Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34199 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34199 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
Credito di imposta
Art. 4 l. n. 449/1997
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24468/2016 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME e
COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato ,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della SICILIA, SEZIONE STACCATA MESSINA n. 20/2016, depositata l’08 /01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate notificava ad NOME COGNOME titolare dell’omonima ditta individuale , avviso di recupero del credito di imposta di euro 22.787,84, – oltre interessi e sanzioni – concesso relativamente agli anni 2000, 2001 e 2002, ai sensi de ll’art. 4 legge 27 dicembre 1997, n. 449 a favore delle piccole e medie imprese che avessero provveduto a nuove assunzioni. A fondamento della revoca l”Ufficio contestava che il contribuente aveva violato le norme in materia di igiene e sicurezza il cui rispetto costituiva condizione per godere del credito ex art. 4, comma 5, lett. h) legge cit., come risultava da una comunicazione della AUSL1
Il contribuente impugnava l’atto di revoca .
La C.t.p. di Messina accoglieva parzialmente il ricorso ed annullava il recupero del credito di imposta per gli anni 2000 e 2001; confermava, invece, l’atto impositivo per l’anno 2002.
Avverso detta sentenza frapponevano appello entrambe le parti.
La C.t.r. accoglieva l’appello dell’Ufficio e rigettava l’appello incidentale del contribuente. Per l’effetto, confermava integralmente l’atto di recupero.
Avverso detta ultima sentenza ricorre per cassazione il contribuente e l’Agenzia delle entrate resiste a mezzo controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo il contribuente denuncia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione ed interpretazione delle norme sull’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.)
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che per quanto riguardava la contestazione dell’Ufficio relativa alla violazione delle disposizioni sulla sicurezza dei lavoratori di cui alla lett. h) che rinvia al d.lgs. n. 626 del 1994 -la copia del documento
proveniente dalla AUSL non fosse idonea a contrastare la contestazione dell’Ufficio .
Osserva che la C.t.r., pur avendo rilevato che il documento recava una correzione/integrazione manuale, aveva concluso che, nell’impossibilità di individuare l’autore materiale della stessa, doveva attribuirsi rilievo al dato normativo. Aggiunge che la correzione, evidentemente, era stata fatta al solo fine di ricondurre la segnalazione fatta dalla AUSL ad un’astratta violazione di legge idonea a consentire il recupero; che è del tutto inverosimile che la correzione provenisse dalla AUSL che avrebbe tranquillamente potuto ristampare il documento corretto; che la segnalazione non era riconducibile al credito di imposta; che non conteneva alcun richiamo alla legge n. 449 del 1997; che il documento era semplicistico e non esplicativo. Conclude, pertanto, affermando che la C.t.r. aveva fondato la propria decisione su presupposti non veri e non riconducibili alla fattispecie.
Il motivo è inammissibile.
2.1. La C.t.r., nella parte espositiva della sentenza impugnata, precisava, riferendosi al documento oggetto del motivo, che il contribuente aveva contestato «l’artefazione ‘manuale’ da parte dell’Agenza delle Entrate del contenuto della ‘comunicazione’ dell’A.U.S.L. n. 5 Messina che aveva indicato la violazione di una legge diversa (art. 7. comma 5 lett. d e comm 7 L. N. 388/2000)». Nella parte motiva rilevava che la copia del documento prodotta dal contribuente non era idonea a contrastare la contestazion e dell’Ufficio in quanto, a prescindere dall’impossibilità di indentificare l’autore della correzione, quest’ultima era contenuta «’nell’oggetto’», mentre nel testo si faceva riferimento al d.lgs. n. 626 del 1994 al quale rinviava il comma 5 lett. h. della legge n. 449 del 1997.
2.2. Ciò posto, il ricorrente, non solo con violazione dell’art. 366 cod. proc. civ. non ha riprodotto il documento nelle sue parti
essenziali, sì da impedire la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonché la valutazione della sua decisività, ma non ha nemmeno contestato la specifica motivazione della C.t.r.; questa, infatti, ha ritenuto irrilevante quanto riportato nell’oggetto della comunicazione della Ausl nel quale vi era stata la correzione, a fronte di quanto chiaramente riportato nel testo ove si faceva riferimento al d.lgs. n. 626 del 1994 a propria volta richiamato dall’art. 4 comma 5, lett. h legge n. 449 del 1997.
Inoltre, va ribadito che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3,cod. proc. civ. – in tal senso, infatti, è articolato il motivo in esame, – è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del l’ art. 360 , primo comma n. 5 cod. proc. civ. come novellato).
Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell’art. 33 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e dell’art. 112 cod. proc. civ.
3.1. Con una prima censura (§ 2. lett a) assume che la C.t.r. ha errato nel non accedere alla richiesta di pubblica udienza che aveva avanzato nell’appello incidentale in quanto non notificato all’appellante. Osserva che la richiesta era contenuta nell’atto di appello incidentale, depositato presso la segreteria e che, pertanto, doveva, per ciò solo, ritenersi ritualmente comunicata, non essendo necessaria la notifica.
Deduce, per l’effetto che la mancata discussione in pubblica udienza è lesiva del diritto di difesa ed è causa di nullità del procedimento.
Nel corpo della medesima censura, inoltre, assume che la C.t.r. ha accolto aprioristicamente l’appello dell’Ufficio «in modo grossolano e privo di argomentazioni»
3.2. Con una seconda censura (§ 2. lett. b) assume che la sentenza è incorsa in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato per non essersi pronunciata sulla richiesta di riunione ad altro giudizio connesso soggettivamente ed oggettivamente.
Il motivo è complessivamente infondato.
4.1. Quanto alla prima censura va in primo luogo evidenziato che la C.t.r. non ha accolto l’appello dell’Ufficio in ragione dell’irritualità dell’istanza di trattazione in pubblica udienza; dalla motivazione si evince chiaramente che il rilievo dell’omessa notifica dell’istanza è in correlazione con la trattazione della causa in Camera di consiglio; le ragioni di rigetto nel merito sono oggetto di successiva esposizione.
4.2. Va escluso, inoltre, che la C.t.r. sia incorsa in errore nel decidere la causa in camera di Consiglio.
D alla sentenza impugnata risulta che l’istanza di pubblica udienza veniva avanzata dal contribuente in sede di appello incidentale. La costituzione, secondo il disposto di cui all’art. 54 d.lgs. n. 546 del 1992 che richiama l’art. 23 d.lgs. cit., avviene mediante il deposito di atto di controdeduzioni che, pertanto, non viene notificato alla controparte. L’appello incidentale è depositato negli stessi modi e termini
L’art. 33, comma 1, d.lgs. cit., prevede che il processo sia celebrato in pubblica udienza ove una delle parti lo abbia chiesto con apposita istanza da depositare nella segreteria e da notificare alle altre parti costituite entro il termine di cui all’art. 32, comma 2, d.lgs. cit. (dieci giorni liberi prima della data di trattazione).
L a Commissione tributaria ha il solo obbligo, di cui all’art. 31 d.lgs. cit., di comunicare la data di trattazione della causa, la quale avverrà in camera di consiglio o in pubblica udienza, a seconda che una delle parti abbia avanzato, o meno, l’istanza di cui all’art. 33 d.lgs. cit. Da detta comunicazione, pertanto, la parte non è messa nelle condizioni di sapere se la controparte abbia chiesto la trattazione in pubblica udienza, ove non abbia ricevuto la notifica.
Secondo un orientamento già espresso da questa Corte e pienamente condiviso dal Collegio, deve ritenersi che, per il principio della libertà delle forme processuali, l’istanza della parte che opti per la trattazione della controversia in pubblica udienza può essere formulata in un qualunque atto del processo (atto introduttivo, memoria o ricorso d’appello principale o incidentale); occorre, tuttavia, che il suddetto atto sia depositato presso la segreteria della Commissione e che venga notificato alla controparte (Cass. 16/12/2011, n. 27162, Cass. 30/06/2011, 14392, Cass. 11/05/2009, n. 10678).
Non convince l’opposto orientamento, noto al Collegio, che ritiene superflua la notifica nell’ipotesi in cui l’istanza non sia autonoma ma contenuta in atti qualificati come recettizi, depositati in Cancelleria, ma non notificati (in questo senso Cass. 16/07/2009, n. 16577).
Come detto, la Commissione tributaria ha il solo obbligo di cui all’art. 31 d.lgs. cit., di comunicare la data di trattazione della causa; anche ove una delle parti , nel termine di cui all’art. 32, comma 2, d.lgs. cit depositi l’istanza di trattazione in pubblica udienza , nessun’altra comunicazione è di per sé dovuta, in quanto (salva l’ipotesi di differimento) pure in tal caso l’udienza si terrà nel giorno indicato nell’avviso previsto dall’art. 31 cit. (Cass. n. 27162 del 2011 cit.). Pertanto, solo attraverso la notifica la controparte è messa nelle
condizioni di sapere che la causa verrà trattata, nella data di cui avrà comunicazione dalla Cancelleria, in pubblica udienza.
Va, pertanto, ribadito che, in tema di contenzioso tributario, la richiesta di discussione in pubblica udienza di cui all’art. 33 d.lgs. n. 546 del 1992 che la parte può avanzare nel termine di cui all’art. 32, comma 2, d.lgs. cit., nel ricorso introduttivo o nelle controdeduzioni come anche in ulteriori memorie -deve essere notificata a cura dell’istante alle parti costituite, non essendo sufficiente il mero deposito».
4.3. Pure infondata è la seconda censura.
Il provvedimento di riunione previsto dall’art. 274 cod. proc. civ., essendo strumentale e preparatorio rispetto alla futura definizione della controversia, è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità neanche attraverso l’impugnazione della sentenza che definisce il giudizio nel quale il provvedimento stesso è stato adottato e nemmeno ove abbia omesso di pronunciare sul punto (Cass. 30/09/2022, n. 28539 Cass. 18/11/2021, n. 35134).
Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
5.1. Con una prima censura (§ 3.lett. a) critica la sentenza impugnata per aver escluso il diritto al rimborso in quanto i nuovi dipendenti assunti erano stati collocati in territori (nella specie il Comune di Spadafora) non inclusi nell’elenco di quelli che potevano beneficiare del credito. Assume che la conclusione si fonda su una lettura parziale della circolare n. 219/E del 18 settembre 1998 contenente le istruzioni per fruire del credito di imposta e che la C.t.r. ha omesso di riferire che la stessa dava rilievo, al fine di beneficiare del co ntributo, al fatto che l’impresa operasse nelle aree dei Comuni
che avevano sottoscritto il patto territoriale, tra i quali vi era anche il Comune di Spadafora. Precisa, in proposito, che detto ultimo, «seppur non riportato nell’elenco dei Comuni agevolabili probabilmente per un errore o per incompletezza» era tra gli Enti sottoscrittori del Patto Territoriale.
5.2. Con una seconda censura (§ 3. lett. b) critica la sentenza per aver ritenuto che non fossero state offerte prove per confutare la tesi dell’Ufficio, sebbene, sin dal primo grado di giudizio, avesse prodotto l’ attestazione rilasciata del Sindaco del Comune capofila del patto territoriale Gallo-Niceto dalla quale si evinceva che il Comune di Spadafora aveva sottoscritto l’adesione.
Il motivo è inammissibile.
6.1. Nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente, al fine di censurare la sentenza per un vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra, invece, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053 e tra le più recenti Cass. 20/06/2024, n. 17005)
6.2. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver considerato sia il testo integrale della Circolare n. 219/E del 18
settembre 1998 -secondo la quale, a suo dire, la sottoscrizione del Patto Territoriale costitutiva il requisito per godere del beneficio -sia l’attestazione rilasciata dal Sindaco di Venetico, Comune Capofila del Patto , dalla quale risultava l’adesione del Comune di Spadafora.
6.3. In primo luogo deve rilevarsi che né la circolare né l’attestazione di cui al motivo possono rientrare nel nozione di «fatto storico»: le circolari, anche qualora contengano direttive agli uffici gerarchicamente subordinati, esprimono esclusivamente un parere non vincolante; l’attestato del Sindaco, invece, è solo un mezzo di prova.
In secondo luogo, il motivo – nella parte in cui censura la sentenza per aver negato il beneficio in quanto il Comune di Spadafora non rientrava nell’elenco dei «Comuni agevolabili» ignorando che quest’ultimo aveva aderito al Patto territoriale – non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La C.t.r., infatti, ha escluso il diritto al beneficio, non perché ha ignorato tale circostanza, ma perché l’ha ritenuta irrilevante.
Nella parte espositiva del processo la C.t.r. ha correttamente riportato la tesi del contribuente secondo la quale andavano riconosciuti i benefici fiscali previsti dall’art. 4 legge n. 449 del 1997 in quanto il Comune di Spadafora, ancorché non inserito per mero errore nell’elenco dei Comu ni rilevanti, aveva aderito al Patto Territoriale.
Nella parte motiva la C.t.r., tuttavia, ha considerato dirimente il fatto che i neo-dipendenti fossero stati collocati in territori non inclusi nell’elenco di quelli agevolabili ed ha ritenuto privo di fondamento l’assu nto secondo il quale si trattasse di un mero errore.
7. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.100,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2024.