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Credito d’imposta estero: il trattato prevale sempre

Una contribuente ha ottenuto il riconoscimento del credito d’imposta per le tasse pagate in Brasile su redditi emersi tramite voluntary disclosure, anche se la procedura non si era perfezionata. La Corte di Cassazione ha stabilito che la convenzione internazionale contro la doppia imposizione prevale sulle norme procedurali interne, che non possono quindi negare il diritto al credito d’imposta estero.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Credito d’imposta estero: La Cassazione conferma la prevalenza dei trattati internazionali

Con la sentenza n. 24160 del 2024, la Corte di Cassazione ha affermato un principio fondamentale in materia di fiscalità internazionale: il diritto al credito d’imposta estero, previsto da una convenzione contro la doppia imposizione, non può essere negato a causa del mancato rispetto di un onere formale previsto dalla normativa interna, come la mancata indicazione dei redditi nella dichiarazione. Questa decisione rafforza la posizione del contribuente e il primato del diritto internazionale pattizio sulle leggi nazionali.

Il caso: redditi dal Brasile e la voluntary disclosure

La vicenda riguarda una contribuente che, nel 2015, aveva aderito alla procedura di “voluntary disclosure” per regolarizzare redditi prodotti in Brasile tra il 2009 e il 2013, sui quali aveva già pagato le imposte nel Paese sudamericano. Tuttavia, la procedura di collaborazione volontaria non si era perfezionata, poiché la contribuente non si era presentata per il contraddittorio né aveva effettuato i pagamenti richiesti.

Di conseguenza, l’Amministrazione Finanziaria le aveva notificato cinque avvisi di accertamento, tassando nuovamente in Italia i redditi brasiliani. La contribuente aveva impugnato tali atti, chiedendo che le venisse riconosciuto un credito d’imposta pari a quanto già versato al fisco brasiliano, in applicazione della Convenzione Italia-Brasile contro le doppie imposizioni.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alla contribuente, ma l’Amministrazione Finanziaria ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

Il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria e la questione giuridica

L’Amministrazione Finanziaria sosteneva che il diritto al credito d’imposta fosse subordinato a un preciso requisito formale previsto dall’art. 165, comma 8, del TUIR: l’indicazione dei redditi esteri nella dichiarazione dei redditi presentata in Italia. Poiché la contribuente non lo aveva fatto (i redditi erano emersi solo con la voluntary disclosure), secondo il Fisco non aveva diritto ad alcuna detrazione.

La questione giuridica era quindi stabilire se un onere procedurale previsto dalla legge nazionale potesse prevalere su un obbligo assunto dall’Italia a livello internazionale per evitare la doppia imposizione fiscale.

Le motivazioni della Cassazione: il primato del diritto internazionale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria con motivazioni chiare e nette, fondate sulla gerarchia delle fonti del diritto.

L’obbligo incondizionato della Convenzione

I giudici hanno sottolineato che la Convenzione bilaterale tra Italia e Brasile impone allo Stato italiano un obbligo incondizionato di evitare la doppia tassazione. L’accordo internazionale prevede che l’Italia debba “dedurre” (termine inteso tecnicamente come “detrarre”) dall’imposta italiana quella già pagata in Brasile sullo stesso reddito. Questo impegno, assunto nei confronti di un altro Stato sovrano, non può essere subordinato a condizioni o oneri unilaterali imposti dalla legge interna e non concordati nel trattato stesso.

L’inapplicabilità dell’art. 165, comma 8, del TUIR

La Corte ha stabilito che l’adempimento di un obbligo internazionale non può essere ostacolato da limitazioni interne. Applicare la norma nazionale (art. 165, comma 8, TUIR) per negare il credito d’imposta estero alla contribuente avrebbe significato esporre lo Stato italiano a una violazione del diritto internazionale pattizio.

Peraltro, l’ordinamento tributario stesso (art. 75 del d.P.R. 600/1973 e art. 169 del TUIR) riconosce la prevalenza degli accordi internazionali sulla normativa interna, a meno che quest’ultima non sia più favorevole per il contribuente.

In presenza di un obbligo internazionale incondizionato, come quello di evitare la doppia imposizione, l’omessa presentazione della dichiarazione o la mancata indicazione dei redditi esteri non possono essere opposte al contribuente per negargli il diritto al credito d’imposta.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela dei contribuenti che operano in un contesto internazionale. Viene sancito che gli obblighi derivanti dai trattati contro le doppie imposizioni hanno una forza superiore rispetto alle norme procedurali interne. Di conseguenza, il diritto a non essere tassati due volte sullo stesso reddito prevale su eventuali inadempimenti formali, garantendo così certezza del diritto e coerenza con gli impegni internazionali assunti dall’Italia.

Si ha diritto al credito d’imposta per le tasse pagate all’estero se il reddito non è stato indicato nella dichiarazione dei redditi italiana?
Sì, secondo questa sentenza, il diritto al credito d’imposta garantito da una convenzione internazionale prevale sull’onere formale di indicare il reddito nella dichiarazione, evitando così una doppia imposizione.

Una norma interna italiana può limitare il diritto a un credito d’imposta previsto da una convenzione internazionale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una norma interna non può imporre limitazioni o oneri non previsti dal trattato internazionale, poiché l’adempimento degli obblighi internazionali non può essere subordinato a condizioni unilaterali.

La mancata conclusione della procedura di “voluntary disclosure” impedisce di ottenere il credito per le imposte pagate all’estero sui redditi emersi?
No, il fallimento della procedura di collaborazione volontaria non preclude il diritto del contribuente a richiedere e ottenere il credito d’imposta per le tasse già pagate all’estero, in quanto tale diritto discende direttamente dalla convenzione contro la doppia imposizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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