Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6877 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6877 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 31952/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE incorporante la società RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, come da procura speciale unita al ricorso per cassazione, dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio del Prof. Avv. NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
Pec:EMAILordineavvocatiromaEMAILorg;
EMAIL;
–
ricorrente – contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, sezione staccata di Brescia, n. 3221/25/2021, depositata in data 10 settembre 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE rilevando che la norma di cui all’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 avendo carattere agevolativo doveva essere interpretata in modo restrittivo e che la semplice installazione del filtro antiparticolato (c.d. FAP) da sola non era sufficiente a elevare l’intero automezzo ad una categoria di omologazione superiore, con la conseguenza che non spettava il credito d’imposta relativo all’agevolazione sul gasolio per autotrazione degli autotrasportati; inoltre, non tr ovava applicazione l’art. 6 del decreto legge n. 26 del 2007 non sussistendo i requisiti per la proposizione dell’istanza di rimborso.
La società RAGIONE_SOCIALE incorporante la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 e dell’art. 24 ter del decreto legislativo n. 504 del 1995, in quanto la sentenza impugnata, nel limitare la spettanza
del credito d’imposta ai veicoli euro 2 o inferiori, aveva interpretato la normativa indicata in modo contrastante con la lettera e la ratio , facendo puntuale riferimento alla «categoria euro» di un veicolo e non alla sua «omologazione», quest’ultima riferita a una situazione storica del veicolo al momento della sua immatricolazione e prima dell’immissione in commercio; la Commissione tributaria regiona le aveva confuso i concetti di «omologazione» e di «categoria euro» nonostante si trattasse di nozioni giuridiche diverse come emergeva dalle fonti normative eurounitarie, essendo l’omologazione di un veicolo (d irettiva 2007/46/CE) attribuita, all’esito di una procedura di verifica dei parametri o standard tecnici, inclusi anche quelli ambientali, al momento (storico) della sua immatricolazione e prima della immissione in circolazione, mentre la nozione di «categoria euro» era da riferire alla classificazione ambientale, quindi al livello di emissioni inquinanti e non altri (direttive 91/441/CEE e 715/2007); la Commissione tributaria regionale, dunque, nell’escludere in capo alla contribuente le agevolazioni fiscali avrebbe fatto erroneamente riferimento alle caratteristiche tecniche (Euro 2) riscontrate originariamente durante alla procedura di omologazione dei veicoli laddove l’art. 1, comma 645 della legge n. 208/2015 faceva riferimento alla «categoria euro» come attuale ed effettiva classe ambientale che tenesse conto anche del successivo processo tecnico di miglioramento dei veicoli ai fini ambientali, come nella specie avvenuto, per effetto della installazione dei FAP, che aveva soddisfatto la condizione per la classificazione degli stessi, nei periodi in questione, come euro 3 o euro 5 a seconda dei casi; la prospettiva sostenuta dai giudici di appello era, inoltre, affetta da profonda irragionevolezza, oltre che contrarietà ad ogni logica sistematica, considerata la ratio della menzionata normativa europea, chiaramente orientata in favore di una sostanziale e sempre crescente riduzione del rilascio di prodotti inquinanti dai veicoli e che tale finalità «ambientalista» era stata perseguita anche
dal legislatore nazionale, essendo lo scopo perseguito chiaramente quello di ridurre l’inquinamento atmosferico. L’interpretazione offerta nell’impugnata decisione, oltreché illegittima per tutti i profili già indicati, era altresì irragionevole e lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e ciò in quanto due veicoli simili quanto a prestazioni ambientali (perché entrambi con emissioni inquinanti certificate al di sotto dei valori limite di un euro 5 o euro 3), subivano un diverso trattamento fiscale, sol perché uno dei due era stato originariamente omologato in una fase storica nella quale era sufficiente rispettare i parametri previsti per una categoria inferiore (euro 2), mentre, nell’altro caso, la categoria euro originariamente richiesta per la procedura di omologazione era migliorata. La sentenza impugnata era errata anche per avere ritenuto che l’installazione dei FAP non determinasse, di per sé, una riduzione delle sostanze inquinanti rilevanti per il miglioramento della categoria Euro, benché la controparte Agenzia delle Dogane non aveva mai contestato in giudizio la riduzione delle emissioni inquinanti, piuttosto avendolo espressamente confermato. La società ricorrente, peraltro, aveva fornito, in primo grado, una perizia di parte che aveva confermato come l’installazione dei FAP permettesse la riduzione delle emissioni inquinanti rilevanti e mai l’Ufficio aveva contestato il predetto accertamento tecnico.
Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, in combinato disposto con l’art. 111, comma 6, Cost., per non avere la sentenza impugnata motivato le ragioni per le quali il legislatore nazionale poteva legittimamente restringere l’applicabilità di un’aliquota accise differenziata per il gasolio ad uso commerciale a solo certe ipotesi, mentre la definizione di gasolio ad uso commerciale accolta dall’art. 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/96/CE sul tema risultava vincolante
per gli Stati membri e direttamente applicabile. La società contribuente, in particolare, aveva censurato la sentenza di primo grado, con il secondo motivo di appello, sotto il profilo dell’illegittimità della normativa italiana applicata perché in contrasto con la direttiva 2003/96/CE e la sentenza impugnata aveva risposto, con una motivazione nulla perché priva di un significato logicamente comprensibile richiamando l’art. 6 del decreto legge n. 26 del 2006, richiamo quest’ultimo che non solo non aiutava a comprendere la motivazione, ma la rendeva ancor più oscura.
I motivi, che vanno trattati insieme perché strettamente connessi, sono infondati.
3.1 In proposito, deve essere richiamato il precedente di questa Corte che ha affermato che la normativa interna di riferimento non è affatto incompatibile con quella prevista dalla direttiva comunitaria 2003/96/CE e che ha statuito il seguente condivisibile principio di diritto: « Il credito d’imposta previsto dall’art. 1, comma 645, della l. n. 208 del 2015 e, successivamente, dall’art. 24 ter del TUA in favore degli autotrasportatori ivi indicati, riguardante le accise sul gasolio per autotrazione, si applica unicamente con riferimento ai veicoli catalogati nelle categorie Euro specificamente indicate dalla legge, senza che abbia alcun rilievo, ai fini della determinazione della categoria di appartenenza del veicolo, la eventuale installazione sullo stesso di un filtro antiparticolato omologato » (Cass., 22 agosto 2023, n. 25002 ed ancora Cass., 7 giugno 2023, n. 16009; Cass., 11 agosto 2023, n. 24598; Cass., 13 dicembre 2023, n. 34882).
3.2 Questa Corte, in particolare, esaminando il quadro normativo nazionale di riferimento ( art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 e, a far data dal 3 dicembre 2016, art. 24 ter del TUA e decreto del Ministero dei trasporti 12 gennaio 2008, n. 39) ha evidenziato che tale normativa interna non è affatto incompatibile con quella prevista dalla direttiva comunitaria 2003/96/CE, che, pur stabilendo un livello
minimo di tassazione in un quadro complessivo che riconosce esplicitamente «flessibilità» (considerando 9), non esclude, tuttavia, la facoltà di prevedere esenzioni o riduzioni (considerando 8), e la facoltà per gli Stati membri di «introdurre o mantenere diversi tipi di tassazione sui prodotti energetici e sull ‘ elettricità» (considerando 10), lasciando a ciascun Stato membro «la scelta del regime fiscale da applicare in relazione all ‘ attuazione del presente quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell ‘ elettricità» (considerando 11) (cfr. Cass., 22 agosto 2023, n. 25002, in motivazione).
3.3 La stessa giurisprudenza unionale ha precisato che la direttiva 2003/96/CEE, si propone di incoraggiare obiettivi di politica ambientale (così, Corte di giustizia, 7 marzo 2018, causa C-31/17) e, pertanto, non ha proceduto ad un’armonizzazione totale dell e aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si è limitata a fissare livelli minimi di tassazione armonizzati e, come si desume dagli artt. 5, 14, 15, 16, 17 e 19, ha previsto la possibilità per gli Stati membri di introdurre aliq uote di imposta differenziate, esenzioni dall’imposizione o sgravi fiscali delle accise, lasciando un certo margine di discrezionalità agli Stati membri, purché nel rispetto del principio di parità di trattamento (cfr. Corte di giustizia, 30 gennaio 2020, in causa C-513/18) (cfr. Cass., 11 agosto 2023, n. 24598)
3.4 Va confermata, dunque, la piena compatibilità unionale di una previsione che riconosca un credito agevolato per il pagamento delle accise sul gasolio per autotrazione a specifiche categorie di autotrasportatori, oggettivamente individuate tra gli autotrasportatori che svolgono attività di trasporto di merci o persone, in modo tale da non ledere il principio di parità di trattamento; che il credito d’imposta è riconosciuto limitatamente all’utilizzazione, per l’attività di trasporto, di veicoli con classificazione superiore a euro 2 e che le agevolazioni previste per i veicoli di una determinata categoria «euro» si riferiscono alla categoria attribuita al veicolo in sede di omologazione,
rappresentativa della complessiva condizione del mezzo sotto il profilo ambientale, non rilevando che, successivamente all’immatricolazione, siano stati installati sistemi di riduzione delle emissioni di particolato (cfr. Cass., 13 dicembre 2023, n. 34882; Cass., 17 giugno 2023, n. 16009).
3.5 Anche di recente la Corte di Giustizia ha precisato che « Al riguardo, si deve notare che il paragrafo 1 di detto articolo 7 prevede che i carburanti sono soggetti a livelli minimi di tassazione. Infatti, come risulta dal considerando 3 e dall’articolo 4 di tale direttiva, quest’ultima mira non già ad armonizzare in modo esaustivo le aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si limita a fissare livelli minimi di tassazione. 41.L’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/96 dispone quindi che la facoltà concessa agli Stati membri di prevedere livelli di tassazione diversi a seconda dell’uso, commerciale o non commerciale, del gasolio utilizzato come propellente è soggetta al rispetto dei livelli minimi di tassazione stabiliti da tale direttiva. Inoltre, la disposizione in parola impedisce agli Stati membri di fissare l’aliquota di tassazione del gasolio commerciale ad un livello inferiore all’aliquota nazionale in vigore al 1º gennaio 2003. Tali elementi indicano che l’entrata in vigore di detta direttiva non doveva comportare una diminuzione del livello di tassazione del gasolio commerciale. 42.In tali circostanze, la nozione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» non può essere oggetto di un’interpretazione estensi va » (Corte di Giustizia UE, 16 novembre 2023, in causa C-391/22).
3.6 Sotto altro profilo, va precisato che il d.m. 25 gennaio 2008, n. 39 prevede espressamente che la categoria superiore eventualmente attribuita ai veicoli dotati di un dispositivo FAP omologato è valida unicamente ai fini dell’inquinamento da particolato e non già agli ulteriori fini previsti dalle disposizioni fiscali agevolative, sicché deve escludersi che un autotrasportatore possa usufruire del menzionato credito d’imposta con riferimento a veicoli classificati Euro 2, sebbene
questi ultimi siano dotati di FAP, dovendo farsi riferimento agli specifici requisiti previsti dalle direttive comunitarie e che l’omologazione, come definita dall’art. 3 della direttiva 2006/46/CE è « la procedura con cui uno Stato membro certifica che un tipo di veicolo, sistema, componente o entità tecnica è conforme alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche pertinenti (…) » e la classificazione relativa alle emissioni inquinanti dei veicoli a motore rientra nella procedura di omologazione, tanto è vero che gli Stati membri « non possono rifiutare l ‘ omologazione CEE né l ‘ omologazione di portata nazionale di un veicolo» se tale veicolo risponde alle prescrizioni in materia (si vedano l’art. 2 della direttiva n. 70/220/CEE del 20 marzo 1970 e l’art. 2 della direttiva n. 88/77/CEE del 3 dicembre 1987) » (Cass., 23 ottobre 2023, n. 29354, in motivazione).
3.7 Rafforza questa conclusione, inoltre, il fatto che l’art. 1 comma 645 citato è finalizzato al conseguimento di risparmi da destinare agli interventi di cui ai commi 640, 647,648, 650, 651, 654, 655 e 866, tra i quali vi è quello di favorire l’acquisto di mezzi di ultima generazione e il rinnovo del parco mezzi destinati al trasporto pubblico locale e regionale (comma 866). Emerge la finalità di incentivare il rinnovo del parco automobilistico che verrebbe pregiudicata se si estendesse la sua applicazione anche a mezzi obsoleti ma modificati (cfr. Cass., 7 giugno 2023, n. 16009).
3.8 Due ulteriori considerazioni meritano di essere svolte. La prima sulla interpretazione estensiva della norma agevolativa, avente natura eccezionale e per questo non estensibile oltre ai casi esplicitamente previsti, dovendosi richiamare la Corte di Giustizia che ha specificamente affermato che « In tali circostanze, la nozione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» non può essere oggetto di un’interpretazione estensiva » (Corte di Giustizia UE, 16 novembre 2023, in causa C-391/22), oltre che il consolidato principio giurisprudenziale, applicabile al caso in esame dove viene in rilievo
l’applicazione di una agevolazione di imposta, secondo cui « non può essere esteso l’ambito operativo, stante il divieto non solo di applicazione analogica, ma anche di interpretazione estensiva, posto in riferimento alla legge speciale dall’art. 14 preleggi, per cui l’agevolazione contestata non opera al di fuori delle ipotesi specificamente numerate » (Cass., 20 maggio 2005, n. 10646, in tema di Ici; Cass., 2 ottobre 2009, n. 21144, in tema di imposte ipotecarie e catastali; Cass., 18 gennaio 2017, n. 1113, in tema di agevolazioni in materia edilizia e mancata utilizzazione dell’area nel quinquennio; Cass., 13 dicembre 2023, n. 34882, in tema di regime agevolato in materia di accise sul gasolio per autotrazione). La seconda, in tema di direttive europee, avendo la Corte Costituzionale affermato che la direttiva è immediatamente applicabile quando è sufficientemente dettagliata nei propri contenuti e non necessita, dunque, di alcun provvedimento di attuazione da parte dello Stato membro (Corte Cost., sentenza 2 febbraio 1990, n. 64; Corte Cost., sentenza 18 aprile 1991, n. 168; v. anche Cass., 10 dicembre 2019, n. 32227 e Corte di Giustizia U.E., 25 maggio 1993, in causa 193/91), mentre la direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 settembre 2007 è stata recepita con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 28 aprile 2008.
3.9 Nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale ha fatto buon governo dei principi suddetti, avendo ritenuto legittimo il diniego dell’istanza di rimborso delle accise sul gasolio commerciale per autotrasporto trattandosi di veicoli immatricolati euro 2, dotati di filtri antiparticolato (FAP), in quanto tali esclusi dall’agevolazione ai sensi dell’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015; la Commissione tributaria regionale, peraltro , ha fatto riferimento all’art. 6 del decreto legge n. 26 del 2007, sostanzialmente evidenziando l’insussistenza dei presupposti per la proposizione dell’istanza di rimborso, sottesa la compatibilità tra la normativa nazionale e l’art. 7, paragrafi 2 e 3, della
direttiva 2003/96/CE, e ciò in risposta al motivo di gravame specificamente dedotto dalla società appellante che aveva per l’appunto richiamato il decreto legge n. 26 del 2007, assumendo che con lo stesso era stata data attuazione all’art. 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/96/CE (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata e pag. 21 e 22 del controricorso). Non sussiste nemmeno il vizio di motivazione dedotto con il secondo motivo, risultando evidente, per quanto esposto, che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione (cfr. Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105). D’altronde, anche con riguardo al profilo relativo alla compatibilità della normativa italiana col diritto unionale, irrilevante risulta l’assenza di specifica motivazione sul punto, posto che, in base alle considerazioni che precedono, la questione giuridica sottesa è comunque da disattendere alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando necessario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass. Sez. Un., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 15 novembre 2024, n. 29538).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 25 febbraio 2025.