Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19571 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19571 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 986/2022, proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del medesimo
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata – avverso la sentenza n. 722/2021 della Commissione tributaria regionale dell ‘Emilia -Romagna, depositata il 25 maggio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò vittoriosamente, innanzi alla C.T.P. di Piacenza, la cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione a seguito di controllo ex art. 36 -ter del d.P.R. n. 600/1973, con la quale le era stata contestata l’illegittima fruizione di un credito d’imposta pari ad € 56.629,00 .
A sostegno dell’impugnazione, la contribuente evidenziò che il credito le derivava dall’aver lei provveduto al versamento dell’imposta in Brasile, all’esito della realizzazione di una plusvalenza da cessione di partecipazione in società con sede in detto Stato.
Il successivo appello erariale fu accolto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali rilevarono che le prove allegate dalla contribuente a sostegno della sua tesi consistevano in due documenti ‘ DARF ‘ ( Documento de Arrecadaçao de Receitas Federais , ovvero ‘ Documento di riscossione delle entrate federali ‘) , rilasciati dalla pubblica amministrazione brasiliana.
Di tali documenti, soltanto il primo era munito di quietanza da parte della banca intermediaria del pagamento. Mancava, in ogni caso, la prova dell’intervenuta definitività del versamento, e cioè l’acquisizione dell’imposta versata a titolo definitivo all’amministrazione fiscale estera.
In sostanza, pertanto, la contribuente aveva allegato solo la quietanza di un pagamento parziale delle imposte dovute sul reddito realizzato all’ estero, non ricollegabile al versamento dell’imposta dovuta a titolo definitivo.
NOME COGNOME ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’ Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
Considerato che:
1. Il primo motivo è rubricato «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 165 del TUIR anche in relazione alla convenzione n. 844 del 29/11/1980 stipulata dal Governo della Repubblica Italiana ed il governo della repubblica federale del Brasile per evitare le doppie imposizioni, con riferimento all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.».
La ricorrente, premesso il rilievo in base al quale le disposizioni pattizie invocate prevalgono, per la loro specialità, su quelle domestiche e, pertanto, la Convenzione invocata è destinata a prevalere sull’art. 165 TUIR, assume che i giudici regionali avrebbero invertito siffatto rapporto di specialità, omettendo di rilevare che la disciplina pattizia , all’art. 23.4, riconosce un credito d’imposta figurativo a fronte di imposte anche non effettivamente pagate e che, pertanto, essa aveva il pieno diritto di portare il credito in detrazione.
2. Con il secondo motivo, rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art 165 del TUIR, violazione dell’art. 111 comma 6 della Costituzione, dell’art. 132 comma 2 n. 4 cpc e dell’art. 36 del d.lgs. 546/1992, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 cpc», la ricorrente rileva che la documentazione da lei prodotta dimostrava l’avvenuto pagamento delle somme riportate sui documenti depositati, nell’esame dei quali la C.T.R. era incorsa in travisamento del fatto, avendo erroneamente ritenuto che su uno di essi non fosse riportata alcuna quietanza.
Osserva, ancora, che non era in alcun modo necessaria la dimostrazione della qualifica di definitività dell’imposta, poiché il versamento della stessa secondo la Convenzione (che prevedeva, al riguardo, la liquidazione a titolo unico di un importo pari al 15% dell’utile definito) non rendeva necess ario alcun supporto documentale.
I due motivi, meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione, sono fondati.
3.1. Va innanzitutto osservato che, nel fare riferimento alla necessità, per la contribuente, di dar prova dell’intervenuto pagamento a titolo definitivo delle imposte sui redditi prodotti all’estero, la C.T.R., pur senza menzionarlo espressamente, ha ritenuto applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 165 TUIR , nel quale tale presupposto è specificamente contemplato.
Sul punto si deve rilevare che, invece, sono destinate a prevalere le norme pattizie derivanti da accordi tra Stati, per il carattere di specialità del loro ambito di formazione; la potestà legislativa, infatti, va esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali di cui all’art. 117, comma primo, Cost., attesa la ratio di evitare fenomeni di doppia imposizione (cfr. Cass. n. 29463/2024; Cass. n. 15207/2021; Cass. n. 14240/2021).
Nello specifico deve trovare applicazione la disciplina recata dalla Convenzione tra il governo della Repubblica italiana ed il governo della Repubblica federale del Brasile per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, resa esecutiva in Italia con la l. 29 novembre 1980, n. 844, che sancisce l’obbligo a carico delle parti di evitare la doppia imposizione e non riserva agli Stati contraenti la possibilità di porre limitazioni a detto obbligo o oneri a carico dei contribuenti.
3.2. La richiamata Convenzione fa obbligo allo Stato italiano, nel caso in cui assoggetti a imposizione elementi di reddito imponibili in Brasile, di « dedurre dalle imposte così calcolate l’imposta sui redditi pagata in Brasile, ma l’ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo» (art. 23.2).
Questa Corte, al riguardo, ha specificato che i l termine ‘deduzione’ utilizzato dalla Convenzione va inteso in senso atecnico, perché il meccanismo con cui si evita la doppia imposizione, in realtà, non è la deduzione dalla base imponibile, ma la detrazione dell’imposta assolta all’estero da quella complessivamente (sul ‘reddito complessivo’) dovuta allo Stato italiano (Cass. n. 24160/2024).
Pertanto, con la Convenzione bilaterale, continua la pronunzia menzionata, l’Italia si è obbligata, nei confronti del Brasile, a limitare la sua sovranità in tema di imposizione fiscale, facendo sì «che i contribuenti che paghino le tasse al fisco brasiliano in relazione ad elementi di reddito posti in essere in Brasile, nel caso in cui siano assoggettati a tassazione anche in Italia in relazione a quegli stessi elementi di reddito, non subiscano una doppia imposizione».
Ne deriva che, con riferimento al tema dell’odierno giudizio, l’ obbligo internazionale dello Stato non può subire dalla normativa interna limitazioni non concordate tra le parti della Convenzione; con la conseguenza che all’odierna contribuente, che pretende di non subire una doppia imposizione in relazione agli elementi di reddito assoggettati a tassazione sia in Brasile che in Italia, l’Agenzia delle Entrate non può opporre l’inadempimento degli oneri formali di cui all’art. 165, comma 8, TUIR, perché così facendo esporrebbe lo Stato italiano ad una violazione del diritto internazionale pattizio.
3.3. L’orientamento della giurisprudenza di legittimità , del resto, si attesta da tempo nell’affermare -con riferimento alle Convenzioni bilaterali stipulate su modello OCSE, fra le quali quella qui in rilievo -che la nozione di «persona fisica residente in uno Stato contraente», che le fonti pattizie utilizzano ai fini dell ‘ applicazione della diversa imposta, de v’ essere intesa nel senso di potenziale assoggettamento della stessa ad imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza, indipendentemente dall’effettivo prelievo fiscale subìto; lo scopo delle
convenzioni bilaterali è, infatti, quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l’attività economica internazionale, come affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 19 novembre 2009, n. 540 (in questi termini, fra le altre, Cass. n. 10706/2019, in tema di Convenzione italo-svizzera).
Nel caso di specie, la circostanza è pacifica ed ammessa, peraltro, dalla stessa amministrazione finanziaria, la quale ha sostanzialmente riconosciuto anche l’avvenuto pagamento dell’imposta all’estero, essendosi limitata a confutarne la definitività ai fi ni dell’estinzione del debito tributario.
Ne deriva l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti nel merito, la causa può essere decisa con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Possono essere interamente compensate le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese, che liquida in € 5.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri accessori. Compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema