Cass. 15 dicembre 2017, n. 30172; Cass. 12 gennaio 2018, n. 610; Cass. 15 gennaio 2019, n. 711; Cass. 18 maggio 2021, n. 13343);
– alla luce dei richiamati principi, quindi, la mancata indicazione nel quadro “RU” non costituisce una mera decadenza formale, in quanto tale indicazione non ha valore di atto di scienza: il contribuente al quale è stato concesso il beneficio può (e non deve) usufruirne, ma per farlo deve manifestare la propria volontà mediante la compilazione dell’apposito quadro in dichiarazione. Detta
manifestazione è irretrattabile, salvo che il contribuente non dimostri l’essenzialità ed obiettiva riconoscibilità dell’errore, ai sensi dell’art. 1427 cod. civ. (Cass. 12 gennaio 2018, n. 610; Cass. 12 gennaio 2018, n. 610; Cass. 15 gennaio 2019, n. 711);
la previsione di un termine stabilito a pena di decadenza, risultante dal combinato disposto della norma di legge e della norma regolamentare di rinvio, è evidentemente ispirata alla ratio di definire, entro un tempo determinato, l’onere finanziario derivante dal riconoscimento dei crediti di imposta, altrimenti suscettibile di rimanere sospeso a tempo indefinito. Il ricorso allo specifico istituto della decadenza implica la perentorietà del termine presidiato da tale sanzione, con conseguente estinzione del diritto sulla base del dato oggettivo del mancato esercizio del diritto stesso entro il lasso temporale stabilito, indipendentemente da ogni considerazione circa le situazioni soggettive del soggetto incorso nella decadenza, come si desume dall’art. 2966 cod. civ., secondo cui la decadenza può essere impedita soltanto dal compimento dell’atto previsto dalla legge (Cass. 14 novembre 2012, n. 19868; Cass 24 ottobre 2014, n. 22673; Cass. 18 maggio 2021, n. 13343);
strettamente connessa alle conseguenze della mancata indicazione del credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi è la questione della qualificazione di detto credito come ‘inesistente’;
sul punto è necessario richiamare i principi enunciati nella recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34452 dell’11/12/2023) , secondo la quale, alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997, il credito utilizzato va considerato inesistente, quando ricorrono congiuntamente due requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già
estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito, ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano le sanzioni previste dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 ovvero dall’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015, qualora ratione temporis applicabile;
nella specie, quindi, si doveva verificare se sussisteva il primo requisito, sotto il profilo della carenza dei presupposti costitutivi del credito, previsti dalla legge, posto che il beneficio, come si è già detto, poteva essere riconosciuto, a pena di decadenza, solo previa indicazione del credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi, rilevando l’indicazione nella dichiarazione quale elemento costitutivo del credito d’imposta ; al riguardo, occorre considerare che le agevolazioni sono, per loro natura, generalmente condizionate ad una dichiarazione di volontà dell’avente diritto di avvalersene e l’Amministrazione finanziaria deve poter verificare la sussistenza dei presupposti del beneficio come evocato nella richiesta e in forza della quale esso viene provvisoriamente riconosciuto (v. Cass. n. 6501 del 16/03/2018);
la mancata osservanza del termine di decadenza per la formulazione di tale richiesta determina, come si è visto, la perdita del diritto;
quanto al secondo requisito, occorreva accertare se l ‘omessa compilazione del quadro RU, non qualificabile quale attività meramente formale, avesse reso impossibile l’individuazione dell’indebita compensazione del credito in sede di controllo automatizzato;
il giudice di appello non si è uniformato ai suddetti principi, avendo considerato priva di rilievo l’omessa indicazione del credito nella dichiarazione dei redditi, ai fini della sua qualificazione come credito inesistente, e avendo ritenuto rilevante il mancato provvedimento di diniego da parte dell’Ufficio in ordine alla spettanza del credito ;
in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del l’Umbria , in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del l’Umbria , in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 3 dicembre 2024